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 2012  aprile 24 Martedì calendario

IL TRAMONTO DEI PARAMETRI FINANZIARI

La caduta generalizzata delle Borse mondiali nella giornata di ieri rappresenta un sintomo importante dei gravi pericoli di sfaldamento di quell’ampia e sofistica costruzione che è la globalizzazione economica. E questo non tanto per l’entità - pur molto importante su alcune piazze europee tra cui Milano - quanto per i motivi della caduta, ossia per ciò che vi sta dietro.

I tradizionali fattori economici si intrecciano infatti con fattori politici nel delineare un quadro in movimento in cui i pilastri della collaborazione internazionale e della stabilità interna vengono duramente posti in discussione.

L’avvenimento al quale si attribuisce la maggiore influenza sui listini è naturalmente il risultato del primo turno dell’elezione presidenziale francese con l’affermazione dell’estrema destra di Marine Le Pen e la, almeno temporanea, sconfitta del presidente Nicolas Sarkozy. Dietro Sarkozy, però, la vera sconfitta è Angela Merkel, che aveva appoggiato, in maniera molto pesante, il presidente uscente.

Merkel rappresenta naturalmente l’ortodossia economico finanziaria, con il suo forse ipotetico - obbiettivo di bilanci ordinati da raggiungere attraverso sensibili sacrifici.
In realtà, il grande disegno di una normalizzazione finanziaria rappresentato dal «patto fiscale» tra venticinque Paesi europei, faticosamente varato meno di due mesi fa, sarà sicuramente rimesso in discussione da una vittoria dei socialisti di François Hollande che, se conquisterà l’Eliseo, lo farà con l’aiuto determinante del «partito della sinistra» di Jean-Luc Mélenchon: nessuna simpatia per i mercati da queste parti, ma anzi una dichiarata avversione per la finanza internazionale, un’antipatia per l’euro e una forte insofferenza per la stabilizzazione economico-finanziaria europea voluta dai tedeschi.

Non vanno però trascurate le altre componenti della caduta di ieri, in modo particolare l’apertura di una crisi di governo in Olanda determinata da un contrasto sui tagli alla spesa pubblica. I mezzi di informazione seguono assai poco le vicende del Paese dei «Mulini a vento» e per questo molti lettori si stupiranno nell’apprendere che l’Olanda, uno dei simboli del perbenismo, una delle icone di una società europea ordinata e bene organizzata, si è retta per oltre 18 mesi con un traballante governo di minoranza di centrodestra, sostenuto dall’esterno da un imbarazzante partito di estrema destra.

Questo Paese, al quale i mercati finanziari hanno sempre mostrato grande fiducia, si porta sulle spalle un deficit pubblico pari al 4,7 per cento del prodotto interno, sensibilmente superiore a quello italiano (3,9 per cento). E’ stato proprio Geert Wilders, il leader dell’imbarazzante partito di estrema destra, a dire no, in sintonia con quanto chiede in Francia il Fronte Nazionale di Le Pen, a sacrifici in nome dell’Europa.

Del resto, un articolo di Tonia Mastrobuoni su «La Stampa» di domenica documentava la rapidissima ascesa, nella Germania di Angela Merkel, del «partito dei pirati», una delle maggiori espressioni dell’antipolitica a livello europeo. I «pirati» tedeschi, dal canto loro, si ispirano all’analogo partito svedese che già nel 2009 ha ottenuto il 7 per cento dei voti nelle elezioni europee e oggi sicuramente ne otterrebbe molti di più.

Oltre a queste imponenti manifestazioni della malattia sociale, anche la malattia finanziaria dei Paesi europei sembra estendersi rapidamente, dai Paesi meridionali alla Francia (dove il rendimento dei titoli pubblici di lungo termine ha raggiunto il 3 per cento, con un balzo in avanti di un terzo in pochi giorni) e da questa, oltre all’Olanda anche alla Danimarca. Nykredit, una delle maggiori società danesi di servizi finanziari, si è «ribellata» alle agenzie di rating e ha deciso di non sottoporre più i suoi bilanci al loro impietoso scrutinio in quello che sembra un movimento in grado di coinvolgere tutti i maggiori istituti di credito di quel Paese. E non possiamo certo trarre conforto dagli Stati Uniti dove il motore dell’economia, pur alimentato da un fiume di dollari allegramente stampati, non riesce proprio a girare in maniera sostenuta; il motore cinese, intanto, dà segni di rallentamento, con le imprese quotate in Borsa che mostrano un peggioramento complessivo dei profitti realizzati nel primo trimestre del 2012 e delle previsioni dei profitti per il resto dell’anno.

Evoluzioni finanziarie ed evoluzioni politico-sociali sembrano andare entrambe nel senso di una minore stabilità. Soprattutto sembra tramontare il disegno merkeliano dell’austerità come cura di tutti i mali. Per troppo tempo le Borse hanno guardato soprattutto ai parametri finanziari. Si accorgono ora, a loro danno, di avere colpevolmente trascurato parametri sociali quali il crescente divario dei redditi, la sempre più difficile situazione dei giovani, l’opposizione viscerale a sacrifici troppo grandi.

Il predominio dei parametri finanziari appare chiaramente sulla via del tramonto senza che si sappia con che sostituirlo per salvaguardare le molte buone cose che, assieme a molti sconquassi, la globalizzazione ha portato. La ricerca di un compromesso tra disagio finanziario e disagio sociale dovrebbe essere al primo punto nell’agenda di quanti, in Italia e nel resto d’Europa, si apprestano a mettere a punto nuovi progetti politici.