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 2012  aprile 24 Martedì calendario

DAL NOSTRO INVIATO

L’AIA (Olanda) — In questo piccolo Parlamento senza auto blu né portaborse all’uscio, la notizia che il premier se ne va piomba come una doppia bomba. Perché tutti sanno che questa storia riguarda l’Olanda ma soprattutto l’Europa. Se Mark Rutte, il primo ministro, è andato poco fa al palazzo reale di Huis ten Bosch (scegliendo un’entrata laterale, si è saputo) e ha presentato le sue dimissioni alla regina Beatrice, è stato perché il suo ex-alleato Geert Wilders si è ribellato «ai dittatori dell’Europa, che tartassano i nostri anziani». Tutto questo nel Paese che nel 2005 bocciò con un referendum la costituzione europea.
Wilders — ha detto poi — ha difeso «Henk e Ingrid», il signor Rossi, la classe lavoratrice: non ha accettato i tagli al bilancio proposti da Bruxelles a tutti i Paesi Ue. «E chi sarà il prossimo a fare lo stesso? — si chiede una funzionaria del partito cristiano-democratico seduta al bar vicino al Parlamento — sarà forse Madrid, Lisbona, sarete forse voi di Roma? Chissà se qui rivedremo più quelle Ferrari…».
Le hanno viste tutte, spiega, quelle immagini. Solo un anno fa, in una via di periferia della capitale, venivano fotografate 56 Ferrari parcheggiate in un chilometro per un raduno di un club di appassionati: e fecero scalpore, vennero considerate un po’ la conferma del benessere olandese. Allora, infatti, l’Olanda era nella prima fila dell’Europa virtuosa: bassa disoccupazione (meno che in Germania), basso debito pubblico, deficit appena ballerino. Che cosa sia successo dopo, nessuno ha mai saputo spiegarlo chiaramente: qualche grande banca è andata male (soprattutto fra quelle che inseguirono le fate morgane della finanza islandese), le reti protettive del welfare si sono forse allargate troppo.
Oggi, il debito non è ancora insopportabile, la disoccupazione è ancora minore che altrove, l’Olanda è ancora fra i 4 Paesi che mantengono un rating da «tripla A». Ma è in recessione, il deficit viaggia intorno al 4,5% del prodotto interno lordo, e fra due anni potrebbe toccare il 6%: un disastro, sanabile secondo Bruxelles solo con tagli chirurgici; e per questo Wilders — leader del Pvv, il «Partito per la libertà» — si è alzato dal tavolo e ha tolto il suo appoggio esterno alla coalizione a due fra i liberali e i cristiano-democratici. Ora si andrà a elezioni anticipate dopo l’estate.
Nei sondaggi, i liberali di Rutte sarebbero in risalita, mentre Wilders avrebbe qualche difficoltà. Ma lui, dei sondaggi, sembra altamente infischiarsi. E’ stato qui in Parlamento anche un’ora fa, attorniato dalle guardie del corpo come accade da 6 anni a questa parte, da quando ricevette minacce da gruppi islamisti. Il primo maggio uscirà il suo nuovo libro «Marcato per la morte, la guerra dell’Islam contro l’Occidente e me». Ma l’uomo non pensa solo all’Islam. Poco fa, oltre le schiene della scorta, un giornalista finlandese è riuscito a gridargli: «Allora, fuori dall’euro?». E lui ha fatto segno di sì.
Beppe Grillo ha infatti qui un predecessore: è già da mesi che questo «Grillo da Rotterdam» annuncia: «L’euro non è nell’interesse del popolo olandese, vogliamo essere padroni in casa nostra e così diciamo sì al fiorino. Riportatecelo indietro». L’opposizione ai tagli chiesti da Bruxelles non è stata dunque estemporanea, ma l’espressione di una linea precisa che valica le frontiere e arriva forse fino a Parigi, agli uffici della signora Marine Le Pen. E colui che i critici meno rispettosi chiamano «Mozart» (per via della chioma bionda e incipriata che avrebbe portato il musicista) è in realtà un lucido pragmatico che calibra attentamente ogni mossa. Per esempio, il «no» ufficiale all’euro e il «sì» al vecchio fiorino, Wilders li ha pronunciati dopo aver commissionato a un istituto di Londra una ricerca sui costi di sopravvivenza, o di morte, dell’intera Eurozona.
Quella ricerca è ancora qui, negli uffici parlamentari del partito, e parla molto anche dell’Italia. Dice che difficilmente l’Eurozona potrà sopravvivere oltre il 2015, e che «in uno scenario ottimistico» costerebbe 1,3 trilioni di euro tenere in piedi gli Stati dell’Europa mediterranea, e 2,4 trilioni se Italia e Spagna chiedessero un pronto soccorso per i loro titoli di Stato. Dell’Italia, in particolare, si dice che la sua uscita dall’euro sarebbe relativamente facile, e che il Paese si riprenderebbe, una volta riguadagnata la libertà valutaria. A settembre, chissà, tutto questo potrebbe spiegarlo a Mario Monti un neo-rimo ministro tentatore, di nome Geert.
Luigi Offeddu