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 2012  aprile 21 Sabato calendario

Nei monasteri è tutta un’altra vita - Cosa cerca quest’uomo, traversando l’Italia da Nord a Sud per alloggiare e dormire in una ventina di monasteri benedettini? Bellezza? Pace? Arte? Bontà? Se fosse una di queste cose, il libro sarebbe meno di quel che è

Nei monasteri è tutta un’altra vita - Cosa cerca quest’uomo, traversando l’Italia da Nord a Sud per alloggiare e dormire in una ventina di monasteri benedettini? Bellezza? Pace? Arte? Bontà? Se fosse una di queste cose, il libro sarebbe meno di quel che è. Ma è tutte queste cose, più altre ancora. Ho vissuto con questo librone giorni e notti, senza riuscire ad abbandonarlo, neanche quando andavo a letto. Me lo mettevo sotto il cuscino, pronto per il risveglio. È una droga, il racconto di un’esperienza «spae- sante». Spaesante vuol dire che ti porta fuori dal tuo paese, dentro un altro paese, fuori dal tuo tempo, dentro un altro tempo, fuori dalla tua vita, dentro un’altra vita. Fuori dalla tua civiltà, dentro un’altra civiltà. La prima scoperta è già a pagina 31: si può cambiare il mondo cambiando il modo di dormire e di mangiare. Altrove aggiunge: e di parlare. Nei monasteri impari l’importanza di due cose, la solitudine e il silenzio. Che non significa «imparare a stare solo» e «a non avere relazione con gli altri», al contrario, significa imparare il valore degli altri e delle parole. C’è un passo dell’Ecclesiaste (pesco nella memoria, non nel libro) che dice: «Si logora ogni parola / di più non puoi farle dire». La parola logorata, quando la pronunci, non ne senti più né il peso né il suono. Per ri-sentire il peso e il suono delle parole, bisogna smettere di usarle per un lungo tempo. Dunque, Boatti è andato per monasteri per «imparare a parlare». Enzo Bianchi, priore della Comunità di Bose, confessa: «Se non avessi ore e ore di silenzio, sarei incapace di parlare e di scrivere». Un altro abate c’informa che in gran parte coloro che entrano in monastero non resistono più di 10-15 giorni: quella è la soglia oltre la quale, se resistono, «diventano altri», e retrocedendo da quella soglia tornano subito ad essere quel che erano. In quella soglia avvertono un pericolo, la perdita di quel che sono. A un certo punto Boatti ha il sospetto che chi ha scelto i luoghi dove costruire i monasteri, molti secoli fa, abbia badato a che lì non ci fosse mai campo, nei secoli futuri: oggi infatti il cellulare non prende, è inutile, e i frati non ce l’hanno, come non hanno radio. Quindi non hanno il mondo. Quindi sono fuori del mondo. Quindi non valutano le notizie come tappe della vita, non dividono il tempo per frazioni o fasi della vita. L’unità di misura del tempo è una sola: la vita. La vita si vive in solitudine ma la morte si affronta in comunità: al momento della morte, tutta la comunità circonda il morente. L’esatto contrario di quel che avviene da noi, nelle famiglie: si vive e si mangia insieme nelle case, si muore soli in ospizio o in ospedale. I benedettini hanno la repulsione dell’ospedale, quando la malattia si aggrava vogliono tornare a casa, nel monastero. I monasteri sono belli, e correggono la mancanza di bellezza estetica delle nostre piazze e strade. Boatti lo dice per tutti i monasteri, ma più di tutti per Monte Oliveto: «Chi a Monte Oliveto viene per cercare la bellezza, si porta a casa la bellezza». Mi par di capire che non ama Sant’Antimo. Io lo trovo stupendo. Dice che è «una bellezza per esteti». Vabbe’, sarò un esteta, ma appare di colpo ed è un incanto. Trova brutto San Giovanni Rotondo, tutto il complesso costruito su progetto di Renzo Piano in onore di Padre Pio (non è un monastero, ma un santuario). Più che brutto: orrendo. Più che orrendo: repulsivo. Anzi più ancora: un santuario dovrebb’essere un edificio angelico, e questo invece è un edificio diabolico, Boatti lo chiama «San Diabolico al Quadrato». È una stazione + stadio + aeroporto, l’antitesi di ciò che dev’essere una chiesa. San Giovanni Rotondo (spingo avanti il ragionamento di Boatti) brulica di gente e di affari perché la gente e gli affari ci trovano la propria conferma. I monasteri son luoghi di smentita. Lo dice un abate, ma vale per tutti: «Qui arrivano novizi assai intellettuali ma dopo qualche anno li ritroviamo semianalfabeti». Perché devono perdere quel che sanno e imparare quel che non sanno. Restare ha un alto prezzo psichico. Se posso permettermi un sospetto, anche l’autore esita a pagarlo, questo prezzo, visto che la prima volta, entrato nella cella assegnatagli, trova subito una scusa per tornare fuori. Ci sono libri di viaggio che ti fanno viaggiare, e con ciò sostituiscono il viaggio. Questo no. Questo viaggio in una ventina di monasteri quasi tutti benedettini ti fa capire che la sosta in un monastero è un cibo. Non puoi sentirne il gusto leggendo il menù. Devi mangiarlo.