Guido Olimpio, Corriere della Sera 22/04/2012, 22 aprile 2012
I GEMELLI DELLA TRUFFA DEL «ROBOT» —
La storia dei gemelli della truffa è bella e pronta per diventare la trama di un film. Un buon colpo tirato a investitori creduloni negli Usa.
Siamo nel 2007, all’epoca Alexander e Thomas Hunter sono ancora minorenni. Hanno appena 17 anni ma tanta furbizia. Seduti nella camera da letto dei genitori a Whitley Bay (Gran Bretagna) preparano il loro piano. Si inventano «il robot Marl», un apparato in grado — affermano — di segnalare azioni poco note che però possono garantire grandi guadagni. «Marl» si basa su un algoritmo e, stando a quello che sostengono i ragazzi volponi, è stato realizzato da esperti. Carl Williamson e Michael Cohen. Entrambi sono presentati come dei geni del software. Il primo ha persino lavorato per Goldman Sachs. Panzane, frottole. Williamson e Cohen non esistono. Sono «creature» della fantasia dei gemelli così come lo è «Marl». Ma fuori non lo sanno. E oltre 75 mila investitori si fanno ammaliare dalle promesse di un guadagno facile.
Alexander e Thomas, sempre dalla Gran Bretagna, aprono due siti con i quali lanciano la loro «macchina da soldi», sollecitano abbonamenti e indicano investimenti. Il loro safari si svolge sopratutto negli Stati Uniti. È lì che l’esca funziona. Molti clienti americani sottoscrivono il canone di 47 dollari annuali, ai quali poi aggiungono altri 97 per poter ricevere un software che riproduce sul proprio computer le mosse del robot. I gemelli non sono costretti a fare pressioni. Gli abbonati sono entusiasti e la cifra, in fondo, non è alta. In qualche occasione i suggerimenti del fantomatico Marl appaiono ai clienti come azzeccati. Ma si tratta solo di guadagni temporanei. Così ogni sera l’abbonato riceve una newsletter con i consigli per gli acquisti e lui reagisce seguendo quelle che ritiene delle buone dritte. La mattina dopo, all’apertura della Borsa, procede agli acquisti e poiché la newsletter degli Hunter è piuttosto conosciuta il prezzo sale. Per poi ricadere il giorno seguente.
Non contenti della prima stangata i gemelli si inventano un terzo sito per ampliare i guadagni. Che sono cospicui se paragonati alle spese. La «Securities and Exchange Commission» (Sec) — l’agenzia federale che controlla la Borsa americana — li valuta in 1,8 milioni di dollari per la promozione di titoli e in 1,2 dai clienti. Soldi che finiscono su un conto in Gran Bretagna. È qui la cassa dei gemelli. Almeno fino al 2009. In quell’anno le autorità, al termine di un’inchiesta, congelano il conto. Gli Hunter sono lesti a reagire. I loro abbonamenti vengono dirottati a Panama. E scompongono la loro società tra genitori e fratello maggiore, quindi la sciolgono nel 2010. Alexander le pensa tutte. E per rendere più credibile l’attività piazza una videocamera che lo immortala mentre è al computer e usa, ovviamente, il suo prezioso sistema «Marl». Immagini che si trasformano in una sorta di spot per pubblicizzare l’attività.
Adesso, però, è venuta l’ora dei conti. Alexander è già stato condannato da un tribunale britannico a 12 mesi di prigione (con la condizionale) e a restituire un milione di dollari. Dagli Usa chiedono che i gemelli terribili restituiscano l’intero malloppo ma soprattutto vogliono prevenire che gli Hunter tornino in caccia.
Guido Olimpio