Maurizio Porro, Corriere della Sera 22/04/2012, 22 aprile 2012
BYE BYE ITALIA
Pizza, spaghetti e mandolini per sempre. Lo si è detto e ripetuto dai tempi di Tre soldi nella fontana, di Trevi, naturalmente, un film che nel ’54 già dichiarava i peccati mortali cinematografici degli americani che quando vengono a girare in Italia un paese da cartolina illustrata, quelle ingiallite che si trovano nelle cartolerie di paese. Hanno un’idea del nostro paese datata, come dimostra Woody Allen nel suo film ora in sala che sembra un depliant turistico di Roma, col vigile che pare uscito dal film con Sordi del ’60 e meno male che c’è una escort a fare attualità. Ci sono cascati anche i migliori: per Coppola la Sicilia sono i padrini col basco, in Due settimane in un’altra città di Minnelli si mangiano spaghetti e Kirk Douglas corre da folle tra le rovine, Joseph Losey eccede nel barocchismo di Eva con Venezia, città cult del cinema romantico, come dimostra Tempo d’estate con la single Katharine Hepburn che sospirava per Rossano Brazzi dopo aver avuto tra le mani nella Regina d’Africa Humphrey Bogart.
Altri tempi. Ma ci sono anche quelli che vedono invece l’Italia nel suo giusto profilo culturale, ed ecco allora la Campion che guarda la campagna toscana con gli occhi di Henry James in Ritratto di signora, Ivory che riprende Firenze con gli occhi di Forster in Camera con vista (città martoriata invece dal sequel di Hannibal the cannibal), ecco il grande William Wyler che per Vacanze romane gira la città eterna senza scordarsi nulla, neppure la bocca della verità, ma lo fa con grazia e dolcezza, in sintonia con Audrey Hepburn e Gregory Peck in Vespa. Del resto anche noi pecchiamo nello stesso modo quando dell’America riprendiamo solo motel, autostrade e stazioni di servizio, il panorama tipo Hopper.
«Il problema vero — commenta Gabriele Salvatores appena tornato dalla Lituania, dove è impossibile banalizzare — è che gli americani si ritengono al centro del mondo perché viaggiano poco, Bush fece il passaporto a 40 anni. Sono rimasti legati ai ricordi d’Italia dei nonni in guerra e dato che esportiamo poco cinema, sono legati ancora ai film anni 50 e 60. E poi sono immagini spesso legate al Sud del paese, basti citare i film Oscar, da Mediterraneo al Postino a Nuovo cinema Paradiso risalendo a La vita è bella».
Profondo Sud, al Nord gli americani vengono a fare shopping o riprendono qualche treno alla Centrale o il grattacielo della Regione a Milano. Si ricorda Sophia Loren, immaginetta della Madonna di Pozzuoli con passato di poverella, con Clark Gable nella Baia di Napoli mentre Billy Wilder si era salvato con Jack Lemmon andando a Ischia per Cos’è successo tra mio padre e tua madre? e Minghella aveva ripreso Ischia e Procida in pieno sole ricostruendo col juke box d’epoca il 1957 nel Talento di mr. Ripley della Highsmith con Matt Damon, la Paltrow, Jude Law. In certi casi è assai imbarazzante la visione stereotipata che gli yankee hanno di noi: per Ryan Murphy regista dell’esecrabile Mangia prega ama Julia Roberts dà il peggio, arrotola spaghetti, si strafoga di pizza, impara a dire vaff..., le ci vuole un santone per guarire. Gli italiani sono ancora impomatati gigolò come quell’improbabile romano Warren Beatty che seduceva Vivien Leigh nella Primavera romana della signora Stone, dal libro di Tennessee Williams, che l’Italia aveva scorazzato assai. In alcuni casi il peccato è dichiarato fin nel titolo, come per Il mandolino del capitano Corelli in cui nel ’44 il melomane canterino cap. Cage è un soldato che occupa un’isola greca, altro paese standardizzato dal sole e dal bianco (Mamma mia! Quanto). E neppure Verona si è salvata da Letters to Juliet in cui una turista Usa trova una lettera d’amore di 50 anni prima e decide di rispondere anche se con un certo ritardo. Così dicasi per When in Rome di Mark Steven Johnson offerta speciale di sentimentalismo giallo turistico (una ragazza raccoglie monete magiche dalla fontana dell’amore) degno di Luce nella piazza del ’62 dove George Hamilton faceva un seduttore fiorentino. Neppure Raoul Bova, bello anche da export, si è salvato da Sotto il sole della Toscana, con tutta la retorica del Chiantishire, dove è un dongiovanni napoletano che fa innamorare la solita scrittrice americana in crisi (Diane Lane).
Spesso i registi statunitensi sono venuti in Italia a ricordare la guerra, a girare amarcord bellici come l’ex marine Samuel Fuller, Stanley Kramer con Il segreto di santa Vittoria o Spike Lee nella campagna toscana. Appena a Roma, molti registi corrono alla Fontana di Trevi e ci riprovano, perché al centro dell’immaginario c’è sempre La dolce vita di Fellini. Uno dei massimi gradi del virus del luogo comune lo si scopre in The tourist, un giallo veneziano popolato da italiani buffi e improbabili in cui Johnny Depp e Angelina Jolie fanno di tutto per rovinarsi la carriera in una città da maneggiare con cura, dove, se non sei Visconti e non hai letto Thomas Mann, rischi di fare una figuraccia.
Maurizio Porro