Stefano Montefiori, Corriere della Sera 24/4/2012, 24 aprile 2012
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
PARIGI — Il ristorante preferito della donna che ha conquistato i voti di sei milioni di francesi è portoghese. «Chez Tonton» — davanti al «cubo» sede ufficiale del Front National a Nanterre — è il quartier generale ufficioso di Marine Le Pen, la locanda «operaia e popolare» dove la candidata ha dichiarato avrebbe festeggiato una pur sempre improbabile vittoria finale alle presidenziali, la sera del 6 maggio. Che differenza, con il lussuoso Fouquet’s sugli Champs Elysées teatro della famigerata cena di Nicolas Sarkozy con gli amici del Cac 40 (l’indice della Borsa parigina) esattamente cinque anni prima. E che sorpresa, per una paladina della Francia francese, preferire i calamari portoghesi di Tonton invece di quel che pigramente ci si aspetterebbe (una baguette al camembert o almeno la tradizionale tête de veau, la testina di vitello cara a Jacques Chirac, lui sì nel personaggio). Ma sono anni che «Marine», come viene chiamata ormai bonariamente anche in tv, si allena a spiazzare, a uscire dagli stereotipi. Le sue scelte e gusti, veri o falsi che siano, rivelano chi è la donna che sta cambiando la politica francese. Soprattutto, ci dicono come vuole apparire.
Marine Le Pen avrà forse letto i fumetti del grande Gotlib su SuperDupont, il supereroe in lotta contro l’Anti-Francia tutto baffetti, basco in testa e galletto al posto del falco sul braccio, insuperabile compendio di tutti i luoghi comuni dello sciovinismo gallico, e sembra fare di tutto pur di non ricalcare quella parodia. Quindi, tra i suoi idoli «Marine» cita l’Hemingway di Il Vecchio e il Mare, i versi preferiti sono Vita anteriore di Charles Baudelaire, al Figaro che indaga sui suoi gusti culturali confessa — sotto la categoria «caduta di gusto», chissà perché — una grande passione per Stephen King. L’attore preferito non è il francese Alain Delon ma l’americano Dustin Hoffman (quello di Cane di Paglia ma anche di Piccolo Grande Uomo), e lo scrittore che più l’ha influenzata è l’onnipresente Victor Hugo, di solito campione della sinistra.
Il personaggio Marine Le Pen è difficile da affrontare, come è complicato capire perché il 17,9% dei francesi l’abbiano votata. È sincera quando — anche ricorrendo a ogni possibile segno esteriore — si mostra diversa dall’impresentabile (e mai rinnegato) papà? Di sicuro lei ha trasformato il Front National, anche se è meno certo che l’abbia fatto in meglio.
Jean-Marie era talmente intriso di stereotipi antisemiti che ancora al congresso di Tours, un anno fa, riuscì a ridere del naso adunco di un giornalista «evidentemente ebreo». «Marine ha sostituito l’antisemitismo istintivo del padre con l’avversione per l’islam e i musulmani — dice lo studioso Madani Cheurfa di Sciences Po a Parigi —. Da cui per esempio la battaglia contro la carne halal». I musulmani rappresentano la saldatura dei due temi forti della sua politica: la questione sociale, cioè la difesa delle classi popolari deluse dalla sinistra e dall’Europa, e la lotta contro l’immigrazione. «I musulmani sono per il Fn quelli che vengono in Francia e rubano il (poco) lavoro che c’è, godendo dell’assistenza sociale pagata da generazioni di francesi — spiega Madani Cheurfa —. Marine Le Pen è contro l’euro e contro l’immigrazione musulmana. Se tanta gente non arriva a fine mese, a suo dire la colpa è loro». Uno su cinque degli aventi diritto al voto, domenica, ha votato per Marine Le Pen. Il Front National ha preso 4,8 milioni di voti nel 2002, 3,8 nel 2007, oltre sei milioni due giorni fa. Difficile con queste cifre limitarsi a parlare di «voto di protesta», come se tanti francesi fossero solo buontemponi o, al peggio, hooligan della politica.
Quello per Marine Le Pen è, più probabilmente, un vero voto di adesione. Forse non tanto ai valori del Vecchio e il Mare o di Victor Hugo, ma anche e soprattutto a quelli di Jean Raspail, 86enne scrittore che nel 1973 pubblicò Il campo dei santi (edito anche in Italia da Il Cavallo Alato), una specie di manifesto della cultura anti-immigrazione e anti-globalizzazione dell’estrema destra, tornato quarant’anni dopo a essere un bestseller in Francia.
Fa impressione assistere alle rare apparizioni televisive di Raspail, sorta di pacato anti-Stéphan Hessel della cultura francese. «Voi potete pensare che un mondo senza frontiere, dove i nuovi arrivati prendono il posto di chi abita quei luoghi da secoli, sia giusto e interessante — dice con grande tranquillità Raspail —. È il vostro parere, lo posso anche capire e lo rispetto. Ma, sapete, a me non piace. Forse nella storia è venuto il momento degli arabi o dei cinesi, o di quello che voi chiamate multiculturalismo, ma io non ne sono felice. Preferirei la Francia di un tempo». «Marine» può pure mangiare ogni tanto al ristorante portoghese, tenere sull’iPod Adele (la sua cantante preferita) o le amate serie tv di Dottor House, ma non è certo per questa sua nuova esibita modernità che poi si impone alle elezioni. Marine Le Pen ha successo perché Jean Raspail, lei, e sei milioni di cittadini, hanno la stessa, chiara, idea di Francia.
Stefano Montefiori