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 2012  aprile 24 Martedì calendario

«Ecco perché da noi non c’è una Le Pen» - E poi una mattina ti svegli e sco­pri che Marine Le Pen è al venti per cento

«Ecco perché da noi non c’è una Le Pen» - E poi una mattina ti svegli e sco­pri che Marine Le Pen è al venti per cento. Con tutti che chiacchie­rano e parlano e dicono e postano e twittano. Chi mestamente preoc­cupato, chi a sostenere «nulla sa­rà come prima», chi vagamente gongolando, chi «ve l’avevo det­to », come se davvero in questa sta­gione indefinita non ci resta da di­re a noi italiani che, attenzione, la «Francia siamo noi». Capitano mattine così. Poi magari ti senti an­che con una vecchia conoscenza per scambiare qualche parere e mettere su un’intervista, magari uno come Pietrangelo Buttafuo­co, che di certe cose se ne intende. Marine Le Pen cambia la storia della Francia e dell’Europa? «Eh, quanta fretta. Di fronte a qualsiasi fenomeno scatta l’istin­to, il riflesso condizionato, a piaz­zare l’etichetta. L’ho detto anche al mio caro amico Saviano, di cui mi sembra stai citando il tweet». Vero. Il tono era piuttosto pre­occupato. «La Francia non è l’Italia. Lì le storie di vandeani e giacobini rie­scono a convivere. Le ferite si ri­marginano, anche quelle più pro­fonde delle nostre. I prodotti che trovi sul mercato delle idee hanno un passato forte, radici profonde e alle spalle c’è tutta la Francia, con una solidità che resiste a tutte le scosse». Chi è la figlia di Le Pen? «È la Francia più profonda, quel­la che ha attraversato tutte le svol­te e le rivoluzioni. È la Francia di Giovanna D’Arco. È Andrea Ché­nier. È, nella variante belga, il ciuf­fo ribelle e conservatore di Tintin. C’è da sempre, sta lì, torna, s’ina­bissa e ricompare». Eppure la famiglia Le Pen evo­ca la destra nazionalista, la xe­nofobia, via gli stranieri, non vogliamo gli immigrati. Non c’è solo la tradizione, ci sono anche le porte chiuse. «Strumentale». Strumentale? «Sì ed è un peccato. Voglio anzi sottolinearlo con chiarezza. Quando la destra per opportuni­smo, per racimolare qualche voto in più, rimesta nella paura, punta l’indice verso l’immigrato, rinne­ga se stessa, cancella le sue intui­zioni politiche. Si svende, insom­ma ». E ottiene il 20 per cento dei vo­ti. «No, non ottiene voti. Li perde. Lo sai quale è lo slogan che sta pre­miando Marine Le Pen?». Spara. «L’euro ha fallito». Il 20 per cento quindi è poco. «Pochissimo». Tutto quello che manca è il prez­zo da pagare alla cattiva fama. «Sta accadendo quello che mol­ti già sospettavano. Come si fa ad amare una moneta senza indiriz­zo, senza casa». Chi sarà il Le Pen italiano? «Secondo te?» Per ora ci sono i voti. Sono par­cheggiati in quel cinquanta per cento di indecisi, stanchi, disillusi, e tutti quelli che «non se la bevono». «Parte di questo capitale torne­rà in gioco. Chi lo prende?» L’impressione è che in prima fi­la ci sia Grillo, qualcosa può prendere Storace, una parte re­sta nell’orbita leghista. Il resto è da vedere. Qualcuno pensa che sia tutt’ora berlusconiano. «Possibile. Ma questo vale a boc­ce ferme. La verità è che in questo gioco la partita, almeno in Italia, non sia ancora iniziata davvero. Il voto di chi comincia a chiedere l’uscita dall’euro, di chi non si ar­rende a un Europa di tecnici e di banche, è ancora in gran parte in cerca d’autore.Non c’è un lepeni­sta in Italia. Nessuno che possa raccogliere un successo concre­to. Ma ci saranno sorprese». Cioè? «Sai chi potrebbe prendere quei voti?». L’idea era chiederlo a te. Que­sta bene o male sarebbe un’in­tervista. «Travaglio». Stai scherzando? «No, no. Lo dico sul serio. Non è una provocazione. È un’uomo di destra, alle sue spalle c’è la destra montanelliana e anche quella se­rietà sabauda, quello stile un po’ scomodo ma che viene da una lun­ga tradizione. Non è la destra dei tecnici e neppure quella delle ban­che ». È una destra che non verrà mai votata da libertari e garantisti. «È la destra della legge e dell’or­dine ». Meglio la destra liberale, liberi­sta e libertaria. «Che tanto destra non è. Trava­glio sarebbe interessante. Come in Sicilia si prepara la sorpresa del­le sorprese». Quasi quasi viene voglia di non saperlo. «Antonio Ingroia che, per quan­to si dichiari partigiano è un altro legge e ordine, più di un Ronald Re­agan e già pronto per la politica». Ronald Reagan quando faceva lo sceriffo, cattivo, nei we­stern. Non il presidente. «Gli sceriffi stanno sempre con i buoni». L’Europa comunque è al cam­bio di stagione. Che faranno gli italiani? «Lo dico sottovoce, sperando che nessuno ci senta, ma il popolo italiano spesso mostra gli istinti peggiori. Sa essere carogna. È ven­dicativo. Non si vergogna del tradi­mento. C’è sempre un sacerdote che accompagna questa o quella metamorfosi. Non abbiamo una storia condivisa come in Francia. Il Risorgimento è stato raccontato male, la guerra civile dopo il venten­nio è stata raccontata male. Qui il passato è sempre di parte. Quando cambia una stagione non si sa mai dove si va a finire.L’unica cosa cer­ta è che in politica quando si crea un vuoto presto viene riempito».