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 2012  aprile 23 Lunedì calendario

LA RINASCENTE E IL MITO DELLE COMMESSE. LA STRATEGIA DELLA SEDUZIONE

Le commesse della Rinascente? «Belle ragazze in abiti vivaci che suscitavano pensieri amorosi», ricordava il giornalista-scrittore Gaetano Afeltra in un evocante elzeviro («Memorie d’un emigrato») sulla sua calata a Milano negli anni Trenta. Commesse che a lui, giovanotto amalfitano, avevano suscitato immediato entusiasmo come altre gustose milanesità, tipo «il risotto con i funghi, gli ossibuchi mantecati e i nodini». Ovvero la seduzione dei sensi, nei suoi diversi livelli, raccontata con letteraria delicatezza.
Nel presente invece, alle commesse della Rinascente di Firenze non è affatto apparso delicato che per pubblicizzare Rinascentecard (ultima carta d’acquisto) abbiano dovuto ostentare sul petto una spilla con l’ambiguo slogan «Averla è facile. Chiedimi come».
Pare che il proverbiale, caustico umorismo fiorentino (maschile) sia andato a nozze con il possibile doppio senso: da lì le pretestuose richieste di dettagli legati soprattutto a quel «come». Evidente l’imbarazzo delle commesse per cui già in particolari giornate è previsto un look in tacchi alti, minigonna e altra spilla al petto con sigla T.V.T.B. Che gioca sul tormentone adolescenziale «Ti Voglio Tanto Bene» ma richiama invece un promozionale «Tutti Vorranno Trattarti Bene», rivolto a clienti bisognosi di consigli, dal trucco al nodo della cravatta.
Tutto è cominciato così, come uno sfogo quasi estemporaneo. E ora ecco il fiorire di indici puntati («No al corpo mercificato»), da blog postfemministi ma anche da politici e segretari nazionali confederali.
Né sono servite granché le puntualizzazioni della direzione generale di Milano. Che ha letto della bagarre sui media ma che dalle commesse fiorentine (uniche nelle varie sedi a obbiettare) non ha mai ricevuto lagnanze dirette. E che a proposito dell’ambigua spilla, indossata (senza disagi) pure dai commessi, ricorda sia vecchia di oltre tre anni. Ma a questo punto sarà più facile avere la tessera o la pacificazione?
Resta il fatto di come le commesse della Rinascente abbiano sempre costituito, come confermano le parole scritte da Afeltra, uno storico, ambito modello di seduzione pure se in un’Italia largamente più ingenua.
Soprattutto negli Anni 50, quelli della ricostruzione, un giro nei grandi magazzini a fianco del Duomo non rappresentava soltanto il sogno d’un nuovo standard di vita, d’una eleganza prima negata dalla guerra poi finalmente vagheggiata in quella ricchezza di colori, stoffe, creazioni. Per i giovani (uomini) del tempo era anche una specie di tappeto rosso su cui, lontano il tempo del self-service, ammirare centinaia di splendide vendeuse ben truccate, eleganti, profumate.
Massima zona di turbamento olfattivo appunto il reparto essenze (storicamente al piano terreno) dove fra sentori di mughetto, lavanda, vaniglia, apparivano e svanivano ragazze con allure da attrici e pazienza se stabilmente in atteggiamento fatalmente sussiegoso.
Data la celebrata avvenenza, di loro si scriveva come fossero categoria a parte. «Sono assunte preferibilmente sui 16 anni — si legge in una maxi-inchiesta del Corriere d’Informazione, anno 1958 — devono avere presenza, attitudine ai rapporti col pubblico e accento dialettale non troppo marcato».
Ci fosse stata la Lega, chissà come avrebbe preso l’indiscriminato richiamo al dialetto. E l’attitudine ai rapporti col pubblico? Prefigurava già spille e slogan sulla facilità di averla, quella preziosa tessera-shopping? Da escludere: stiamo pur sempre parlando di potenziali nonne delle attuali commesse.
Era risaputo che dietro l’ingresso del grande magazzino (lontana anche l’epoca delle zone pedonali), ci fosse stabilmente una parata di «macchinoni» e di «fuoriserie» in attesa di quelle belle uscite. E quando in qualche agiato salotto, dell’avvenente moglie d’un industriale si diceva fosse «ex commessa alla Rinascente», non valeva come sminuente ma più o meno alla pari di «ex indossatrice». Nel suo piccolo anche l’affascinante Lucia Bosè era stata commessa, seppure in una vicina boutique di canditi.
In ogni caso proprio all’ombra del marchio inventato da Gabriele d’Annunzio nel 1917, qualcuna di quelle ragazze ha costruito le basi per percorsi in technicolor. Come Agostina Belli, uno dei volti più affascinanti e popolari del cinema italiano negli Anni 70, notata proprio dietro un banco dal regista Carlo Lizzani e fatta esordire in Banditi a Milano. O come la grande Mariangela Melato che alla Rinascente ha fatto la vetrinista, come Giorgio Armani.
Gianluigi Paracchini