???, Corriere della Sera 24/4/2012, 24 aprile 2012
È il secondo e ultimo viaggio di John Fitzgerald Kennedy in Europa dopo quello trionfale del giugno del 1961 a Parigi, Vienna (per il vertice con il leader sovietico Nikita Kruscev) e Londra, dove si è presentato come «il marito di Jackie», la più bella delle first ladies del XX secolo: di lì a cinque mesi, il giovane presidente americano sarà assassinato a Dallas
È il secondo e ultimo viaggio di John Fitzgerald Kennedy in Europa dopo quello trionfale del giugno del 1961 a Parigi, Vienna (per il vertice con il leader sovietico Nikita Kruscev) e Londra, dove si è presentato come «il marito di Jackie», la più bella delle first ladies del XX secolo: di lì a cinque mesi, il giovane presidente americano sarà assassinato a Dallas. Kennedy è arrivato in Germania all’apice della guerra fredda, il 23 giugno del 1963, con il primo volo transatlantico di Air force one, nove mesi dopo che nella crisi di Cuba gli Usa e l’Urss hanno sfiorato la guerra atomica, e che il mondo ha sfiorato l’olocausto nucleare. Il 26, accolto come una star del rock, il presidente è a Berlino. Due anni prima, il 13 agosto del 1961, l’ex capitale tedesca è stata spaccata in due dal muro eretto da Kruscev. Kennedy parla alla Rudolph Wilde Platz, davanti a 450 mila persone. Sarà un discorso memorabile, più memorabile del discorso inaugurale della sua presidenza il 20 gennaio del 1961, in cui aveva invitato gli americani a chiedersi «non che cosa l’America può fare per voi, ma che cosa voi potete fare per l’America». Il presidente sorprende tutti proclamandosi — in tedesco — cittadino di Berlino. «Duemila anni fa» esordisce «il più grande orgoglio era dire civis romanus sum, sono un cittadino romano. Oggi il più grande orgoglio è dire Ich bin ein Berliner, sono un berlinese». Pronuncia il tedesco così male che l’interprete ripete la frase, e la folla esplode in un applauso interminabile. Il presidente ride: «Ringrazio l’interprete che ha tradotto il mio tedesco». Il suo discorso assume il ritmo dell’orazione funebre di Antonio nel «Giulio Cesare» di Shakespeare, con quel martellante: «Ma Bruto (il suo assassino) è un uomo d’onore!». Martella Kennedy: «C’è molta gente al mondo che veramente non capisce o dice di non capire il grande conflitto tra il mondo libero e quello comunista: lasciate che vengano a Berlino! Ci sono alcuni che dicono che il comunismo è l’onda del futuro: lasciate che vengano a Berlino! Ci sono alcuni in Europa e altrove che dicono che noi possiamo convivere con il comunismo: lasciate che vengano a Berlino! E ci sono anche pochi che dicono che il comunismo è un sistema del male ma che ci consente il progresso economico: lasciate che vengano a Berlino!». Il presidente ripete queste ultime parole in tedesco: «Lass’ sie nach Berlin kommen». È un’apoteosi. Anni prima, Kruscev ha dichiarato al leader cinese Mao Tse Tung che Berlino «è i testicoli dell’Occidente: quando voglio fare urlare l’Occidente, strizzo Berlino». Il discorso alla Wilde Platz è la risposta di Kennedy. Il presidente dichiara al mondo che l’America non abbandonerà mai Berlino perché è il simbolo della libertà. Afferma Kennedy: «Noi non abbiamo mai dovuto erigere un muro per chiudervi dentro il nostro popolo... Non so di un’altra città che sia assediata da 18 anni e che ancora trabocchi di vitalità... La pace in Europa non sarà mai sicura finché a un tedesco su quattro saranno negati i più elementari diritti dell’uomo». E si riallaccia alla frase iniziale: «La libertà è indivisibile e quando un solo uomo è reso schiavo nessuno è libero. Ogni uomo, ovunque viva, è un cittadino di Berlino. E dunque, come uomo libero sono orgoglioso di dire: Ich bin ein Berliner!». In un baleno, la frase in tedesco passa alla storia. Il presidente ha chiuso il capitolo della Seconda guerra mondiale, quando America e Germania erano nemiche, e ha ribaltato la sfida di Kruscev, che un anno dopo verrà deposto dal Partito. Solo più tardi si apprenderà che Kennedy ha già usato la metafora civis romanus sum, per l’esattezza a New Orleans, nel maggio del 1962. Ma a New Orleans lo fa fatto per proclamare che «oggi il più grande orgoglio è dire: sono un cittadino americano». Nella bozza originale del discorso alla Wilde Platz, non c’è Ich bin ein Berliner, la frase in tedesco figura soltanto nella bozza finale, scritta dal presidente di suo pugno. Più persone del suo entourage ne rivendicano la paternità, a incominciare dal consigliere Ted Sorensen, l’estensore dei suoi discorsi. Ma il fatto è che Kennedy, il primo grande comunicatore della storia presidenziale americana, che grazie alla propria maestria alla tv ha battuto Richard Nixon alle elezioni, l’ha voluta sapendo che avrebbe lasciato un segno indelebile sulla guerra fredda. Si scriverà che il presidente avrebbe dovuto dire Berliner e non ein Berliner, perché nel gergo tedesco ein Berliner è la frittella tipica della città. Ma è del tutto opinabile. Il punto fondamentale è che Kennedy, che concluderà il suo secondo viaggio europeo in Italia, ha riassunto in una parola, libertà, lo scontro di civiltà tra l’Occidente e l’Urss. Il suo invito a Berlino ad «alzare gli occhi sull’avanzata della libertà ovunque» verrà accolto da tutto il blocco sovietico. Quasi un quarto di secolo dopo a Berlino un altro presidente, Ronald Reagan, un altro grande comunicatore, evocherà pur senza nominarlo lo storico discorso di John Fitzgerald Kennedy. È il 12 giugno del 1987, il settecentocinquantesimo anniversario della città, e Reagan parla davanti alla Porta di Brandeburgo e al muro, questa volta all’apice del disgelo tra gli Usa e l’Urss. Con voce tonante, il presidente chiede al leader sovietico Mikhail Gorbaciov di abbattere il muro: «Signor Gorbaciov, apra questa porta! Signor Gorbaciov, abbatta questo muro!». Il suo entourage teme che sia una provocazione, ma non lo è: come Kruscev sulla scia del discorso di Kennedy accettò di attivare la linea rossa per le comunicazioni tra la Casa Bianca e il Cremlino onde prevenire una guerra nucleare, così Gorbaciov sulla scia del discorso di Reagan accetterà che l’impero sovietico si sciolga. «Abbatta questo muro» si dimostrerà assai più che un’esortazione e un auspicio. La fine del comunismo avrà inizio a Berlino il 9 novembre del 1989 con il graduale smantellamento del muro. Il Natale del 1991 la bandiera rossa verrà ammainata anche a Mosca.