Massimo Gaggi, Corriere della Sera 23/04/2012, 23 aprile 2012
SU UN’ECONOMIA FRAGILE PESANO DI NUOVO I TIMORI DELLA «DERIVA SOCIALISTA» —
Mohamed El-Erian spiega che il suo fondo - PIMCO, gigante americano del mercato obbligazionario - scommette sui titoli italiani e spagnoli, convinto che non solo questi Paesi non sono insolventi, ma che non avranno nemmeno bisogno di aiuti esterni se la Spagna riuscirà a convincere i mercati di poter ristrutturare le sue banche e l’Italia farà progressi nella costruzione delle condizioni per una ripresa economica, oltre che nel contenimento del debito pubblico.
Una sortita confortante in giorni in cui - dopo il cauto ottimismo dei primi mesi dell’anno, con la ripresa americana e l’Europa al lavoro per tamponare la crisi delle economie più esposte e costruire, finalmente, la sospirata diga a protezione dell’euro - sui mercati sono tornate a pesare, più cupe, le ombre della crisi. L’accordo di massima raggiunto nel week end al Fondo Monetario per l’apertura di un «ombrello» protettivo da 430 miliardi di dollari che andrà ad aggiungersi al «firewall» europeo è giudicato sufficiente a tranquillizzare i mercati, almeno dal lato della tenuta dell’euro, nonostante malumori e riserve che hanno condizionato quel negoziato.
Ma è evidente che la situazione resta delicata, gli equilibri sono molto fragili come testimoniano le stesse, allarmate analisi degli economisti del FMI sulla debolezza delle banche dell’eurozona che presto potrebbero essere costrette a ridimensionare di nuovo i crediti concessi al sistema produttivo. Se fosse vero, sarebbero prospettive allarmanti, anche perché, nel frattempo il costo del denaro dà segni di ripresa in varie parti d’Europa.
Su questo diffuso nervosismo è destinato a pesare non poco anche l’esito delle elezioni francesi. Anche se gli analisti ritengono improbabile che il candidato socialista francese, se arriverà all’Eliseo, realizzerà davvero gli interventi radicali dal lato della tassazione e di una gestione meno severa del debito pubblico che ha annunciato durante la campagna elettorale, nelle condizioni attuali basta poco per produrre un cambiamento d’umore dei mercati.
Da giorni le reti televisive finanziarie Usa, per gran parte della giornata in mano ad «anchor» conservatori, trovano conferma alla loro analisi di un’Europa «socialista» ineluttabilmente alla deriva, proprio nel programma di Hollande di portare al 75 per cento il prelievo fiscale sui ricchi. Gli analisti più seri ritengono che il progetto resterà sulla carta, ma sono ugualmente allarmati dalla prospettiva di un indebolimento della solidarietà franco-tedesca su politiche di rigore a protezione dell’euro.
In realtà, le consultazioni tra ministri e banchieri tenute a latere dei «meeting» di primavera del Fondo Monetario e della Banca Mondiale hanno fatto emergere fattori un pò meno allarmanti, rispetto a quelli che hanno influenzato negli ultimi giorni i mercati. Il timore che l’effetto benefico dell’iniezione di liquidità di mille miliardi di euro decisa in autunno dalla Bce di Mario Draghi si stia già esaurendo, viene considerato infondato: per ora la disponibilità di credito all’economia non è intaccata e vari indicatori, compresi quelli dei rapporti interbancari, non giustificano il timore di un altro «credit crunch» come quello sventato nel novembre scorso.
Certo, gli «spread» sono tornati a salire, ma l’Italia sta cercando di riconquistare la fiducia dei mercati anche con azioni aggiuntive dal lato del contenimento della spesa e delle dismissioni. E un banchiere centrale europeo fa notare che la corsa dei risparmiatori a riempire i loro portafogli di Bund tedeschi che renderanno per anni molto meno dell’inflazione attesa si configura come l’acquisto di una costosa polizza assicurativa a protezione del proprio capitale: una situazione destinata a cambiare non appena emergerà un contesto più stabile e caratterizzato da migliori prospettive di ripresa come quelle che dovrebbero delinearsi per il 2013.
Tutti riconoscono, però, che gli equilibri sono fragili, il nervosismo elevato. E rimane il timore di «incidenti di percorso» imprevisti che, in una situazione così precaria, rischiano di minacciare i risultati degli sforzi fin qui fatti. Si spiega così la durezza con la quale, durante le riunioni di Washington, è stata condannata (pur senza sanzioni ufficiali) la decisione unilaterale dell’Argentina di nazionalizzare l’azienda petrolifera YPF: di fatto un esproprio della quota del 57 per cento detenuta dalla spagnola Repsol che rischia di costare cara alle banche iberiche, già assai vulnerabili, molto esposte in questa «joint venture».
Massimo Gaggi