Stefano Feltri, il Fatto Quotidiano 22/4/2012, 22 aprile 2012
SOLTANTO SOBRI ANNUNCI, TUTTI I BLUFF DI MONTI
L’ultimo caso è quello del ministro Elsa Fornero: in teoria dovrebbe essere intenta a cercare risorse nel bilancio pubblico per salvare gli “esodati” da anni di indigenza tra lavoro e pensione, nel concreto si è limitata a suggerire alle aziende di riprenderseli, parlando di “nuove opportunità occupazionali”. Ma a misurare la distanza tra le promesse del governo Monti e la loro attuazione c’è soprattutto il negoziato partito a Roma tra Comune e la lobby dei tassisti: i conducenti non soltanto hanno evitato l’aumento delle licenze, protestando contro la legge che impone loro di garantire il servizio pubblico, ma stanno addirittura strappando un aumento delle tariffe del 20 per cento, hanno schivato perfino la ricevuta obbligatoria, già votata dal Comune di Roma e mai applicata. Non stupisce certo che le liberalizzazioni nel decreto dei tecnici siano state presentate come un miracolo da +11 per cento del Pil (nel lungo periodo) e ora, per lo stesso governo, valgano meno dello 0,3 annuo.
Il pareggio mancato
La divergenza maggiore tra promesse e risultati è proprio nel dominio di Monti, il bilancio: “Non è questo governo che ha sottoscritto l’obiettivo del pareggio di bilancio nel 2013”, ha ribadito più volte il premier, pur impegnandosi a rispettare la gabbia imposta a suo tempo da Bruxelles alla demagogia contabile di Silvio Berlusconi. Soltanto pochi giorni fa Monti ha annunciato le stime ufficiali del governo, nel Documento di economia e finanza: il deficit nel 2012 sarà lo 0,5 per cento, se la recessione si aggrava può diventare almeno 0,8. Una distanza consistente, di quasi 15 miliardi, dal deficit zero promesso ad Europa e mercati. Certo, dal Tesoro ribadiscono sempre che quello che conta è l’avanzo primario, il risparmio dello Stato che erode automaticamente il debito e che dovrebbe permettere all’Italia di rispettare i vincoli europei sulla riduzione dell’indebitamento (un ventesimo all’anno per la parte che eccede il 60 per cento del Pil) dal 2015. Ma questo virtuosismo si fonda su una disciplina di bilancio che finora l’Italia non ha mai saputo rispettare nell’intera storia Repubblicana. E se i mercati non hanno attaccato di nuovo i titoli di debito italiani (lo spread è “solo” a 400), si deve alla maggior credibilità di Mario Monti rispetto a quella di Berlusconi più che ai numeri: il rapporto tra debito e Pil nel 2012 sarà al 123,4 per cento, quattro punti più di quanto previsto un anno fa. E soprattutto in crescita, invece che calante.
Le tasse e gli evasori
Il premier tende a non scendere mai in dettagli, quando si parla di tasse, preferisce parlare di “sacrifici”. Ma ogni timore di batosta si sta realizzando: dall’Imu, necessaria per rimediare all’abolizione dell’Ici, alla carbon tax, un salasso previsto dalla delega fiscale in discussione che potrebbe far salire il prezzo della benzina ben sopra i due euro. Perfino lLa riforma del lavoro, a sorpresa, costerà 1,8 miliardi pagati da tasse sui biglietti aerei e taglio ai bonus fiscali per le auto e le case dei professionisti. E il nobile proposito di migliorare le abitudini alimentari per ridurre i costi a carico del servizio sanitario si traduce in un nuovo balzello, sullo junk food, i cibi spazzatura, come annunciato dal ministro della Salute Renato Balduzzi. Ogni mese qualche ministro lascia filtrare ai giornali amici, che prontamente rilanciano, l’arrivo di un fondo “taglia tasse”, che dovrebbe restituire ai contribuenti onesti l’incasso dalla lotta all’evasione fiscale. Ma Monti deve sempre smentire. Anche ieri , dal salone del mobile di Milano, ha ribadito che “non ci sono margini per una deroga al rigore”. Qualche flessibilità, o deroga, però c’è: la tassa sugli evasori protetti dallo scudo del 2009, più volte citata dal premier come prova dell’equità dei sacrifici, non funziona e continua a slittare. Se ne riparla a luglio, forse, visto che sembra più complicato del previsto superare il muro dell’anonimato.
La spesa non si tocca
Il ministro Piero Giarda sta lavorando alla spending review, annunciata da Monti fin dal suo discorso di insediamento in Senato, il 17 novembre, come alternativa razionale ai “tagli lineari” (riduzioni in percentuale) che praticava Giulio Tremonti. Ma pochi giorni fa, alla Stampa, Giarda ha chiarito che “dalla spending review non c’è da attendersi nessun tesoretto da destinare a una riduzione delle tasse”. Non è quindi molto chiaro perché allora il ministro ci stia lavorando tanto. Eppure i soldi servirebbero, non solo per le tasse ma anche per pagare le imprese creditrici verso la pubblica amministrazione: da Bruxelles, lato Commissione europea, guardano con un certo sospetto i tentativi dell’Italia di tenere fuori bilancio i debiti commerciali, per migliorare le statistiche mentre le aziende muoiono. Il ministro Corrado Passera aveva annunciato pagamenti in Btp, sono rimasti pochi spiccioli, ora si parla di un rating (così, forse, le banche anticiperanno il dovuto). Davanti agli investitori asiatici, a marzo, Monti ha annunciato la vendita di beni pubblici, immobili e non solo, per 35-40 miliardi. Ma quello lo ha sempre promesso anche Silvio Berlusconi. Ovviamente senza farlo mai.