Federico Fubini, Corriere della Sera 24/4/2012, 24 aprile 2012
Gli incontri di Washington lo scorso weekend sono stati una palestra nella quale Mario Draghi ha esercitato la sua nota arte diplomatica
Gli incontri di Washington lo scorso weekend sono stati una palestra nella quale Mario Draghi ha esercitato la sua nota arte diplomatica. Ne è servita molta, al presidente della Banca centrale europea, per spiegarsi con Christine Lagarde senza litigare. Prima alla cena dei ministri del G20 venerdì sera, poi il mattino dopo al breakfast del comitato di vertice del Fondo monetario internazionale, la discussione è stata accesa. Il presidente della Bce aveva decisamente qualcosa da dire alla francese che da un anno dirige l’Fmi. A questo vertice, come a tanti altri dal 2010 in avanti, l’Europa era dall’inizio sul banco degli imputati. Troppe esitazioni nel gestire la crisi, poi il «fiscal compact» che impone un’austerità da molti giudicata eccessiva. E ora la Spagna, ultimo simbolo di come l’Europa ancora una volta si fosse solo illusa di aver vinto lo scetticismo dei mercati verso le sue promesse di rigore e crescita (quasi) simultanei. I disoccupati iberici al 23,6%, un mercato immobiliare già deprezzato del 22% e con forse un altro 20% di caduta davanti, perdite non quantificabili nel sistema bancario, un’altra recessione in corso. E un deficit che, secondo Bruxelles, dovrebbe scendere dall’8,5% al 3% del Pil entro soli due anni. Nessuno all’Fmi ci crede. Tutti nell’istituzione di Washington pensano che l’Europa debba dare più tempo ai Paesi in difficoltà per risanare il bilancio, che la Bce debba aiutare di più e che la Spagna debba chiedere al fondo salvataggi europeo di ricapitalizzare le sue banche. È su questo sfondo di tensione e accuse che Draghi ha preso la parola nei due incontri a porte chiuse dei giorni scorsi. Rivolto a Lagarde, il presidente della Bce ha dato una lettura opposta della nuova ondata di vendite che colpisce i titoli di Madrid e di Roma. Secondo Draghi, il nuovo acuirsi della crisi non è il frutto di un eccesso di austerità che produce recessione e dunque peggiora i saldi di bilancio; al contrario, ha detto il banchiere centrale italiano, il problema è che con il calo degli spread degli ultimi tre mesi è tornata ad allentarsi la disciplina delle riforme nei Paesi più vulnerabili. Nessuno ha fatto nomi, ma non ce n’era bisogno: i Paesi nel mirino sono sugli schermi di tutti i trader. Alla cena del G20 Draghi ha anche riservato un affondo agli Stati Uniti. Ha ricordato che un fattore preoccupante dell’immediato futuro è il «fiscal cliff», il «burrone di bilancio» per cui nel 2013 rischiano di scattare tagli e tasse automatiche per seimila miliardi negli States: un enorme impatto recessivo per tutti, eppure l’Fmi non ne parla mai. Ma per il leader della Bce il punto politico sembra essere stato un altro, benché non l’abbia esplicitato. Perché l’Eurotower possa di nuovo impegnarsi a sostegno dei Paesi in crisi, ha bisogno che i loro governi stiano ai patti dell’austerità e delle riforme. Fino in fondo. Solo così la Bce avrà lo spazio di manovra per nuove operazioni di liquidità straordinaria, senza rischiare una rottura al proprio interno con la Bundesbank e con la cancelliera Angela Merkel a Berlino. È per questo che una settimana fa Draghi, ricevendolo a Francoforte, ha chiesto al ministro di Madrid Luis de Guindos di non rimettere il «fiscal compact» in discussione. Anche se l’economia spagnola è in caduta e senz’altro non in condizione di sopportare un taglio del deficit al 3% del Pil entro il 2013. Il ministro delle Finanze Guindos e il suo premier Mariano Rajoy si sono però convinti che si possa seguire una linea diversa nei prossimi mesi, grazie alle svolte politiche in corso in Olanda e in Francia. I deficit, secondo loro, andrebbero stimati tenendo conto degli effetti recessivi: insomma niente tagli mentre la frenata è in corso. A Parigi e all’Aia il deficit è al 5% del Pil e entrambi i governi sono a un passo dal subire una procedura di Bruxelles per violazione del nuovo «fiscal compact». Ma in entrambi sono aperte le stagioni elettorali, da cui potrebbero uscire maggioranze avverse all’austerità ad ogni costo. La Germania tra non molto potrebbe trovarsi un po’ più sola. Nel mezzo c’è la Bce di Draghi, il cui aiuto sarà presto di nuovo indispensabile. Perché, ovviamente, ai mercati i ballettini politici d’Europa interessano ben poco. Federico Fubini