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 2012  aprile 23 Lunedì calendario

Manuela Pivato per "Il Mattino di Padova" Allora? Allora il 23 aprile saranno 80 e non ci saranno né torte né candeline poiché, come spiega, è abituato a festeggiare la sua nascita ogni giorno

Manuela Pivato per "Il Mattino di Padova" Allora? Allora il 23 aprile saranno 80 e non ci saranno né torte né candeline poiché, come spiega, è abituato a festeggiare la sua nascita ogni giorno. Arrigo Cipriani, figlio di tanto padre, da più di mezzo secolo tra i tavoli dell’Harry’s bar, 14 ristoranti sparsi per il mondo, 9 libri, 7 nipoti, uomo di passioni e di disciplina, al passato paga soltanto un tributo di cortesia perché quello che idolatra è il futuro; quindi agli 80 anni in arrivo dedica uno sguardo affettuoso ma distante, come se fossero altro da sé e dalla forma smagliante dei suoi adduttori che gli permettono di salire la scala dell’Harry’s tre gradini per volta, oplà, lasciando indietro col fiatone chi lo segue. Consapevole che la felicità non esige motivazioni e che il successo è quasi sempre un reato, depositario di una lista di soli tre o quattro nemici che adesso potrebbe anche far fuori "perché dopo gli ottant’anni non si va più in galera" e di una sfilza infinita di clienti importanti che sono diventati amici e viceversa, Arrigo Cipriani si sveglia ogni mattina facendo proprio quello che disse Churchill all’inaugurazione di un anno accademico ad Oxford, una vita fa: «Non arrendetevi mai, mai e mai». Lui inizia a non arrendersi appena si alza e, dopo un light breakfast a base di frutta, si appende agli attrezzi pensili, balla e fa karate con la musica a palla. A mezzogiorno varca la porta del "bar", come lo chiama, sentendosi semplicemente un "oste", come ama definirsi, dove resta fino a dopo pranzo per poi farvi ritorno la sera, mangiando in entrambi in casi come un uccellino e solo in bianco. Svelato il segreto della sua forma. «Cerco di prendere un solo piatto a pasto. Niente fritto, niente dolci, niente alcol. Un anno fa ho scelto di abbandonare il Martini e mi è costato molto di più della fatica di smettere di fumare. Ma non c’è scelta. Sono un uomo di metodo. Quando ho male alle gambe corro ancora più veloce. Quando sto per fermarmi mi impongo di andare avanti, costi quel che costi. A un certo punto la disciplina diventa abitudine. E’ come la messa in moto di una macchina. Io ho una Mercedes Amg con un motore da 530 cavalli e corro come un matto. Quando mi vedono arrivare, le altre macchine si spostano. Anche nella vita è così. Ho sempre avuto questa forza di volontà. Non bisogna arrendersi mai, mai e mai». Per la milionesima volta, ci racconti il segreto dell’Harry’s bar. «Direi la libertà. Chi si siede da noi è libero. Le posate sono piccole e larghe, ragion per cui uno non deve stare attento a non far cadere i tagliolini. I tovaglioli sono di lino e non ti accorgi nemmeno di pulirti la bocca. I tavoli sono bassi e comodi, così i clienti si sentono subito comodi. Ecco perchè i bambini adorano l’Harry’s bar: perché per una volta non hanno il tavolo che arriva fino al mento. Questo è un locale semplice, ma fatto di particolari molto complessi. Ad esempio non c’è la musica, perché la musica sono le voci dei clienti, il rumore dei piatti, il tintinnio de bicchieri. Qui nessuno usa il cellulare e i pochi che lo fanno vengono guardati malissimo dagli altri clienti. Lo sapeva che il pavimento è riscaldato a 19 gradi?». Non lo sapevo. Non mi dica che i suoi clienti lo sanno. «Le racconto un episodio curioso. Una sera è venuto qui Richard Gere, dopo cena si è seduto sulla scala di servizio e mi ha detto: "Mi spieghi che cosa c’è in questo luogo". All’Harry’s ci si sente a proprio agio, come a casa, però con tutto il mondo che passa davanti». Un pezzetto di questo mondo? «Elton John, che cena sempre al primo piano, lì tra le due finestre, e mangia sempre lo stesso piatto: scampi fritti. O Francois Pinault, di cui l’Harry’s è diventato un po’ la mensa. O, per andare nel passato, Lauren Bacall che era diventata una vera, bellissima, amica. O ancora Madonna che, al contrario di quello che sembra, è molto semplice e carina». harry’s barharry’s bar Un cliente perduto? «Una volta è successo con Woody Allen, che generalmente quando è a Venezia viene sempre qui. Anni fa, in occasione di un concerto per la ricostruzione della Fenice, lo portarono a cena in un altro posto. Pazienza». Una domanda che non ne può più di sentirsi rivolgere? «Perchè l’Harry’s bar si chiama così. L’ho spiegato milioni di volte: perché il socio di mio padre si chiamava Harry. E io sono l’unico uomo sulla faccia della terra ad aver preso il nome da un locale. E poi sono stufo di sentire sempre quell’altra storia su Hemingway. Non è vero che è stato Hemingway a fare l’Harry’s bar. L’Harry’s bar era già noto». Lei si è sempre definito un oste e, come ha scritto in un libro, si considera "prigioniero" di una stanza, che è poi l’Harry’s. «Io sono un oste. Il ristorante deve essere una trattoria e il paròn deve essere un oste. Mai invadente, sempre naturale e se stesso. E considero questo locale una stanza di nove metri per quattro e mezzo. Quindi una prigione, anche se deliziosa. Anzi, un’autoprigione. Se sono di cattivo umore vengo qui e mi passa. Se sono di buon umore vengo qui e l’allegria resta. Ma, come ho detto altre volte, il genio di tutto questo è stato mio padre mentre io non ho inventato assolutamente niente». Venezia vista dalla porta dell’Harry’s. «Venezia era l’unica città cosmopolita d’Italia, ma ora ha perduto la sua vocazione culturale perché ha perduto i suoi abitanti. Sono i cittadini a fare la cultura e non soltanto i musei. E’ come un ristorante senza cuochi: non può esistere. La presenza dell’uomo nella vita di una città è fondamentale, tutto il resto è posticcio. Oggi come oggi, secondo me, l’unica speranza a lungo termine per ripopolare Venezia è riposta negli studenti. Come far sì che i ragazzi restino in laguna? Semplice: se decidono di vivere a Venezia, niente tasse». Arrigo Cipriani è un veneziano lamentoso? «Mi sono lamentato del Carnevale, che negli ultimi anni è diventato sempre più allucinante. Inutile fare in Piazza la fontana del vino. Bisognerebbe fare un festival del teatro durante il quale inserire il Carnevale. Solo così la festa può avere un senso». Il ponte di Calatrava? «Non mi piace, così come non mi piacciono i ristoranti a tre stelle. Il ponte di Calatrava è troppo autoreferenziale e con Venezia non c’entra nulla. Hanno usato i materiali sbagliati come il corrimano in ottone che d’estate scotta a 80 gradi o i gradini di vetro sui quali si attaccano le gomme americane. Nella vita non bisogna fare le cose per farti dire che sei bravo, ma per farle bene» Il Mose? «Il Mose è un’opera gigantesca che non serve a niente. Un’opera folle. Venezia è nell’acqua e l’acqua alta sale in verticale, non arriva a ondate che spazzano via. Il giorno dopo l’alluvione del ’66 l’Harry’s bar era aperto». Progetti per i prossimi 80 anni? «Poiché mi considero immortale, moltissimi. Per incominciare altri due ristoranti che apriranno in maggio a Ibiza e Montecarlo. Un libro, che si intitolerà "Stupdt" e sarà una raccolta di tante storie stupide. Prima avevo hobby come la pesca e la fotografia, ma ora non ho più tempo. Lavoro sempre di più e continuerò a fare quello che ho sempre fatto, con la mia ironia». Lei è credente? «Come diceva qualcuno di più famoso di me, sono sicuro che non c’è niente ma se c’è qualcosa meglio. Credo comunque che esista una spiritualità, altrimenti i pensieri, le emozioni, le gioie e i dolori che senso avrebbero?».