Giornali vari, 16 aprile 2012
Anno IX – Quattrocentoventesima settimana Dal 6 al 16 aprile 2012Fiducia Nel suo articolo settimanale sul “Corriere della Sera” di domenica 15 aprile, il sondaggista Renato Mannheimer ha segnalato che la fiducia nei partiti, scesa già a un misero 4% un mese fa, s’è ulteriormente dimezzata al 2%
Anno IX – Quattrocentoventesima settimana
Dal 6 al 16 aprile 2012
Fiducia Nel suo articolo settimanale sul “Corriere della Sera” di domenica 15 aprile, il sondaggista Renato Mannheimer ha segnalato che la fiducia nei partiti, scesa già a un misero 4% un mese fa, s’è ulteriormente dimezzata al 2%. «Il 2% della popolazione adulta corrisponde a circa un milione di persone, vale a dire probabilmente meno di quanti sono attivamente coinvolti ai diversi livelli, da sostenitori e militanti, nei partiti. Ciò significa che una parte di chi vive comunque una vita di partito manifesta al tempo stesso sfiducia in quest’ultimo». Crollo anche della fiducia nelle istituzioni: «La fiducia verso il Parlamento è scesa dal 25% rilevato un anno fa, nell’aprile 2011, al minimo storico dell’11% registrato oggi. Quasi nove italiani su dieci non credono più al principale organo elettivo della nostra nazione e non si sentono più rappresentati da quest’ultimo. Una crisi di consenso istituzionale gravissima».
Antipolitica I politici sono coscienti del problema e infatti ne hanno parlato con preoccupazione sia Cicchitto a Porta a porta sia Bersani in varie occasioni, da ultimo domenica scorsa: «Se c’è qualcuno che pensa di stare al riparo dell’antipolitica si sbaglia alla grande. Se non la contrastiamo, spazza via tutti». Questa parola, «antipolitica», che viene usata per definire il fenomeno, è tuttavia imprecisa: l’odio popolare (si tratta di questo) non è genericamente rivolto contro la politica, ma contro «questa» politica, «questi» partiti, «questi» uomini politici. Il desiderio maggiormente diffuso è che siano tutti spazzati via e che, in qualche modo, si ricominci daccapo. Certo, il colpo di grazia al sentimento profondo di disprezzo che agita il 98% degli italiani è stato dato, in particolare, dalle vicende relative al tesoriere della Margherita, Lusi, e agli scandali che hanno travolto Bossi e la Lega. Ma proprio questi due episodi hanno permesso di scoprire alcune verità abnormi: i partiti, che teoricamente si fanno rimborsare le spese elettorali (5 euro a voto, fino a che Tremonti non ha introdotto una serie di tagli progressivi che andranno a regime nel 2015), spendono comunque 1 e si fanno rimborsare 4 o 5. Che fine fanno i soldi che restano? Una fine impresentabile, si direbbe, perché dalle ultimissime cifre, tirate fuori dai radicali dopo un’analisi delle gazzette ufficiali, i partiti risultano tutti in perdita o addirittura sull’orlo del tracollo finanziario, dato che nel corso degli anni hanno moltiplicato sedi e dipendenti e adesso, se facessero davvero quello che dicono di voler fare – sospensione della prossima rata di rimborso (180 milioni) o magari anticipo dei tagli futuri o addirittura diminuzione del denaro che gli spetta -, dovrebbero semplicemente chiudere. Stiamo parlando di un incasso complessivo di 2,3 miliardi di euro (dal 1994 a oggi), che significa 750 milioni per le varie epifanie delle sigle succedanee del Pci (+ i postdemocristiani della Margherita) e di 900 milioni per le formazioni berlusconiane e postmissine. Tanto per ricordare: 750 milioni significano 1.500 miliardi delle vecchie lire, e 900 milioni poco meno di 2.000 miliardi. Ha detto il tesoriere del Pd, Misiani: ««Ai soldi non si può rinunciare, chiuderemmo. È una verità impopolare, ma qualcuno deve dirla. Abbiamo un disavanzo di 43 milioni di euro. L’80,90 dei nostri introiti sono soldi pubblici e il problema non vale solo per noi. Il Pdl i soldi delle politiche del 2008 li ha tutti cartolarizzati, ovvero se li è fatti anticipare dalle banche. È notizia risaputa. Tutti i partiti hanno bisogno della prossima rata per sopravvivere».
Lega La teoria con cui la Lega tenta di sfuggire al discredito che l’ha colpita (Mannheimer segnala che, adesso, sta poco sopra al 6%) è questa: Bossi e gli altri non sapevano niente, la mano facile nello spendere per fini privati i soldi del finanziamento pubblico è di quelli del cosiddetto “cerchio magico”. Il lettore ricorderà che con l’espressione “cerchio magico” si indica quel gruppetto di capi leghisti che, al momento dell’ictus, circondarono Bossi e lo misero sotto il loro assoluto controllo, strettamente vigilando su dichiarazioni, interviste e altre uscite pubbliche. Capo assoluto di questo “cerchio magico” la moglie Manuela, la cui strategia fu subito chiara: si trattava di operare in modo che la Lega, il suo potere e i suoi tesori restassero sotto il controllo della famiglia, finendo ai figli e in particolare al figlio Renzo, ribattezzato dal padre – in uno dei suoi momenti di lucidità – “Il Trota”. Braccio destro della Manuela, la Rosy Mauro, soprannominata per questo “la badante”. Nemico dichiarato e possibilmente da polverizzare: l’uomo che aveva più sèguito nella base, cioè Roberto Maroni. Sicché, in questa settimana, abbiamo assistito alla reazione, molto forte, di Maroni, che lo scorso gennaio i cerchisti avevano addirittura tentato di tacitare con un diktat di Bossi: martedì 10 aprile, a Bergamo, i maroniani hanno riempito la sala della Fiera agitando le scope con cui avrebbero fatto pulizia. Bossi, dal palco, ha pianto e chiesto scusa. Maroni ha gridato che se la Rosy Mauro, divenuta il capro espiatorio della sua controffensiva, non avesse lasciato la vicepresidenza del Senato, ci avrebbe pensato la Lega a cacciarla. La Mauro era intanto andata a Porta a Porta e, spremendo anche una lacrima, aveva detto che non si sarebbe dimessa. Senonché due giorni dopo il consiglio federale del partito l’ha espulsa all’unanimità, permettendo però a Bossi di uscire dalla stanza e di non votare. Maroni rilascia interviste e appare il più probabile successore del Senatùr nel congresso federale convocato per la fine di giugno. Ma i veneti sono già in campo per reclamare quella poltrona a uno di loro (Luca Zaia). Intanto, Maroni e i maroniani non toccano Bossi (considerato ancora un mito che sarebbe pericoloso attaccare) e neanche la sua famiglia: la moglie non viene mai nominata e il figlio Renzo non è stato espulso. I capi leghisti si sono accontentati delle sue dimissioni da consigliere della Regione Lombardia.
Morosini Enorme impressione ha suscitato la fine del calciatore Piermario Morosini, 26 anni, centrocampista del Livorno, morto d’infarto o per un aneurisma cerebrale al 31° minuto del match di serie B Pescara-Livorno, una partita che la sua squadra stava vincendo per 2 a 0. Nel film, guardato migliaia di volte dagli internauti di tutto il mondo, lo si vede cadere da sé nei pressi dell’area di rigore avversaria, poi tentare di rialzarsi, poi cadere di nuovo, e così per tre volte, fino al crollo definitivo. Inutile il massaggio cardiaco, l’ambulanza è arrivata con qualche minuto di ritardo per via di un’auto dei vigili che ne intralciava il percorso. La magistratura indaga, tenendo presente anche l’ipotesi che Morosini abbia preso o sia stato costretto a prendere «qualcosa» prima della gara. I calciatori mormorano che, in ogni caso, si gioca troppo e si dovrà badare di più alla salute degli atleti. La vita di Morosini, che giocò anche nella Nazionale under 21, è stata un calvario: il padre gli è morto quando aveva 14 anni, la madre quando ne aveva 16. Quando ne aveva 20 un suo fratello si è suicidato.
Afghanistan I talebani hanno condotto una violenta azione dimostrativa nel centro di Kabul, attaccando i palazzi del governo e del Parlamento, le ambasciate occidentali (non quella italiana), le basi militari Isaf, le stazioni di polizia, gli alberghi di lusso. Azione dimostrativa, pensata per vendicare i corani bruciati e la strage di Kandahar (il sergente Robert Bates che lo scorso 11 marzo si mise a sparare sulla gente e uccise 17 civili). I militari afghani, alla fine, sono riusciti a respingere l’attacco e a uccidere tutti i talebani. I vertici Usa, convinti che il loro addestramento delle truppe locali funziona, si sono congratulati. Il presidente Karzai l’ha scampata fuggendo attraverso un tunnel sotterraneo.