Giusi Fasano, Corriere della Sera 26/4/2012, 26 aprile 2012
DAL NOSTRO INVIATO
GENOVA — «Ma lei si rende conto? Mio padre è un uomo che non è mai salito su un autobus senza biglietto, non ha mai preso una multa. Ricordo ancora la strigliata davanti all’orecchino che mi misi quand’ero ragazzo... E adesso che gli capita? La polizia suona all’alba a casa sua per arrestare suo figlio... Povero papà, non se lo meritava». Fabrizio non si capacita. «Meno male che c’ero», ripete. «Mio padre ha 61 anni e problemi cardiaci, se non ci fossi stato io gli sarebbe venuto un infarto».
Fortuna che c’era, l’agente Fabrizio Raspa. Con il cuore che batteva forte sotto la giacca blu da poliziotto, con il suo delicato modo di fare e di parlare, con l’ordinanza di custodia stretta fra le mani e le parole da dire preparate appena in tempo. Un’ora prima che le volanti partissero dal commissariato di Cornigliano (periferia nord-ovest di Genova) il suo capo, il sostituto commissario Fabio Occhi, l’ha chiamato da parte: «Stiamo andando ad arrestare delle persone per spaccio di droga. C’è anche tuo fratello Mirko. Te la senti di venire con noi?».
«In quel momento il primo pensiero è stato per mio padre — ricorda Fabrizio —. Mia madre era fuori Genova, per dirlo a lei c’era più tempo. Ma papà era a casa con mio fratello... Sì, ho risposto. Certo che me la sentivo, dovevo esserci». Alle cinque del mattino ha suonato il campanello della casa dei suoi: «Oddio che c’è? Cos’è successo?» si è allarmato suo padre. «Adesso salgo e ti spiego».
«Ho fatto più in fretta che ho potuto. La casa è all’ultimo piano, temevo che gli venisse un colpo. Avrà sicuramente pensato che fosse capitato qualcosa di brutto all’altro mio fratello o a mia madre... Non so descrivere la disperazione che ho visto sulla sua faccia quando ha saputo la verità». Fabrizio l’ha portato in una stanza, aspettando che i colleghi finissero con Mirko e con la perquisizione. «Gli ho spiegato come stavano le cose, ho cercato di usare le parole migliori che avevo, l’ho visto piangere e so esattamente che cosa ha provato in quel momento e che cosa prova. È un uomo d’altri tempi, trova troppo trasgressivo perfino un tatuaggio, s’immagini cos’erano i suoi occhi mentre gli dicevo che Mirko è accusato di aver fatto l’autista di una banda di spacciatori...».
A casa Raspa gli occhi dei due fratelli si sono incrociati soltanto un momento. «Gli ho solo detto "sei un deficiente". La cosa che mi fa più rabbia è che lui quasi non si rende conto di quanto è grave quel che ha fatto. Ha 27 anni, è incensurato, è la prima volta che mette piede in carcere. Dico io: al posto suo sarei disperato. Lui niente, era qui in commissariato a ripetere "non ho fatto nulla, guidavo e basta", come se non fosse consapevole di cosa significa andare in galera. Non capisce di essere un ragazzo fortunato. I miei genitori gli hanno dato tutto, gli hanno pagato la scuola per fare l’operatore sanitario, si sono fatti in quattro per lui. E lui che fa? Rischia il suo futuro così...».
Le parole escono di corsa, Fabrizio si ferma un istante a riprendere fiato e forse pensa di aver detto cose troppo dure. «Mirko non è una cattiva persona» sospira, «è solo che si lascia trascinare dagli altri. Io non lo voglio difendere, ormai quel che è fatto è fatto. Comunque non riesco a pensarlo come un criminale. Se spacciasse droga ai bambini davanti alle scuole lo ammazzerei con le mie mani. Invece è soltanto uno scemo».
Fabrizio ha 38 anni, una moglie e un bimbo di 10 anni, mai fumato una sigaretta, niente alcolici, droga nemmeno a sentirla nominare, studi da perito aeronautico, e divisa da poliziotto da 18 anni. Domani, armato di tutta la pazienza che può, andrà in carcere a trovare Mirko, a cercare di capire come e se «tutta questa storia possa diventare una lezione, un’opportunità per cambiargli la vita». Gli parlerà con la stessa dolcezza che ha usato per spiegare a suo figlio che lo zio è in prigione. Perché comunque, anche se lui non lo dice mai, gli vuole bene.
Giusi Fasano