Fausto Biloslavo, il Giornale 22/4/2012, 22 aprile 2012
Quei comunisti d’India che odiano i nostri marò - Prima esce una sfilza di detenuti indiani in pareo bianco e torso nudo, poi dal portone in legno massiccio del carcere di Trivandrum spuntano i due marò per incontrare di nuovo le famiglie giunte dall’Italia
Quei comunisti d’India che odiano i nostri marò - Prima esce una sfilza di detenuti indiani in pareo bianco e torso nudo, poi dal portone in legno massiccio del carcere di Trivandrum spuntano i due marò per incontrare di nuovo le famiglie giunte dall’Italia. Massimiliano Latorre abbraccia il nipote, Christian D’Addario, che lo aspetta proprio davanti al numero degli ospiti ( 938) del carcere costruito dal marajà Rama Vurma nel 1886. Poi fa un saluto e si inerpica con Salvatore Girone sulla scala che porta all’afoso ufficio del direttore della prigione per l’incontro con i propri cari. Oltre al giovane nipote c’è la sorella Franca, ogni tanto tesa, ma determinata, i genitori di Girone, gente tosta del sud e la moglie, Giovanna, che quando tira fuori le unghie non scherza. Nello Stato del Kerala, però, la vicenda dei marò ha unito, incredibilmente, i rivali politici più riottosi, dal governo al potere ai comunisti all’opposizione, ancora con la falce e martello e il faccione di Lenin. Quello che colpisce di Trivandrum, la capitale del Kerala, nel sud ovest dell’India, è la sfilza delle rosse e grandi falci e martello dipinte sui muri. In periferia ne hanno costruito un paio cubitali ad una specie di fermata dei bus. La gloriosa stella rossa non manca e neppure i volti dei padri storici da Marx fino a Lenin, Stalin e l’immancabile Fidel Castro. Mirabilia che da noi non esistevano più già prima della caduta del muro di Berlino. In certe roccheforti sventola ad ogni angolo una bandiera rossa issata dal Cpim, il Partito comunista indiano, che ancor oggi si fa chiamare marxista. Entrare nell’ufficio del partito a 25 chilometri dalla capitale, sulla strada per la spiaggia dei turisti occidentali, è come fare un salto nel passato. L’edificio dipinto rigorosamente di rosso espone ancora la foto di Ho Chi Minh, lo storico leader dei vietcong. In questa circoscrizione nel giro di un mese si voterà per un cruciale seggio del parlamento del Kerala, dove la differenza fra maggioranza ed opposizione è di soli due voti. «I vostri soldati devono essere processati e puniti in India, secondo le nostre leggi. Non c’è ombra di dubbio. Non solo: sono in totale disaccordo con l’Italia che ha fatto appello alla Corte suprema a Delhi per scarcerarli», dichiara senza peli sulla lingua M. Vijayakumar. Pezzo grosso del partito comunista è stato ministro della giustizia del Kerala, prima che il Congresso di Sonia Gandhi, che da queste parti chiamano con disprezzo «l’italiana», vincesse le elezioni. Almeno non dà spago a quei quadri del partito che nei primi giorni del caso marò invocavano la pena di morte per l’uccisione dei due pescatori in alto mare. «Non mi pronuncio: la pena sarà decisa da una corte indiana, ma devono scontarla da noi, non in Italia », sostiene il leader marxista. Poi si schiera sulla stessa lunghezza d’onda dell’odiato rivale, il premier del Kerala, Oommen Chandy, che fa parte del Congresso. «Nei confronti dei vostri uomini il governo del nostro Stato ha agito di comune accordo con l’esecutivo centrale» sottolinea Vijayakumar. Venerdì, proprio alla corte suprema di Delhi, si è aperta una breccia grazie ad un avvocato dello Stato, Harin Rawal, che ha sostenuto come la polizia del Kerala abbia travalicato i suoi poteri impedendo, fino ad oggi, la partenza della petroliera «Enrica Lexie» difesa dai due marò in carcere da un apparente attacco pirata. «Abbiamo inviato una lettera alle autorità centrali per chiedere la sua rimozione. Ribadiamo che i vostri marines vanno processati in India secondo le nostre leggi» dichiara al Giornale P.T. Chacko, portavoce del premier del Kerala. Una doccia fredda sui marò, ma la stramba «alleanza» locale fra comunisti e Congresso, sulla pelle dei nostri fucilieri di marina, ha anche un terzo incomodo. Il gruppo si chiama Solidarietà, ma è nato da giovani musulmani radicali che si fanno irretire dai militanti legati alla guerra santa internazionale. Ieri sono sfilati solo in poche decine a Trivandrum per protestare contro la possibilità che la petroliera italiana possa ripartire. Un passaggio l’hanno fatto anche davanti all’hotel che ospita le famiglie dei marò. Nessuno li ha calcolati, ma il loro presidente locale, Naushad, ribadisce che «i marines italiani devono essere processati velocemente in India. Siamo contrari a qualsiasi compromesso politico, che ci umilierebbe». Non la pensano così le suorine che sono andate a trovare i marò in carcere per portare conforto spirituale. «Volevano venire tutte per parlare l’italiano imparato a Roma », spiega Corrada Magnani, la madre superiora delle Figlie di San Francesco di Sales. Tonaca grigio chiara e croce al collo, è accompagnata da due sorelle indiane che garantiscono: «Noi preghiamo per le famiglie dei pescatori uccisi, ma pure per i marò e per la loro speranza di tornare a casa in pace ».