MAURIZIO MOLINARI, La Stampa 24/4/2012, 24 aprile 2012
“I 430
miliardi del Fmi sono soltanto briciole” -
Il Fmi non può salvare l’Europa, sono solo gli europei che possono farlo»: l’ex economista del Fondo monetario Kenneth Rogoff, oggi docente di economia a Harvard, non è sorpreso nell’assistere una giornata di ribassi borsistici all’indomani dei 430 miliardi di firewall raccolti dal Fmi per sostenere l’Eurozona.
Perché i mercati hanno tenuto più conto della crisi olandese e delle elezioni francesi anziché dell’impegno di G20 e Fmi a promettere i nuovi prestiti a sostegno dell’Europa?
«Perché i 430 miliardi promessi dai Paesi del G20 sono, in realtà, solo una soluzione apparente. Tanto per cominciare ben 200 di questi infatti vengono dai Paesi europei, ovvero da chi dovrebbe essere soccorso. Ma ciò che più conta è che la cifra di 430 miliardi nel migliore dei casi potrebbe servire a sostenere una nazione come la Spagna per pochi anni con un programma simile a quello che è in corso con il Portogallo. Mi pare un po’ poco per sostenere che si tratti della blindatura della stabilità dell’euro».
Reza Moghadam, capo del dipartimento Europa, afferma che il Fondo monetario resterà impegnato nei programmi per l’Eurozona per un lungo periodo. Che cosa pensa di tale scenario?
«Penso che il Fondo monetario internazionale non può salvare l’Europa mentre sono solo gli europei che possono farlo. Il Fmi può fornire analisi tecniche, fare monitoraggio, parlare a chiare lettere dei problemi da risolvere ma in ultima istanza alla radice della crisi del debito europeo ci sono problemi di governance dell’Eurozona, primo fra tutti l’assenza di un governo unico della moneta. I leader europei conoscono la necessità di accelerare il processo di integrazione monetaria ma le risposte sono solo dei rinvii».
Cosa pensa della decisione degli Stati Uniti di non partecipare ai firewall del Fmi?
«A mio avviso l’approccio dell’amministrazione americana a questa crisi è nel complesso corretto. L’Europa è un posto molto ricco che non può essere certo salvato con i soldi dei Paesi poveri. Gli europei non hanno problemi di liquidità ma di solvenza. Non si tratta di nazioni che hanno bisogno di risorse bensì di nazioni pesantemente indebitate. Possono e devono rimettersi sui binari da sole, ma se vogliono salvare la moneta unica devono affrettarsi a darle una guida politica integrata».
Gli Stati Uniti hanno però un interesse diretto nella soluzione della crisi del debito europeo e forse avrebbe potuto dimostrare più impegno diretto...
«E’ proprio per l’interesse diretto americano che Washington dovrebbe fare pressione sulle capitali europee per farloro trovare le soluzioni istituzionali necessarie. Ma in un’ultima analisi questa crisi europea è una faida di famiglia e può essere risolta solo dall’interno».
E’ rimasto sorpreso dalla decisione dei Brics, le economie emergenti, di rimandare l’annuncio della partecipazione ai firewall del Fmi?
«La verità è che i Brics hanno fatto marcia indietro. Alla vigilia degli incontri primaverili del Fondo erano disposti ad esporsi di più, poi in realtà si sono dimostrati assai più timidi, limitandosi ad un avallo di massima alle decisioni prese da altri. Il motivo principale è quanto avvenuto nella corsa alla presidenza Banca Mondiale: loro avevano messo in campo l’attuale ministro delle Finanze della Nigeria, ovvero il miglior nome possibile per questo incarico ma hanno perso perché ha prevalso, ancora una volta l’America: seppur con un buon candidato. Per i Brics si è trattato di uno smacco e dunque si sono arroccati al Fmi, ribadendo con forza che prima di compiere passi significati, per salvare l’Eurozona o altro, aspettano la piena applicazione della riforma del Fondo varata nel 2010, che gli assegna maggiori poteri. Mi pare assai giustificato».