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 2012  aprile 22 Domenica calendario

AMAZON&GOOGLE E L’ELUSIONE ONLINE - I Paesi occidentali scoprono il nazionalismo economico dei Paesi emergenti: l’India, che costringe Vodafone, novella sostituto d’imposta, ad anticipare le tasse sui guadagni fatti da un cinese vendendole un’impresa indiana; l’Argentina, che espropria la compagnia petrolifera locale alla spagnola Repsol, accusata di averla spremuta senza investire; Brasile, Russia, Cina e India, che si preparano a usare un’unità monetaria loro invece del dollaro

AMAZON&GOOGLE E L’ELUSIONE ONLINE - I Paesi occidentali scoprono il nazionalismo economico dei Paesi emergenti: l’India, che costringe Vodafone, novella sostituto d’imposta, ad anticipare le tasse sui guadagni fatti da un cinese vendendole un’impresa indiana; l’Argentina, che espropria la compagnia petrolifera locale alla spagnola Repsol, accusata di averla spremuta senza investire; Brasile, Russia, Cina e India, che si preparano a usare un’unità monetaria loro invece del dollaro. I Paesi occidentali infiacchiti non riescono a reagire perché sanno di non poter rinunciare a questi nuovi, grandi mercati. D’altra parte, i Paesi occidentali hanno anche la coscienza sporca, a causa del loro passato coloniale. Ora questi stessi Paesi scoprono una nuova minaccia, tutta domestica, nelle multinazionali che sfuggono al Fisco d’origine non solo con i vecchi magheggi sulle compravendite infragruppo, ma addirittura allocando nei paradisi fiscali le direzioni commerciali, dove concentrano gli utili tassabili. Con risultati clamorosi nell’online. In questi giorni, la stampa britannica attacca Amazon, rea di ottenere ricavi per circa 3 miliardi di sterline nel Regno Unito, ma di non pagarvi le imposte sui profitti e nemmeno l’Iva sugli ebooks, perché fattura dal Lussemburgo dove l’Iva è al 3% contro il 20% inglese. In realtà, Amazon ha effetti più complessi: disintermedia le costose catene di distribuzione tradizionali e consente anche a produttori piccoli di raggiungere il cliente finale; emargina i negozi dove la gente vede la merce in vetrina, la sceglie ma poi l’acquista, via smartphone, da Amazon per risparmiare anche solo gli spiccioli. Mentre i sociologi discettano della società che cambia, resta una domanda: e le tasse? Stessa musica per Google che genera ricavi per 2,1 miliardi sul suolo britannico, magari aprendo la pubblicità anche a quanti non avrebbero modo di accedere a giornali e tv, e poi si autoriduce le tasse allo 0,25%, perché fattura online da Dublino dove l’imposta sui profitti è del 12,5%, la metà rispetto al Regno Unito. Anzi, a dire il vero, Google le imposte le evita anche in Irlanda. La filiale alla quale affluiscono i profitti europei, infatti, paga royalties di pari importo a un’altra società irlandese del gruppo intestataria delle tecnologie, che nulla deve alle Finanze perché a Dublino le royalties non fanno imponibile. Analoga logica si riproduce in Apple, regina degli smartphone. Con 6 miliardi di ricavi nel Regno Unito, la magica mela si limita a 10 milioni di sterline di imposte grazie al solito, opaco giro offshore che acceca gli esattori di Sua Maestà. Londra ha prosperato offrendo servizi alla finanza globale. Ma oggi si chiede se possa davvero suddividere le imprese tra quante, legate al patrio suol, subiscono l’Antitrust e il Fisco, e quante, svolazzando sulle onde hertziane, schivano l’uno e l’altro. Le varie Google avranno pure il dovere verso i soci di pagare meno tasse possibile. Ma i governi hanno il dovere verso i cittadini di aggiornare le leggi fiscali, sapendo che, se avranno paura di perdere mercati abbastanza grandi, le multinazionali faranno la piega. India docet. E un’Europa unita sarebbe un mercato grandissimo. Massimo Mucchetti