Arnaldo Benini, Domenica-Il Sole 24 Ore 22/4/2012, 22 aprile 2012
DEMENZA SENILE, DATI IMPRESSIONANTI
La Alzheimer Association degli Stati Uniti ha pubblicato il rapporto del 2012 sulla demenza nell’età avanzata. Natura, causa (o cause) e patogenesi della malattia di Alzheimer rimangono oscure. Il rapporto ribadisce che non esistono prevenzioni e cure efficaci. Se l’aspettativa di vita continuerà a crescere e non si troveranno rimedi, la demenza senile manderà l’umanità allo sbaraglio. La percezione del pericolo non sembra sufficientemente diffusa. La Fondazione Golgi Cenci, inaugurando il suo centro di ricerca sulla demenza ad Abbiategrasso, sottolinea giustamente che si tratta di «una di quelle malattie che mettono in crisi l’intero sistema di cura sul piano dei principi e dell’organizzazione». La battaglia contro la demenza richiede un enorme sforzo di ricerca coordinato a livello planetario, e l’assistenza quotidiana alle persone colpite. La Fondazione Golgi Cenci ha preso un impegno esemplare. I dati biomedici ed economici dello studio americano, che per ampiezza e accuratezza sono rappresentativi di tutto il mondo, parlano da soli. 5 milioni e 400 mila americani sono dementi, circa 200 mila già prima dei 65 anni. La "baby boom generation" sta superando quell’età e gli ultraottantantenni saranno presto 21 milioni, di cui la metà dementi. Il loro numero sarà cresciuto del 130% rispetto al 2000, con prevalenza delle donne perché esse vivono più a lungo. Altrove le previsioni sono ancora peggiori. In Svizzera, ad esempio, si calcolava che il numero di malati di Alzheimer (110mila) sarebbe raddoppiato entro la metà del secolo. Ora si ha ragione di credere che sarà quintuplicato.
L’incidenza della demenza aumenta con l’età. Per questo si pensa che la sua causa sia l’invecchiamento. Il rapporto dell’Alzheimer’s Association registra 53 nuovi casi ogni mille persone per anno in età fra i 65 e i 74 anni, 170 nuovi casi fra i 75 e gli 84 anni, 231 oltre gli 85 anni. La supposizione che nei novantenni l’incidenza diminuisca non è confermata. La sopravvivenza (il dato generico va da quattro a dieci anni) è difficile da valutare per l’insidiosità con cui il deficit mentale insorge. Il decorso è tanto più rapido quanto più giovane è l’ammalato. La persona con Alzheimer passa la metà della durata della malattia nella sua forma più grave. La diagnosi si pone con i segni neuropsicologici precoci (diminuzione della memoria, dell’orientamento spazio-temporale, della capacità di concentrazione), con risonanze magnetiche particolari del cervello e con la ricerca dei cosiddetti "biomarker" nel sangue e nel liquido cerebrospinale. I biomarker indicano se le proteine tau e beta-amiloide, ritenute responsabili del danno, si stiano accomulando nel cervello. I biomarker possono essere presenti in adolescenti e in persone che per anni o per tutta la vita non manifesteranno segni di demenza. Quando cominciare la loro ricerca, se gli accumuli di proteine nel cervello possono rimanere silenti a lungo o per sempre (il cosidetto Alzheimer senza Alzheimer)? Se i marcatori sono positivi in persone mentalmente intatte, che cosa dire a loro e ai familiari? Uno degli impegni più delicati dei centri di ricerca, come la fondazione di Abbiategrasso, è la definizione della strategia condivisa dei biomarker (cfr. www.thelancet.com/neurology vol.10 July 2011). Altro compito è la protezione, l’accompagnamento e l’aiuto alla persona colpita. I dati del rapporto americano sugli aspetti sociali e finanziari dell’Alzheimer sono impressionanti. Anche da loro si capisce che in questa battaglia l’umanità si gioca il futuro.