Isabella Bossi Fedrigotti, la Lettura (Corriere della Sera) 22/04/2012, 22 aprile 2012
LE 5 PAGINE MEMORABILI DELLA STORIA DELLA LETTERATURA: BAMBINI
Fiumi di inchiostro se ne sono andati nel corso dei secoli per scrivere di bambini, di bambini buoni, bambini cattivi, bambini tristi, bambini malati, bambini morti ma, per fortuna, a volte, anche di bambini allegri, bambini felici, bambini incantatori, bambini magici. Vince, tuttavia, così pare, la categoria dei piccoli strappacuore, le cui gesta, a colpo sicuro, fanno piangere. Ecco, per esempio, Incompreso di Florence Montgomery, ecco Piccolo Lord di Frances Hodgson Burnett, ecco Senza famiglia di Hector Malot, amatissimi bestseller, anzi, long seller internazionali.
Tra i narratori italiani del genere primeggia senza dubbio Edmondo De Amicis, grazie al pezzo forte del suo Cuore, l’indimenticabile Dagli Appennini alle Ande che già alle elementari faceva gocciolare lacrime sulle antiche pagine. Ma un grande del genere è anche Antonio Fogazzaro, che nel Piccolo mondo antico fa morire annegata nel lago la povera bambina Ombretta; oppure Giosuè Carducci che dedica al figlioletto morto il suo mestissimo Pianto antico («L’albero a cui tendevi la pargoletta mano...») nonché l’altrettanto dolente Funere mersit acerbo, verso, peraltro, rubato a Virgilio che nel sesto libro dell’Eneide manda il suo eroe nell’Ade a incontrare fanciulli defunti anzitempo («pueri innuptaeque puellae»). Più teneri, più commossi sono, invece, i versi di Giovanni Pascoli per lo spensierato contadinello Valentino che, vestito di nuovo, nulla ancora sa del mondo né delle minacciose nuvole nere che domani potrebbero addensarsi sul suo destino. E il Valentino incantatore fa venire in mente quell’altro magico bambino, il piccolo artista di strada, immortalato da Guillaume Apollinaire ne Un fantôme des nueés, che, flessuoso come un elfo, balla leggero su di una palla — e l’immagine del giovanissimo saltimbanco ci arriva nitida come una fotografia.
Una galleria infinita di bambini che emergono, fissati nel ricordo, dal fiume grande della letteratura, «firmati», per così dire, da grandi, grandissimi autori, da nomi immortali; ma, non raramente, anche, da firme minori oppure sconosciute, e ciononostante indelebili nella memoria: così, per esempio, la bambina di Muri di lillà di Annamaria Gargano che nel tempo di guerra sente delle atroci malefatte del nemico e poi al cimitero scopre la tomba di un soldato tedesco di 19 anni, solo sette più di lei, e si domanda se anche quel ragazzo era stato tra i perfidi crudeli.
Virgilio, Georgiche
A proposito di Virgilio, in tema di bambini egli sa essere malinconico e struggente — ma certo non strappalacrime — come pochi altri: nelle Georgiche per esempio, là dove narra l’infinita pena di Orfeo per la perdita dell’amata Euridice, e la confronta a quella di una madre privata dei suoi figlioli; e sebbene quella madre sia soltanto un uccello, un usignolo canterino, con straordinaria efficacia egli ne descrive l’acuta, inconsolabile sofferenza, trasformandolo in autentica, umanissima mater dolorosa: «Qualis populea maerens philomela sub umbra amissos queritur fetus, quos durus arator obseruans nido implumis detraxit; at illa flet noctem, ramoque sedens miserabile carmen integrat, et maestis late loca questibus implet». (Così afflitto l’usignolo / lamenta nell’ombra di un pioppo la perdita dei figli, / che un bifolco crudele con l’insidia ha tolto implumi dal nido; / piangendo nella notte, ripete da un ramo il suo canto desolato / e riempie ogni luogo intorno / con la malinconia del suo lamento).
Raymond Carver, Cattedrale
Né tenero né struggente, al confronto, sebbene non meno terribile, ma così asciutto da rendere impossibile versare una sola lacrima, è il racconto Una cosa piccola buona, parte della raccolta Cattedrale di Raymond Carver. L’autore de Di cosa parliamo quando parliamo d’amore narra, con il distacco di un cronista di nera assuefatto agli orrori, la morte, dopo un breve periodo di coma, di un bambino travolto da un’auto nel giorno del suo compleanno; più precisamente descrive le reazioni dei suoi genitori, disperatamente appesi alla speranza, ma con l’orribile presentimento della fine, accanto al suo letto di ospedale.
«Dopo un po’ arrivarono due portantini con una lettiga. Erano in uniforme bianca con i capelli neri e la carnagione scura. Si scambiarono qualche parola in una lingua straniera e staccarono il bambino dalla flebo, trasferendolo sulla lettiga. Howard e Anne salirono sullo stesso ascensore. Lei fissava il figlio. I portantini rimasero a capo e ai piedi della lettiga in silenzio, anche se a un certo punto uno dei due fece un commento nella sua lingua e l’altro rispose annuendo lentamente». E pare di cogliere la sentenza di morte — la coglie il lettore come la colgono i genitori del bambino — in quel commento incomprensibile.
Ágota Kristóf, Trilogia
della città di K.
Commoventi e magici come due creature di sogno sono i due intelligentissimi gemelli della favola Il grande quaderno compresa nella raccolta Trilogia della città di K. dell’ungherese Ágota Kristóf. Sfollati durante l’ultima guerra in campagna dalla nonna, donna avara e senza cuore, mezza strega che li tratta come schiavi costringendoli a lavorare duramente nella sporcizia e nell’abbandono, i due si esercitano alla resistenza. Si picchiano a vicenda per non sentire più il dolore delle botte della nonna; ma si insultano anche l’un l’altro per imparare a restare indifferenti alle sue parole spietate e al disprezzo con cui li trattano gli abitanti del villaggio.
«Ci esercitiamo in questo modo una mezz’ora circa ogni giorno, poi andiamo a passeggiare per le strade. Facciamo in modo che la gente ci insulti e constatiamo che finalmente riusciamo a rimanere indifferenti. Ma ci sono anche le parole antiche. Nostra madre ci diceva: "Tesori miei! Amori miei! Siete la mia gioia! Miei bimbi adorati!". Quando ci ricordiamo di queste parole, i nostri occhi si riempiono di lacrime. Queste parole dobbiamo dimenticarle perché il ricordo che ne abbiamo è un peso troppo grosso. Allora cominciamo il nostro esercizio in un altro modo. Diciamo: "Tesori miei! Amori miei! Vi voglio bene... Non vi lascerò mai... Siete tutta la mia vita...". A forza di ripeterle, la parole a poco a poco perdono il loro significato e il dolore che portano si attenua».
Mavis Gallant, Una varietà di esilio
Neil è Il bambino dei Fenton, racconto — dalla raccolta Varietà di esilio — della scrittrice canadese Mavis Gallant; pur avendo un padre e una madre, per loro incapacità, per loro irresponsabilità, viene abbandonato, nei primi tre mesi di vita, in un orfanotrofio, e non si può dimenticare il suo visino grigio, le sue piccolissime membra stecchite, i suoi occhi opachi di bambino non voluto, non amato. Quando infine, Nora, una ragazza incaricata dai nonni, lo va a prendere per portarlo a casa, ecco che il suo destino potrebbe cambiare, lo si capisce da come lei lo abbraccia, da come gli carezza la testa, da come gli parla.
«Come una bambola, sì, ma non di quelle belle: nessuna bambina sarebbe stata contenta di trovarlo sotto l’albero di Natale. Il pensiero di quel giocattolo respinto e trascurato colpì Nora nel profondo. Lo sollevò dalla culla, aspettandosi di sentire — seppure non precisamente — la mollezza di un peluche o di un animale lanoso: un agnellino, ad esempio. Invece era rigido e resistente, un soldatino di legno, teso in ogni centimetro del suo corpo. Se lo appoggiò alla spalla, accostando la guancia alla sua testa, e disse: "Ecco qui, sei proprio bellissimo, sei proprio un bellissimo bambino"». E la scena dell’abbraccio caldo, affettuoso, al lettore non soltanto pare di vederla, ma anche di viverla.
Lalla Romano, Inseparabile
Infine colei che è forse la maestra italiana dello scrivere di bambini, bambini felici, bambini melanconici, bambini incantatori, bambini veri. È Lalla Romano, ovviamente, che, inventando dal vero, parla del suo nipotino all’età di due, tre, quattro anni, che definisce «piccolo Dio che abiti la nostra casa», per dire come le sue allegrie e le sue tristezze decidano l’umore di tutta la famiglia. Dedica a lui praticamente un intero libro — Inseparabile — raccogliendone con attenzione e cura, come chi accumula in un cesto dei frutti maturi caduti dall’albero, le parole, le frasi, i giochi e le riflessioni dei tempi buoni e di quelli meno buoni. Irresistibili sono la serietà e la rassegnazione di quel bambino, i cui genitori si sono da poco separati costringendolo a dividersi tra due case, due famiglie e due vite, quando, alla signora delle pulizie di una delle due case che gli chiedeva: «"Dove vai lunedì? Torni qui o vai all’asilo?". "Io vado dove mi mandano" — rispose lui». Il piccolo Dio è già diventato piccolo uomo, non più immune dalla sofferenza terrena, e tra tutte le frasi che la nonna scrittrice ha raccolto nel libro, questa sembra quella che meglio spiega la fatale perdita dei magici poteri posseduti fino a poco prima.
Isabella Bossi Fedrigotti