Fabrizio Galimberti, Il Sole 24 Ore 22/4/2012, 22 aprile 2012
IL TERMOMETRO CHE MISURA LA “FEBBRE” DEL LAVORO
Tutti sanno che cosa vuol dire essere disoccupati. Ma non tutti sanno quanto sia nebuloso il concetto di "disoccupazione". Quando leggiamo sui giornali o sentiamo alla tv che la disoccupazione è salita o scesa, che cosa vuol dire esattamente? Cominciamo col dire che, per essere disoccupati, bisogna essere né troppo giovani né troppo vecchi. Ma prima di parlare di come si fa a definire il disoccupato, parliamo di come si fa a "trovare" il disoccupato.
Per trovare i disoccupati ci sono due metodi. Il primo è amministrativo. Sono disoccupati coloro che si iscrivono in un registro apposito. Queste liste esistono in molti Paesi e sono utili per far incontrare domanda e offerta di lavoro. Se un imprenditore vuole trovare, mettiamo, un pasticcere, usa gli uffici in cui si trovano queste liste e si mette in contatto col disoccupato che vuol trovar lavoro come pasticcere. Queste liste servono anche per chi vuole ottenere il sussidio di disoccupazione. Ma il metodo amministrativo non è adeguato allo scopo, se lo scopo è di sapere quanti disoccupati ci sono in un Paese. Non è adeguato per difetto e per eccesso. Non è adeguato per difetto, perché ci sono tanti che per trovar lavoro non si iscrivono fra i disoccupati, ma lo cercano con altri mezzi (conoscenze, annunci economici). E non è adeguato per eccesso perché ci possono essere quelli che si iscrivono solo per avere il sussidio di disoccupazione ma non hanno intenzione di lavorare.
Il secondo metodo è quello adottato praticamente in tutti i Paesi. Si tratta delle interviste in cui il rilevatore bussa alla porta - o, più comunemente, telefona - e chiede a chi risponde se è occupato, disoccupato, o se è fuori della forza-lavoro. Cosa è la forza lavoro? La forza-lavoro è composta da tutti coloro la cui età è compresa fra 15-16 anni (quando finisce la scuola dell’obbligo) e 74 anni: questi "coloro", però, devono essere occupati o disoccupati. Le casalinghe (o i "casalinghi"), i pensionati o chiunque altro non sia né occupato né disoccupato, non fanno parte della forza-lavoro.
A questo punto vi verrà un dubbio. In Italia siamo oltre 60 milioni, in Germania oltre 80 milioni, in America oltre 300 milioni. Vengono intervistati tutti per sapere quanti disoccupati ci sono? Certamente no. Il costo dell’operazione sarebbe probitivo. Viene usata una tecnica statistica detta campionamento. Il campione è limitato nel numero (parliamo di decine o centinaia di migliaia di intervistati, non certo di milioni) ma, se all’inizio è stato ben determinato in modo da essere rappresentativo dell’intera popolazione (ben distribuito sul territorio nazionale), i risultati sono affidabili.
L’estrazione delle famiglie da intervistare viene fatta in modo casuale, dalle liste delle anagrafi comunali. "Casualità" sembra una parola poco affidabile, ma non è così. Provate a fare un esperimento, una stima fatta in casa. Affacciatevi alla finestra, state lì per mezz’ora e contate, fra le macchine che passano per strada, quante sono di marche italiane e quante straniere. Vi assicuro che, una volta fatta la conta e calcolate le percentuali di macchine italiane o straniere, il risultato cui arriverete, sulla base di questa rilevazione "casuale", sarà molto vicino alla cifra vera, quale risulta dalle ponderose statistiche sullo stock di macchine immatricolate in tutta Italia (in questo caso la stima è facilitata dal fatto che la percentuale di macchine italiane o straniere non varia di molto nelle diverse regioni).
Veniamo allora ai disoccupati. L’intervistatore non si accontenta di chiedere a uno se è disoccupato o no. Gli chiede se è disponibile a lavorare subito, e se ha fatto, nelle ultime settimane, azioni concrete di ricerca di un posto di lavoro. Solo se soddisfa queste due condizioni è classificato come disoccupato. Già questa definizione, piuttosto stretta, apre la porta ad altre definizioni allargate. Se uno è disponibile a lavorare ma non ha fatto niente per cercar lavoro nelle ultime due settimane? E se uno è disponibile a lavorare ma solo vicino a casa? E se uno è disponibile a lavorare ma solo per un salario maggiore di x? E se uno vorrebbe lavorare ma ha rinunciato a cercare dopo mesi o anni di tentativi infruttuosi? E se uno lavora a metà tempo ma vorrebbe lavorare a tempo pieno è un "mezzo disoccupato"?
Come vedete, ci possono essere tante definizioni di disoccupato, ma quella che si usa di solito è quella detta sopra, la definizione stretta. L’Istat - il nostro Istituto di statistica - e l’Unione europea rilevano tuttavia anche altre misure. L’anno scorso, per esempio, in Italia vi erano 2.108.000 disoccupati, ma vi erano anche ben 2.897.000 persone disponibili a lavorare ma che non cercavano lavoro (quasi la metà di questi erano "scoraggiati"). Erano 121mila quelli che cercavano lavoro ma non erano pronti a lavorare. E poi v’erano 451mila persone che lavoravano part-time perché non riuscivano a trovare un lavoro a tempo pieno.
Oggi il tasso di disoccupazione in Italia, se pure più basso rispetto a quello medio dei Paesi dell’euro, è crescente, e ha superato il 9% nell’ultima rilevazione. La riduzione della disoccupazione in Italia fra il 1997 e il 2007 ha avuto un prezzo. La maggiore flessibilità dei contratti aveva portato alla formazione del cosiddetto "precariato" - i posti di lavoro diventavano incerti, di breve durata, con scarsi contributi pensionistici. Un mercato del lavoro che funziona bene deve coniugare ragionevoli prospettive di stabilità dell’impiego e flessibilità sia in entrata che in uscita. Si tratta di una sfida difficile e, fra le economie occidentali, quelle che sono riuscite meglio in questa sfida sono forse quelle scandinave. In Italia sono in discussione riforme per migliorare questo difficile scambio fra sicurezza e flessibilità.