Marco Fortis, Il Sole 24 Ore 22/4/2012, 22 aprile 2012
I SACRIFICI CHE CI STANNO SALVANDO
L’azione di recupero di credibilità da parte dell’Italia portata avanti dal Governo Monti, che è assolutamente essenziale per rimanere ben lontani dal gorgo greco, si basa sui fatti e sui numeri. Chi ritenesse troppo ottimistici quelli del Documento di economia e finanza (Def) messo a punto dal nostro Esecutivo può sempre fare affidamento sulle proiezioni neutrali dell’ultimo Fiscal Monitor del Fondo Monetario Internazionale, che sono parecchio più pessimistiche. Ma la sostanza non cambierebbe di molto. Infatti, le nostre finanze statali stanno migliorando in modo importante e secondo l’Fmi nel 2013 il bilancio italiano aggiustato per il ciclo sarà positivo, pari allo 0,6% del Pil (esattamente come nel Def).
È vero che l’Italia è in recessione. Tuttavia, gli enormi sacrifici che stiamo facendo soprattutto sul piano delle tasse (e che andrebbero accompagnati anche da qualche coraggioso passo dal lato del taglio della spesa) almeno stanno producendo e produrranno dei risultati concreti sui conti pubblici italiani. Mentre in altri Paesi "sorvegliati speciali", come la Spagna, ciò non sta avvenendo per niente. Purtroppo, i mercati non sembrano per ora cogliere questa nostra diversità positiva e lo spread resta in tensione. Eppure l’Italia produrrà nel triennio 2011-2013 il più grande bilancio primario statale cumulato delle economie avanzate censite statisticamente dall’Fmi. Solo due Paesi del tutto particolari, Paesi letteralmente "fuori concorso" a causa delle loro ingenti risorse finanziarie (al punto che essi dispongono persino di Fondi sovrani per gestire i propri surplus), faranno meglio dell’Italia: la Norvegia e Singapore. Nessun’altra economia avanzata "normale" al mondo nel 2011-2013 riuscirà a generare neanche lontanamente un avanzo primario cumulato pari al 7,8% del Pil come farà l’Italia. Nemmeno la Germania, che si fermerà al 3 per cento. Non lo dice il Def, bensì lo affermano le statistiche dell’Fmi.
Nello stesso periodo è vero che altri Paesi sviluppati potranno ostentare un pugno di decimali di crescita del Pil in più dell’Italia, ma saranno schiacciati da disavanzi statali primari cumulati imponenti perché la loro crescita economica continuerà a essere finanziata in deficit: la Francia avrà un deficit primario cumulato nel triennio pari al 6,6% del Pil, il Canada del 9,7%, l’Olanda (che rischia di perdere la tripla A) del 10,2%, la Danimarca del 10,8%, la Spagna del 13,2%, il Regno Unito del 15,1%, gli Stati Uniti del 17,8% e il Giappone addirittura del 25,5 per cento.
Lo stesso Fiscal Compact, in prospettiva, è "demolito" virtualmente dalle proiezioni dell’Fmi, ancor prima che ci pensi il candidato favorito alla presidenza francese François Hollande. Ma ciò avverrà non certo per colpa dell’Italia. Anzi, tra le grandi economie firmatarie del Patto solo il nostro Paese, assieme alla Germania, appare in grado di presentare sull’orizzonte 2012-2014 non soltanto un rapporto deficit/Pil sotto il 3% di Maastricht ma anche quello più ambizioso di un deficit strutturale aggiustato per il ciclo inferiore allo 0,5 per cento. Gli altri tre maggiori Paesi dell’Eurozona (e anche molti Paesi più piccoli) sono ben lontani, secondo le statistiche dell’Fmi, dai target ideali dell’Europa col cilicio sognata dalla Merkel. A cominciare dalla Spagna, che persino nel 2014 avrà ancora, secondo l’Fmi, un deficit/Pil del 5,2% e un deficit strutturale del 3,5%, per continuare con la Francia (-3,1% e -2,3%, rispettivamente) e concludere con la ex virtuosa Olanda (-4,7% e -3,3%). Se il buongiorno del Fiscal Compact si vede dal mattino...
Ma perché gli italiani dovrebbero fare tutti i sacrifici che stanno facendo e che il Def prevede? Perché dovrebbero farlo se nessun’altra economia europea importante, Germania a parte, è in grado di avvicinarsi nel medio periodo agli obiettivi del Fiscal Compact?
In primo luogo, perché i mercati ci tengono nel mirino e gli italiani e soprattutto i loro partiti (che spesso hanno la memoria corta) devono ricordarsi che solo cinque-sei mesi fa stavamo per precipitare in un autentico baratro, nel pieno di una perdita di fiducia enorme nei confronti del nostro Paese, con il conseguente rischio di una drammatica crisi di liquidità: rischio che non possiamo assolutamente più permetterci di correre, dato l’elevato livello storico del nostro debito pubblico. In secondo luogo perché solo ottenendo sul campo importanti risultati in termini di risanamento delle finanze pubbliche, che altri grandi Paesi partner (Spagna, Francia, Olanda) non riescono invece a conseguire, dimostreremo alla Germania in modo matematico che la causa vera della crisi dell’euro non siamo noi italiani ma è il vicolo cieco in cui un’Eurozona (messa persino meglio di Stati Uniti e Gran Bretagna) è riuscita stoltamente a infilarsi: in primo luogo, per l’inazione della stessa Berlino sulla Grecia, col conseguente allargarsi del contagio; e poi a causa dell’eccessivo rigore senza sviluppo che i tedeschi hanno preteso di imporre per recuperare una situazione sfuggita di mano.
Tra non molto, quando apparirà sempre più chiaro dai numeri che l’Italia sarà l’unica ad aver rispettato gli impegni europei, avremo finalmente recuperato non solo la credibilità ma anche l’autorità necessaria per chiedere alla Germania di fare di più per la crescita e di avviare un progetto continentale per la stessa, magari attraverso quegli eurobond che finora sono stati osteggiati in modo poco lungimirante.