JACOPO IACOBONI, La Stampa 22/4/2012, 22 aprile 2012
Predellini-2 e nuovi inizi il partito di Svolta continua - La più grossa novità della politica italiana»
Predellini-2 e nuovi inizi il partito di Svolta continua - La più grossa novità della politica italiana». «Cambierà il corso dei prossimi anni». «C’è bisogno di un nuovo soggetto». «Siamo a un passaggio». Anzi, diciamola tutta: sarà una «svolta»; naturalmente storica. Sono frasi pronunciate in questi ultimi giorni da Angelino Alfano, il segretario del Pdl, o da Pier Ferdinando Casini, leader dell’Udc, che riposizionano la loro merce all’interno della variopinta e un po’ ammaccata offerta del marketing di questa fase di totale disaffezione verso la politica. Dunque: si cambia, transizione, mutamento, «l’Italia ne sarà grata». Ma quante volte l’Italia è stata grata? C’è stata un’epoca in cui non cambiava mai nulla, le svolte erano solo ai semafori, c’erano la Dc e il Pci, i partiti avevano (erano) un’idea e l’identità era tutto. È finita con Tangentopoli. Il nuovo che avanza fu intravisto nell’89 da un titolo di Michele Serra. La vera cifra della seconda repubblica, che già s’annunciava con squilli di trombe - lo avevamo dimenticato ma Alfano e Casini lo ricordano -, era appunto questa, promettere (e spesso creare) partiti nuovi, sempre destinati alla storia, ma che poi duravano un decennio appena, o talvolta la metà, e in qualche caso anche meno. Il che però non induceva i fondatori a maggior cautela: e la volta successiva erano di nuovo epifanie promesse e nuovi partiti che ci venivano ammanniti. I quali a loro volta di lì a poco avrebbero di nuovo svoltato: nome, simbolo, programmi. Tutto. È così che in questi anni anche le vere svolte sono state digerite, e si son fatte routine. Nel discorso del 26 gennaio ‘94, quello della «discesa in campo», Silvio Berlusconi se non altro inaugurò un genere, «il movimento politico che vi propongo è di tipo totalmente nuovo», disse; «la storia d’Italia è a una svolta», profetizzò con la calza sulla telecamera. Aggiunse, nei giorni successivi: «durerà quattro decenni», «sopravviverà al fondatore». E anche se Forza Italia è stata davvero storica - è durata dal 18 gennaio 1994 al 27 marzo 2009, tanto, se si considerano gli standard delle svolte bonsai successive -, non solo non è sopravvissuta al fondatore (per fortuna ancora vivo e in ottima salute), ma ha generato svolte su svolte. Prima s’è scolorita nella Casa delle libertà. Poi il Capo, che non ne poteva più di come era ridotto alla rissa perenne il gruppo dirigente, nel novembre del 2007 promise altra svolta sul predellino di una Mercedes in San Babila, a Milano: «Faremo un partito epocale, un partito unico». Fini, che pochi giorni prima lo irrideva («siamo alle comiche finali»), aderì subito. Il partito nacque. Si chiamò Popolo delle libertà e fu annunciato «storico», la destra moderata e quella postfascista che si superavano. È durato quattro anni, che oltretutto il Cavaliere ha passato invocando, un giorno sì e l’altro pure, un Predellino-due, una svolta dopo la svolta sulla svolta, perché quel partito e quel nome non gli erano mai piaciuti, e al sud ne storpiano persino l’identità, dicendo «la Pdl»... E a proposito di Nazione (ora evocata da Casini) e Fini, anche il capo della destra a Fiuggi annunciò «cambiamo per sempre il volto alla politica». Ci furono cose che accompagnavano le prime di queste metamorfosi, le lacrime (di donna Assunta), le sediate degli storaciani, Rauti che se ne andava: solo che dal ‘95 An perse tutte le elezioni, amministrative 1995, politiche 1996 e comunali 1997, e Fini dopo ogni batosta cosa annunciava? Partiti nuovi: europei, liberisti, generazionali. Fino a quando, dopo la sua «rupture» (quella con Berlusconi), ha fondato il Fli e l’ha definito «la più grande novità nazionale della politica italiana». Ecco perché si tenderebbe a diffidare, nonostante Alfano e Casini abbiano relativamente poche colpe in questo andazzo, di cui sono semmai l’ultima espressione. Ma forse, bisognerà dirlo, è a sinistra che esistono i campioni nel ramo; e per questo oggi Bersani, per distinguersi, definisce il Pd «l’usato garantito». I nemici di Occhetto coniarono una categoria, «l’oltrismo», per sfottere la mania rifondativa dell’ultimo segretario comunista, anche se la Bolognina storica lo fu sul serio (annunciata però come l’Alfano di ieri: «Stiamo realizzando grandi cambiamenti e innovazioni»). Solo che doveva durare altri cinquant’anni, sostenne: resse il tempo di un caffè, dal Pds (1991) ai Ds (‘98), sette annetti scarsi. E sapete D’Alema come annunciò la strabiliante novità, nel ‘98? Dicendo: «È giunto il momento di un raggruppamento politico tutto nuovo insieme. Vogliamo andare oltre e dar vita a una sinistra che non sia egemonizzata dagli ex comunisti». Qui andò meglio, il passaggio epocale durò nientemeno quasi dieci anni; fino al Pd, che Veltroni riteneva sinonimo di «nuova stagione», con espressione vagamente escatologica. Una stagione che infatti oggi gli stessi soci ritengono conclusa, o da rifondare. Insomma, a una svolta.