Federica Cocco, la Lettura (Corriere della Sera) 22/04/2012, 22 aprile 2012
SALVE, SONO UN (RO)BOT: UN FALSO UTENTE
«Probabilmente troverete ridicolo che io sia in guerra con il mio alter ego in versione robotica. La verità è che non so come fare per liberarmene». Chi parla non è Rick Deckard di Blade Runner, bensì Jon Ronson, ideatore di Esc & Ctrl — la miniserie di documentari in onda sul sito del «Guardian» — che è di recente entrato in polemica con gli ideatori di Weavr. Weavr non è altro che un software, inventato dalla Philter Phactory, in grado di creare un bot (abbreviazione di robot), ovvero un programma che simula l’esistenza di una persona online.
Circa un mese fa, Jon Ronson si è ritrovato «faccia a faccia» su Twitter con il suo alter ego virtuale, @jon_ronson, un bot satirico, creato da Weavr in riposta ad un episodio di Esc & Ctrl nel quale il giornalista ridicolizzava le pretese di chi crea agenti virtuali. Infastidito dalla presenza ingombrante del clone, Jon Ronson ha invitato a partecipare al programma tre membri della Philter Phactory: Dan O’Hara, Luke Robert Mason e David Bausola e ha chiesto loro l’eliminazione di @jon_ronson.
Nel corso di un acceso confronto tra Ronson e i suoi antagonisti, questi gli hanno raccontato come è avvenuta la creazione del bot: «Abbiamo estrapolato le informazioni dalla tua pagina di Wikipedia. Il bot opera automaticamente le associazioni». Ronson: «Non capisco. @jon_ronson fa commenti stupidi su cosa sta mangiando. L’altro giorno ha twittato che stava riflettendo sul tempo e sull’uccello». Bausola: «E allora? A te non capita mai di pensare al tempo e al tuo uccello?». Ronson non l’ha presa bene e insieme a lui molti altri hanno criticato la Philter Phactory via mail o Twitter.
«Troviamo curioso che Ronson si senta minacciato da dei banali algoritmi, o infomorfi», come amano definirli gli accademici. «In realtà, l’infomorfo non si impossessa dell’identità altrui, bensì capta i dati dai vari social media e li rielabora secondo i canoni dell’estetica infomorfica».
Dopo molte insistenze, O’Hara, Mason e Bausola hanno rivelato le loro vere motivazioni. I bot fungono da specchio per le allodole: «Vogliamo far conoscere alla gente il ruolo e il potere degli algoritmi. Le nostre risorse finanziarie a Wall Street sono in mano agli algoritmi. La crisi economica è anche colpa loro. Se l’unico modo per farlo capire è creare dei bot rompiscatole, ben venga».
«Troviamo curioso che Ronson si senta disturbato più dai banali tweet del suo clone digitale, invece che dalle pesanti ripercussioni provocate dai bot sull’economia del nostro Paese. Mentre un bot può essere eliminato, questi ultimi no».
Ciò che dunque spaventa seriamente gli autori della Philter Phactory sono l’ubiquità e il potere dei bot. Hanno ragione?
Diamo un’occhiata a questi dati. L’autore di un tweet su quattro non è un essere umano, è un bot. Il 70% del trading effettuato a Wall Street avviene attraverso programmi automatici, mentre il 24% del trading azionario in Inghilterra è effettuato da algoritmi. Il 50% del traffico web è generato da programmi automatici. Infine, tra i 30 editori di Wikipedia più attivi, ben 22 sono bot.
@JamesMTitus è neozelandese, vive a Christchurch, è appassionato di surf e ama i gatti, specialmente il suo gatto Benson. Adora fare tante domande, ma quando sono gli altri a fargliele rimane sul vago: «Interessante, dimmi di più» è una delle sue risposte preconfezionate. Ebbene, @JamesMTitus è diventato famoso dopo aver vinto la gara dei SocialBots promossa dal Web Ecology Project, gruppo di ricerca con sede a Boston, per essere risultato il bot più credibile.
Hanno partecipato tre diverse squadre attratte dal bando («Aiutate i robot a prendere il controllo del web»), dal premio di 500 dollari e dalla promessa di fama nel circolo della scienza sociale e dell’analisi dei network. Nel giro di sole due settimane il vincitore dell’esperimento ha avuto quasi 200 interazioni (tra retweet e risposte) e ha ottenuto ben 108 followers.
Gli ideatori della Philter Phactory promuovono i weavr come piattaforma per lo storytelling, motore di ricerca, e efficace strumento di marketing. Senza ombra di dubbio si tratta di un fondamentale esperimento nella scienza dell’intelligenza artificiale.
Una volta creati, i weavr hanno una vita propria. Sono in grado di utilizzare qualsiasi piattaforma con una Api (interfaccia di programmazione) come Twitter o Flickr, per tenere aggiornato il loro blog.
I due principali pionieri della cosiddetta «architettura sociale» sono proprio la Philter Phactory e il Web Ecology Project, un laboratorio indipendente di ricerca sulla cultura online che dal 2009 ha avviato uno studio sul se e come sia possibile infiltrare i social network ed avere un’influenza sulle masse. In particolare, lo studio si è concentrato sull’attività registrata su Twitter nel corso delle proteste in Iran durante le elezioni presidenziali del 2009. Ebbene, i ricercatori hanno realizzato che tra gli utenti Twitter, pochissimi di loro erano effettivamente manifestanti iraniani. A guidare il dibattito erano in gran parte web-celebrità occidentali. Il Web Ecology Project ha così osservato come online una minoranza di persone riesce ad avere un impatto incredibile.
All’interno di una comunità il ruolo di un leader è quello di facilitare le relazioni tra gli individui. Per i bot è semplice ricreare questo ruolo: connettere esseri umani con altri individui con gli stessi interessi.
«Ma come è facile per i bot creare relazioni tra diverse persone, ugualmente è facile per loro distruggerle», spiega Tim Hwang, ricercatore e portavoce del Web Ecology Project. «Abbiamo visto questo tipo di operazioni per le elezioni in Russia e le proteste in Siria. Il governo di Mosca ha liberato nell’arena web una serie di bot pro-Putin che incoraggiava gli utenti ad andare a votare. I bot siriani tendevano a dissuadere gli utenti dal partecipare alle proteste contro il regime di Assad». «I bot ricoprono un ruolo anche nella politica occidentale. Sono cruciali per creare influenza, per far apparire un individuo più potente online di quanto lo sia in realtà. Da poco si è scoperto che molti dei follower del candidato statunitense alle presidenziali, Newt Gingrich, erano account falsi».
Tim Hwang sostiene che siamo ancora in una fase embrionale: «Per ora abbiamo sperimentato solo su gruppi di massimo 500 persone. In futuro abbiamo in programma esperimenti su più di 100 mila persone. Ultimamente non sono più riuscito a distinguere i bot creati da me dagli esseri umani».
Grazie ai software di intelligenza artificiale Weavr, estrarre i dati da una pagina di Wikipedia e creare il bot basato su un personaggio storico o famoso è un gioco da ragazzi. Questo non è che uno tra gli utilizzi più innocui.
C’è infatti chi ha scelto di sperimentare le implicazioni sulla letteratura, come il progetto Maschmischine che utilizza il software della Philter Phactory per ricreare i personaggi di Alice nel paese delle meraviglie, trasponendoli a Berlino.
Sta inoltre emergendo il fenomeno di utenti veri che fingono di essere bot. O’Hara e i suoi colleghi l’hanno sperimentato sulla loro pelle dopo l’apparizione al programma Esc & Ctrl, quando una serie di individui hanno creato account su Twitter fingendo di essere loro cloni virtuali, come @jon_ronson lo era per il vero Jon Ronson.
«Persone che fingono di essere bot: questo è un segno che sta avvenendo un cambiamento della politica dell’identità online», hanno commentato amaramente O’Hara e Robert Mason in un editoriale sul «Guardian».
Federica Cocco