Pier Francesco Borgia, il Giornale 23/4/2012, 23 aprile 2012
«Gli imprenditori in crisi non tacciano per orgoglio» - La notizia è di quelle che solitamente sociologi, analisti e giornali passano sotto la lente di ingrandimento
«Gli imprenditori in crisi non tacciano per orgoglio» - La notizia è di quelle che solitamente sociologi, analisti e giornali passano sotto la lente di ingrandimento. Un gruppo di imprenditori ha convocato uno dei massimi psichiatri italiani per discutere dell’inquietante fenomeno dell’aumento di suicidi dovuti, almeno apparentemente, alla crisi economica. Paolo Crepet ha parlato venerdì sera a un gruppo di imprenditori di Pordenone, che a lui si era rivolto per avere un confronto. C’è davvero, professor Crepet, un rapporto di causa-effetto nell’aumento preoccupante di suicidi dovuti alla crisi economica? «Non credo proprio. La crisi di un imprenditore che perde finanziamenti, crediti bancari e commesse, e che non vede più un orizzonte possibile davanti a sé, non è mai la ragione di un gesto così estremo e drammatico. Semmai a preoccuparmi è il cosiddetto “effetto Werther” ». Vale a dire? «Quando i media sottolineano gli aspetti cosiddetti “romantici” di un dramma finiscono per favorire ( ma certo non creare)l’effetto di emulazione». Comunque sono tanti i suicidi che lasciano lettere che collegano il gesto alla crisi aziendale ed economica in generale. «È solo la classica goccia che fa traboccare un vaso già di per sé pieno. La crisi economica è un elemento catalizzatore: al massimo è qualcosa che fa precipitare una situazione che già non era buona. D’altronde,se fosse vero il contrario sarebbe un’ecatombe». Tutti noi, però, viviamo con angoscia questo tempo di crisi. Chi più chi meno. A tutti i livelli. O no? «Questo è senza dubbio vero. E lo dimostra proprio la situazione della Grecia. Dove il tasso di suicidi dall’inizio dell’anno è spaventosamente aumentato. Però si tratta sempre di persone che erano, per così dire, già deboli». Quindi agli imprenditori ha detto di non preoccuparsi. Che la crisi ha un ruolo solo marginale nella morte dei loro colleghi. «Ho detto loro esattamente il contrario. Che devono preoccuparsi e anche molto. Ma non dei suicidi. Devono preoccuparsi di avere gli strumenti adatti per affrontare anche, se non soprattutto, a livello psicologico questa situazione di incertezza e di ansia che tutti ci troviamo a vivere grazie alla crisi economica. E poi di modificare radicalmente il rapporto con i figli». Cosa c’entrano i figli? «C’entrano eccome.Questi imprenditori, spesso per orgoglio o per immaturità, sono portati a nascondere ai loro familiari la reale portata dei problemi che si trovano ad affrontare. Insomma, continuano ad allevare i proprio figli ed eredi nella bambagia. E questi sono poi, in fin dei conti, le potenziali vittime delle vittime della crisi». Vittime delle vittime? «Prendiamo il caso di un imprenditore disperato. Che non ce la fa. Al quale la crisi ha tagliato le gambe. Se si toglierà la vita, come ho detto prima, lo farà per una sua debolezza psicologica preesistente. E pensando di essere solo lui la vittima della situazione. Invece creerà altre vittime. I suoi familiari, per esempio. Magari figli piccoli. Costretti loro malgrado a subire un ulteriore dramma. Bisogna, insomma, spiegare ai giovani le difficoltà che stiamo incontrando. E magari spronarli a darsi da fare ». Insomma, è la tesi del suo ultimo libro ( L’autorità perduta , Einaudi, 2011) dove critica la deriva accondiscendente e consumistica nel rapporto genitori- figli. «Proprio così. Le farò un esempio. Come già detto, tutti sentiamo gli effetti della crisi. Semmai è diverso il modo in cui li affrontiamo. Ci può essere un imprenditore o un professionista più debole magari rispetto a un precario o a un dipendente. Nel ristorante dove spesso mi trovo a mangiare ho conosciuto un cameriere, immigrato croato. Parla cinque lingue. E come lui, anche la figlia ventenne è poliglotta. Sarà pure precario, ma ha una forza di adattabilità incredibile. Se perdesse il lavoro non si dispererebbe e ne troverebbe subito un altro». I nostri figli, invece, non parlano cinque lingue. «Magari sapessero almeno l’inglese! Agli imprenditori di Pordenone ho detto proprio questo: non tutelate i vostri figli. Spronateli a costruirsi gli strumenti per essere forti».