Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  aprile 23 Lunedì calendario

Il Cerchio di Maroni – VARESE POCHI nella Lega capivano il jazz. Troppe cravatte sbagliate, direbbe Paolo Conte

Il Cerchio di Maroni – VARESE POCHI nella Lega capivano il jazz. Troppe cravatte sbagliate, direbbe Paolo Conte. In compenso, man mano che saliva la stella di Maroni, sono diventati tutti fanatici del rithm n’ blues. VARESE «LADIES e gentlemen, il distretto 51!». I concerti della band dell’ex ministro sono un culto a Varese e dintorni, con bagarinaggio e improbabili nuovi adepti in coda all’ingresso. «Sei proprio sicuro che non sia jazz?» chiede preoccupata la signora col foulard verde padano al collo. «Ma no, che è una roba divertente, ballabile», la rasserena il marito. «Alla voce Johnny Daverio! Alle chitarre Peppo Nasoni e Gegé Rossi! Al sax Ivan Caico! Al basso Maurizio Carosi! Alle percussioni Marco Caccianiga! Al piano Luca Fraula! All’organo hammond Bobo Maroniiii!». Compagni di scuola, insieme al liceo, al militare, in vacanza: amici di sempre. Gli stessi miti, a cominciare dal venerato Bruce Springsteen. Da vent’anni, appena The Boss s’affaccia in Italia, il gruppo al completo si sbatte per trovare i biglietti, da quando toccava fare la colletta all’ultima volta, due anni fa all’Olimpico a Roma, quando il ministro fece il diavolo a quattro per portare la band al completo in tribuna Vip. E poi James Brown, Otis Redding, i CCR (Creedence Clearwater Revival), i film di John Belushi, la serie di Happy Days. Gli stessi hobby, la barca a vela, il calcio, il basket dell’Ignis degli anni d’oro. Gli stessi luoghi della dolce vita varesina, lo struscio e l’aperitivo in viale Matteotti, i ristorantini sul lungolago, la mattina in cui si marinava la scuola sui campi del Sacro Monte, gli appuntamenti alla libreria Pontiggia, una delle migliori d’Italia,i pomeriggia Radio Varese e le serate allo Splasc (h) Club di Induno Olona. Il bello di ritrovarsi alla finea suonare sul palco e avere per tre ore ancora vent’anni. Il cerchio magico di Bobo Maroni è un cerchio ludico. Al quale è legatissimo. Si dice che nel dossier di Belsito, fra accuse d’ogni tipo, dalle tangenti milionarie ai soldi per le barche, ad aver ferito di più Bobo sia stata l’accusa di favoritismi nei confronti dei compagni della band. «Piazzati dal moralizzatore della nuova Lega in Asle ministeri senza averne alcun titolo» come scrive ogni giorno l’organo web (non ufficiale) del cerchio magico, l’anonima Velina Verde. Forse anche perché, a differenza dell’improbabile tangentona di 54 milioni trafugata dalla Libia di Gheddafi, questa storia un po’ di verità la contiene. Sono a capo di due Asl lombarde un chitarrista e il sax, mentre la voce lavora al ministero. Ma non è vero che non abbiano i titoli, Gegè Rossi e Ivan Caico sono due bravi medici e Johnny Daverio è a detta di molti, anche di sinistra, un ottimo esperto di assistenza sociale. Senza contare che tutta la band, ex rampolli della Varese bene, ha fatto carriera. Da gruppettari guevaristi degli anni Settanta a yuppies di successo negli Ottanta, oggi stimati professionisti, chi nel giornalismo come Elio Girompini al Corriere della Sera, chi come avvocato, manager, imprenditore. Quasi nessuno vota Lega. Il leader storico, Peppo Nasone, era un militante del Pci e pare si sia sorpreso quando ha letto sulla Prealpina della carriera politica di Bobo («Ma non eri un compagno del Manifesto?»). L’unico altro leghista è il percussionista Marco Caccianiga, assessore allo sport di Varese, ma famoso più che altro per la sua sconfinata passione per il calcio brasiliano. Una volta si rivolse cosi al prefetto: «Mi scusi se non la chiamo eccellenza, ma io chiamo eccellenza soltanto Pelè». Quanto alla musica, sono davvero «very funny», come da locandina, alcuni molto bravi. Se la cava mica male anche l’ex ministro, comunque preferibile all’hammond che alle politiche sull’immigrazione. Il fatto è che il cerchio magico intorno a Bossi e il cerchio ludico di Maroni rappresentano due mondi lontani, sia pure separati da pochi chilometri, che si odiano soltanto come si può odiare in provincia, con furore antropologico. I varesini fighetti dei salotti borghesi di Maroni, gli stessi che nella versione più cosmopolita issano oggi al mondo l’icona di Mario Monti e del suo governo di ottimati bocconiani, e d’altra parte i varesotti venuti giù dalla pedemontana col diploma fasullo. È già un miracolo che si siano incrociati i destini di quei due, Bossi e Maroni, fra distanze siderali di carattere e percorsi, lontani quanto possono esserlo un occhialino rosso griffato da una canottiera. Bossi che da ragazzo cuoceva le salamelle alle feste dell’Unità e Maroni che faceva l’extraparlamentare al liceo classico Cairoli, fucina della borghesia cittadina, infiammato come tanti dalle lezioni marxiste del professor Cesare Revelli, padre del ’68 varesino. L’uno che ben oltre la trentina ancora fingeva di dare gli esami all’universitàe l’altro che a 25, fresco di laurea, si preparava a fare i soldi nei migliori studi legali. Quello che predicava l’autonomismo nelle birrerie e Bobo che frequentava fin da ragazzo villa Malerba, i re delle calze, amico del cuore del giovane Massimo, buono e sfortunato, morto qualche anno fa. Uno che s’inventa di sana pianta il mito ignorante della Padania e l’altro che, pur di non parlare di Padania, prende a prestito la metafora letteraria dei «barbari sognanti» da un raffinato scrittore triestino, Scipio Slapater, sconosciuto anche ai leghisti con studi regolari alle spalle. «Abbiamo chiarito un pò di cose - ha detto ieri Maroni -. Bossi ha avuto parole lusinghiere sul mio conto, di grande apprezzamento, che mi hanno fatto molto piacere». Ma se i due poli opposti si sono sempre attratti, si capisce anche le ragioni per cui le rispettive cortio cerchi riescanoa detestarsi con tanto trasporto. Nel caso dei maroniani, per la precisione, si dovrebbe parlare oggi di disprezzo. In Corso Matteotti, davanti a un Margarita da quindici euro al tavolino, Lele, amico del «Distretto» e maroniano di ferro, lo spiega per bene: «Vuoi la verità? Quello che ha fatto più male a noi non sono nemmeno gli scandali, le ruberie. È questa meridionalizzazione quotidiana dell’immagine della Lega. I titoli di studio comprati, i libri di magia nera in casa Bossi, quella pescivendola della Rosi Mauro messa al sindacato padano e alla vice presidenza del Senato, i figli di Bossi che so’ piezz’ e core, come dicono a Napoli, i diamanti e i lingotti, il Belsito in affari con i suoi compaesani ’ndranghetisti. Diciamola tutta, è roba da Terronia e della peggiore». Ed è questo essere trattati da parte dei maroniani come i «terroni della Lega» a far impazzire di rabbia quelli del cerchio magico. Non bisogna dimenticare che la rottura definitiva fra maroniani e cerchio si consumava in gennaio sul voto in Parlamento per l’arresto di Cosentino, accusato dai pm di essere l’uomo dei casalesi nelle istituzioni. I maroniani votarono per l’arresto e a Bobo il giorno dopo fu ordinato di non parlare più in pubblico a nome del partito. Sembrava la fine del delfino e invece, complice la rivolta degli ascoltatori di Radio Padania, si rivelò l’inizio della scalata al trono di Bossi per Bobo l’onesto, eletto eroe della rivolta contro la «meridionalizzazione della Lega». Le due Leghe si sono sopportate fin tanto che c’era da spartirsi il potere, le poltrone di governo all’ombra del generoso ombrello di Berlusconi. All’opposizione il compromessoè saltatoe il governo Monti sembra fatto apposta per arroventare l’odio antropologico fra le due tribù. Si capisce anche dal diverso atteggiamento nei confronti del governo tecnico. Maroni critica i singoli provvedimenti, soprattutto l’Imu e il taglio ai comuni, ma non sposa la guerra ideologica e i toni ultra populisti di Bossi contro il «servo delle banche e dei poteri forti». Nella Varese borghese dei cerchi ludici e degli ex bocconiani, Mario Monti è del resto un simbolo e un vanto cittadino. Per questo la Velina Verde accusa i maroniani di essere «massoni in combutta con i banchieri». In comune le opposizioni hanno messo in grave imbarazzo il sindaco Attilio Fontana, avvocato e braccio destro di Maroni, proponendo di assegnare al premier natoa Varese l’ambita Martinella del Broletto, premio cittadino per i varesini illustri, in pratica l’ambrogino d’oro locale. A parte le sceneggiate da comizio e ai microfoni di Radio Padania, quello che conta nella Lega è il parere degli industriali della provincia, fra i quali tira aria pesante nei confronti dei bossiani. In appena quattro mesi gli industriali di Varese si sono già stancati della Lega di lotta e vogliono tornare in fretta al governo, con chiunque. «I danè non son fatti per stare all’opposizione». Non bastasse, hanno pure puntato sul cavallo sbagliato in Confindustria, Bombassei sconfitto da Squinzi, e ora per la prima volta Varese è fuori da tutti gli organigrammi di viale dell’Astronomia. Infine, la crisi picchia duro e c’è bisogno di sostegni, aiuti da Roma, investimenti per risollevare Malpensa dalla catastrofe. All’unione industriali Roberto Ceroni dipinge un quadro deprimente: «Io faccio trenta licenziamenti al giorno, padri e madri di famiglia. Nonè mica un bel mestiere. Il territorio non è più attraente, chiude un’impresa al mese e un’altra delocalizza». Chiudono e scappano all’Est, in Serbia o Romania, ma anche soltanto in Svizzera, a venti chilometri di distanza. «Appena ti lasci alle spalle il confine di Chiasso, i costi si abbattono del venti per cento e ti sei levato dalle palle la peggior burocrazia del mondo». Questo è il vero tesoro perduto dalla Lega, altro che i diamanti con i quali Belsito voleva fare le collanine per passare la dogana di Chiasso.