Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  aprile 23 Lunedì calendario

La vedova del pescatore indiano: «Ora possiamo perdonare i marò» - «Ho perdonato i due marines italiani perché credo in Dio

La vedova del pescatore indiano: «Ora possiamo perdonare i marò» - «Ho perdonato i due marines italiani perché credo in Dio. Qualsiasi crimine abbiano compiuto sarà il Signore a giudi­carli », sussurra con il viso spento, Dora Valentine. La vedova di Jele­stine, uno dei due pescatori india­ni uccisi in alto mare, ci accoglie nella sua povera casa, ma robusta ed in muratura, a Kollam. Lei è convinta che a compiere «que­st’atto folle» siano stati Massimi­liano Latorre e Salvatore Girone, i due marò in carcere in India. Loro sostengono di aver sparato, solo in acqua, dalla petroliera Enrica Lexie, per respingere un attacco dei pirati. La prima stanza, dopo l’ingres­so, è avvolta dalla penombra. Su una parete c’è una specie di altari­no con la foto del baffuto marito, che per mantene­re la famiglia face­va il pescatore. Vi­ta dura: almeno tre settimane al mese nell’oceano con un salario pro­porzionale al pe­scato, che rara­mente superava le 10mila rupie (150 euro). Di fronte a noi, oltre all’immagi­ne di Gesù, svetta una statuetta della Madonna e la Bibbia. Il figlio diciottenne, Der­rik, con ancora l’apparecchio per i denti, spilungone e dallo sguardo un po’ perso, oggi sosterrà l’esa­me per entrare nel college. «Papà voleva che mi imbarcassi come uf­ficiale di macchine. Farò l’inge­gnere, ma mai per mare dopo quello che è successo- spiega il pri­mogenito - Durante l’esame pen­serò a lui che mi aiuti a superarlo da lassù». Sua madre avvolta in un tradi­zionale sari scuro e con i capelli raccolti sottolinea che «i soldi del governo italiano serviranno a co­ronare il comune obiettivo prefis­sato con Jelestine. I nostri figli de­vono studiare e trovare un lavoro che li permetta una vita migliore». La Difesa ha trovato un accordo con gli avvocati delle famiglie dei pescatori uccisi per un atto di uma­nità, che in termini pratici equiva­le a 10 milioni di rupie ( 146mila eu­ro). Il piccolo Jelen, 10 anni, con la sua vocina e gli occhioni vispi in­terviene dicendo che lui «vuol di­ventare pilota di aerei militari per servire l’India». In questa casa umile, a due pas­si dall’oceano, non si respira ani­mosità nei confronti dei marò o dell’Italia, ma solo tristezza. Mi­chele Girone, il padre di Salvato­re, uno dei fucilieri di marina in carcere ha chiesto di portare ai Va­lentine i saluti più sentiti. Assieme ad altri quattro congiunti ha con­cluso ieri, con gli occhi lucidi per il distacco, tre giorni di colloqui con i marò in cella. «Se i familiari dei marines voles­sero venire a trovarci questa casa è sempre aperta e saranno i benve­nuti » risponde la vedova. I soldi della «compensazione» non sono ancora arrivati, ma la fa­miglia ha le idee chiare su come utilizzarli. «Dopo il college vorrei studiare all’estero - spiega Derri­ck- Anche in Italia se fosse possibi­le. Non ho nulla contro il vostro Pa­ese, nonostante la morte di mio pa­dre ». La madre aggiunge che sa­rebbe «grata all’Italia per questa possibilità». Suo marito Jelestine aveva 48 anni. Si sono sposati nel tempio di Fatima, a Kollam, nel 1993. «Il più bel giorno della mia vi­ta, perché ne iniziavo una nuova fondando una famiglia» spiega la vedova. Il figlio piccolo si apre in un sorriso quando parla del «papà che dopo essere stato in mare ci portava l’uva, sempre buonissi­ma ». Gente semplice e di fede, la famiglia Valentine, che ha visto il Santo Padre solo in tv. «Un sogno nel cassetto sarebbe andare a Ro­ma a vederlo dal vero» ammette Dora. Ad incontro quasi finito ci piom­bano addosso dieci poliziotti con toni inquisitori. Quando capisco­no la situazione tornano subito gentili e chiedono solo la fotoco­pia del mio visto. Lungo il cammino del perdono e verso una soluzione che accon­tenti tutti, la famiglia del pescato­re ucciso è stata accompagnata da padre Martin Rajesh. «Non abbia­mo chiesto un riscatto, ma solo dei soldi per sostenere la vedova ed i figli. Vogliamo che vadano di­­rettamente a loro, che si ritireran­no dalla causa» spiega il sacerdo­te di Kollam. «Come cristiani pen­si­amo anche alle famiglie di Salva­tore e Massimiliano - ribadisce il prete indiano- Spero che una vol­ta chiusa la compensazione eco­nomica, i marines possano torna­re in patria. Stiamo parlando di soldati italiani che portano la divi­sa ed erano in servizio. Per questo è corretto giudicarli a casa vo­stra ». Padre Martin li ha incontra­ti in carcere: «Non ho chiesto cosa sia accaduto e loro non me l’han­no spiegato, ma si sono detti addo­lora­ti per la morte dei pescatori in­vitandomi a porgere le condo­glianze alle famiglie delle vitti­me ».