MARCO ZATTERIN, La Stampa 24/4/2012, 24 aprile 2012
Nei prestiti alla Grecia spunta la clausola per pagare in dracme - Pronti a tutto, anche a non trattare nella moneta di casa
Nei prestiti alla Grecia spunta la clausola per pagare in dracme - Pronti a tutto, anche a non trattare nella moneta di casa. E’ una mossa precauzionale e certo ispirata dalla flessibilità, quella della Bei, che ha cominciato a inserire un’inedita clausola nei contratti con Grecia, Irlanda e Portogallo - i tre paesi che Ue e Fmi hanno salvato dalla bancarotta per consentire di rimborsare i prestiti contratti in una valuta diversa dall’euro. «Così offriamo maggiori opportunità», assicurano fonti dell’istituzione lussemburghese. Vero. Però lo è anche che sarebbe una via di uscita qualora Eurolandia perdesse qualche pezzo, oppure si rompesse. Se Atene dovesse uscire, ad esempio, avrebbe pieno diritto di pagare in dracme. «Processo alle intenzioni», si difendono alla Banca europea per gli investimenti, organismo comunitario che nel 2010 ha finanziato progetti per 72 miliardi, l’88 per cento dei quali all’interno dell’Unione europea. «E’ una procedura standard ha spiegato una portavoce -. In questa situazione di crisi e di alta volatilità la banca adegua i suoi contratti finanziari in diversi paesi, e non soltanto in Grecia. Il fatto che una società sia in grado di rimborsare in una valuta differente dalla sua non vuol dire che la valuta del paese debba cambiare». Se però dovesse succedere, la Bei sarebbe comunque in grado di incassare il dovuto. Non è una differenza da poco. I greci lo hanno notato subito e il giornale Kathimerini che ha scritto la notizia non ha fatto i complimenti. Ha notato che la clausola sotto accusa è stata inserita a inizio aprile nel contratto per un finanziamento da 70 milioni firmato con la Ppc (Public power corporation), la società elettrica ellenica, per la costruzione di una nuova centrale a gas a Megalopoli, nel Peloponneso. All’occasione, la Bei avrebbe introdotto due novità: la possibilità di cambiare le regole del negoziato valutario e la scelta della legislazione britannica come foro a cui fare riferimento in caso di irregolarità del rimborso. Il quotidiano greco parla di un legame diretto fra la mossa e la possibile uscita dall’Eurozona. La quale, ricordano da sempre i portavoce della Commissione, «non è prevista dai Trattati». Gli accordi su cui è basata la moneta unica, fissano procedure per accedere al club dell’euro ma non per abbandonarlo. Cosa che, secondo più osservatori, potrebbe invece essere uno scenario possibile per Atene qualora il pesante risanamento negoziato con Bruxelles non riuscisse ad andare in porto. Trovandosi troppo debole per ripagare il suo pensante debito, non avrebbe altra scelta se non gettare la spagna e ritorna alla dracma. «Pura fantascienza», dice un portavoce Ue. Messa di fronte alla fonte di dietrologie, la Commissione Ue ha risposto con un certo imbarazzo, rinviando le domande alla banca di Lussemburgo. Amadeu Altafaj, portavoce del commissario agli Affari economici e monetari Olli Rehn, ha cercato di spegnere il fuco ricordando «che la comunità internazionale insieme con l’Europa ha adottato tutte le misure necessarie per aiutare la stabilità in Grecia e scongiurare il pericolo di una uscita dall’Eurozona». Sinora, almeno avedere l’andamento quotidiano dei listini e dei mercati, il messaggio non è passato come si sperava. Ieri nelle Borse s’è vissuta una delle peggiori giornate dell’anno, prova che chi compra e vende titoli continua a pensare che la tempesta che agita l’Ue in recessione sia lungi daleessere conclusa. Il che giustifica anche la cautela della Bei, per quanto involontaria e poco ortodossa sia.