ALBERTO MATTIOLI, La Stampa 23/4/2012, 23 aprile 2012
E IL PRÉSIDENT STERZA SUBITO A DESTRA
Tutto comincia!», urla Nicolas Sarkozy davanti ai suoi. E comincia da destra: «I francesi hanno espresso un voto di crisi, di fronte alle angosce e alle sofferenze del nuovo mondo che si sta disegnando». Queste angosce - dice Sarkozy - e queste sofferenze, io le conosco e le capisco: riguardano il rispetto delle nostre frontiere». E allora avanti con il ripristino delle dogane. Forza con la lotta alle delocalizzazioni. E, già che ci siamo, sotto con «l’amore della Patria».
Che riflessi, però. Un’ora e mezzo dopo la chiusura dei seggi, Sarkozy ha già capito che per restare all’Eliseo deve convincere a votare per lui al secondo turno chi al primo ha scelto Marine Le Pen, l’unica vera vincitrice assodata di ieri. Nei prossimi quindici giorni, altro che svolta a destra: sarà una sterzata. Del resto, il Président deve cercare i voti dove sono. Sperando che gli elettori del Front national ritengano più pericoloso mettere la Francia nelle mani della gauche che lasciarla nelle sue.
Poi, ovvio, martella Hollande. «Nessuno potrà sottrarsi al confronto!», strilla. Di faccia a faccia in tivù ne propone addirittura tre (uno sull’economica, uno sulla politica estera e un altro sui temi sociali), sapendo benissimo che Hollande non è disposto a accettarne più di uno. Sa che quella di ieri forse non è una disfatta, ma una sconfitta certamente sì. Ed è tutta sua, perché non è Hollande che ha vinto, ma lui che ha perso. Sarkò sa che nel Paese non c’è un vero entusiasmo per Hollande, e i numeri dei socialisti sono lì a dimostrarlo. Ma sa anche che questa elezione era un refendum sul suo quinquennato e che i francesi l’hanno bocciato. E’ già successo che chi era arrivato secondo al primo turno vincesse poi al secondo, come fece François Mitterrand nel 1981, ma mai che un Presidente si piazzasse dopo lo sfidante.
La giornata era stata come la serata: incerta. La vigilia del D-day, Nicolas e Carlà l’avevano passata alla Lanterne, la residenza nel parco di Versailles. Poi, a mezzogiorno meno un quarto, sono andati a fare il loro dovere al liceo Jean La Fontaine, nel sedicesimo arrondissement, forse il più chic ed esclusivo di Parigi. Qui votano tutti a destra e infatti, quando finalmente Nicolas e Carlà si appalesano con il sorriso di parata sulle labbra, parte un «Nico-las Pré-si-dent!», ma è fiacco, anzi ansioso.
All’uscita, i signori della stampa travolgono le transenne ma non ottengono alcuna dichiarazione ufficiale. Poche parole solo da Carlà. Emozionata? «Emozionatissima». Più
27,09%
Il conservatore
emozionata o più preoccupata? «Macché preoccupata, sono fiduciosa». Possiamo chiederle per chi ha votato? Grande sorriso. E nel pomeriggio cosa farà? «Sa, quando si ha una bambina piccola... la mamma».
Lui, invece, alle 18 riunisce i fedelissimi: la portavoce Nathalie Kosciusko-Morizet, il grande comunicatore Franck Louvrier, la penna Henry Guaino e il mago dei sondaggi, il sulfureo Patrick Buisson, ex giornalista di estrema destra e ispiratore della «droitisation» della campagna presidenziale. I due illustri rivali arrivano dopo, quando la strategia delle dichiarazioni e delle interviste è già decisa. Non è un segreto per nessuno che Jean-François Copé, segretario dell’Ump, il partito presidenziale, e François Fillon, primo ministro, si detestino e nemmeno tanto cordialmente. Se il 6 maggio Sarkozy perderà e, come promesso, lascierà la politica, saranno loro a contendersi le spoglie del partito, concesso e non dato che sopravviva, nel gran regolamento di conti previsto per l’autunno.
L’attesa è interminabile, incollati a Twitter dove un fantasioso internauta ribattezzatosi «Radio Londra» cinguetta previsioni e sondaggi (veri o falsi, chissà) con un linguaggio allusivo ispirato alle mitiche trasmissioni della Seconda guerra mondiale. Una buona notizia: l’ex signora Sarkozy, Cécilia, stavolta ha votato, a New York, e lo fa sapere su Twitter. Nel 2007, oltre a mollare Sarkò proprio nella sera della vittoria, non andò nemmeno al seggio e lo fece pure sapere.
Ma ormai è tempo di uscire dall’Eliseo e di spostarsi nel déco della Mutualité, una sala, peraltro, tradizionalmente scelta dalla sinistra. Qui aspettano il presidente uscente quasi uscito cinquecento giornalisti, jene dattilografe eccitate dall’odore del sangue, e tanti sostenitori. E l’entusiasmo (dei secondi) è vero, genuino, con i fischi quando alla tivù compaiono i socialisti, gli slogan, un mare di tricolori. La folla urla «Hollande en Corrèze, Sarkozy all’Elysée» e applaude i primi exit polls, forse più per sollievo che per soddisfazione. Poteva andare peggio. Tre ore di attesa, in piedi e in un caldo maledetto, per cinque minuti di discorso: questa è fede. Se ne accorge perfino lui, che dopo il rituale «Vive la République et vive la France» riattacca, ringrazia, dice: «Siete stati formidabili» e promette: «Da domani ci si rimette in cammino». «On va gagner!», ruggisce la folla, vinceremo. Ma questo lo decideranno gli elettori di madame Le Pen.