Federico Rampini, la Repubblica 23/4/2012, 23 aprile 2012
Petrolio, soldi e protezionismo adesso l’Argentina non piange più – Non poteva esserci migliore pubblicità per il revival del musical "Evita" a Broadway: i leader di tutte le Americhe s’interrogano sul ritorno del peronismo in Argentina
Petrolio, soldi e protezionismo adesso l’Argentina non piange più – Non poteva esserci migliore pubblicità per il revival del musical "Evita" a Broadway: i leader di tutte le Americhe s’interrogano sul ritorno del peronismo in Argentina. Le nazionalizzazionie il protezionismo di Buenos Aires prenderanno il posto dei due miti in declino nella sinistra latinoamericana, cioè Cubae Venezuela?A rilanciare il "modello argentino" - spaccando il continente fra sostenitori e detrattori - è la spregiudicata mossa di Cristina Fernández de Kirchner che ha deciso di nazionalizzare la più grande compagnia petrolifera del paese, Ypf. Per una ironia della storia, anche stavolta sembra che le "fortune" dell’Argentina siano in qualche modo legate alle disgrazie della Vecchia Europa. Nel caso attuale la vittima è la Spagna. Come non bastassero la recessione, la disoccupazione record, perfino la caduta di prestigio della sua monarchia, Madrid subisce l’attacco a una multinazionale che finoa poco fa era un suo fiore all’occhiello. La spagnola Repsol infatti è l’azionista di controllo di Ypf (col 57% del capitale) e si vede "sfilare" un pezzo strategico del suo patrimonio per effetto della nazionalizzazione. La Spagna ha un bel minacciare ritorsioni, spalleggiata anche dall’Unione europea: in realtà gli strumenti per punire l’Argentina non ci sono. La ragione, paradossalmente, sta nell’eredità del default sovrano che colpì quel paese nel 2001, una bancarotta di Stato da 100 miliardi di dollari che provocò gravi perdite ai risparmiatori europei, soprattutto gli italiani. In conseguenza di quel crac e del contenzioso giuridico internazionale che ne è seguito, da un decennio l’Argentinaè di fatto tagliata fuori dai mercati finanziari globali. Dunque è difficile "isolarla" dai flussi di finanziamento più di quanto non lo sia già. La memoria del default sovrano peraltro giova alla Fernàndez. Il populismo di sinistra della presidente, al potere dopo la morte del marito Néstor Kirchner nel 2010, ha buon gioco a denunciare i "due pesi e due misure" con cui oggi il Fondo monetarioe la comunità internazionale affrontano le crisi finanziarie di Grecia e Spagna: quando i paesi indebitati erano in Sudamerica, i tecnocrati del Fmi non usavano i "guanti di velluto". È destino che il dibattito sulle prospettive economiche dell’Argentina s’intrecci con le vicissitudini del Vecchio continente da cui arrivarono i colonizzatori: 100 anni fa l’Argentina era già "emergente", aveva un reddito pro capite molto superiore alla Spagnae uguale alla Francia, proprio mentre l’Europa entrava nella fase del suo declino secolare. La radicalizzazione a sinistra della Fernàndez può sembrare l’ennesima oscillazione del pendolo in un paese che ha sperimentato le ricette più estreme: l’autarchia di stile fascista ma con toni di populismo di sinistra sotto Juan Domingo Peròn e la First Lady Evita dal 1946 al 1955; la dittatura militare dal 1976 al 1983 con la prima escalation dei debiti; l’ultraliberismo di Carlo Menem negli anni Novanta che piacque agli Stati Uniti e al Fmi fino al disastro del default. Oggi il ritorno di attenzione verso il caso argentino coincide con una fase profondamente diversa. Le critiche che sono piovute sulla Fernàndez per la nazionalizzazione di Ypf, dagli Stati Uniti e dall’Europa, sono poco credibili dopo che la grande crisi iniziata nel 2008 ha indebolito il modello neoliberista. Nelle potenze emergenti guidate dal club dei Brics avanzano formule di economia mista, il capitalismo di Stato cinese o la socialdemocrazia del Brasile. La svolta della Fernàndez sfrutta il varco che si è creato per il declino della leadership degli Stati Uniti. In America latina sono al crepuscolo le vecchie "star" dell’estrema sinistra, il castrismo cubano è costretto ad accettare una transizione verso il mercato, Hugo Chavez è moribondo fisicamente e nella sua credibilità politica. L’Argentina si candida come nuovo "faro" del campo socialista, che dalla Bolivia al Nicaragua all’Ecuador continua ad avere radici nel continente. Per Barack Obama gli interlocutori privilegiati sono altri: la sinistra moderata che lui preferisce è quella di una altra donna presidente, la brasiliana Dilma Rousseff. Anche la stella nascente che è la Colombia, e ha ospitato a Cartagena l’ultimo summit delle Americhe, si riconosce nella moderazione brasiliana insieme a Cile, Messico, Perù e Uruguay. Ma il modello-Brasile di Lula e della Rousseff, pur risparmiandosi le "provocazioni" argentine, contiene anch’esso robuste dosi di protezionismo, politiche redistributive, intervento statale nell’economia. In quanto all’Argentina, la speranza dell’Unione europea che la nazionalizzazione del petrolio sia un autogol alla Chavez, potrebbe rivelarsi un’illusione. Le riserve di "shale gas" scoperte in Argentina sono al terzo posto mondiale. Trainata dal boom delle materie prime e dai nuovi mercati asiatici, l’economia argentina può guardare al precedente della Russia: le angherie di Vladimir Putin contro le multinazionali straniere non hanno impedito che i petrolieri occidentali tornassero a investire a Mosca.