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 2012  aprile 22 Domenica calendario

LA FIDUCIA NEI PARTITI CROLLA AL 2%. E L’80% DICE NO AI FINANZIAMENTI

Il fatto che gli italiani siano in stragrande maggioranza contrari al finanziamento pubblico dei partiti può apparire ormai scontato. Nel momento in cui, come abbiamo documentato le scorse settimane, la disaffezione della popolazione nei confronti delle istituzioni politiche è arrivata ai massimi livelli (tanto che la fiducia verso i partiti è pari al 2% e quella verso il Parlamento supera di poco il 10%), l’idea che le forze politiche ricevano risorse originate dalle tasse che noi tutti paghiamo, non può, di primo acchito, non suscitare dissenso.
Ma, hanno obiettato diversi esponenti politici e autorevoli osservatori, i partiti sono necessari alla democrazia e una certa quota di finanziamento pubblico è essenziale per farli vivere senza condizionamenti. Senza quest’ultimo, si è detto, la politica sarebbe in mano solo alle lobby dei privilegiati e di coloro che comunque possono disporre di grandi risorse e, di conseguenza, finanziare più facilmente la comunicazione e l’attività dei partiti.
Abbiamo voluto verificare il livello di approvazione di quest’ultima argomentazione. Per questo, abbiamo scelto di non porre la domanda secca sull’approvazione o meno del finanziamento pubblico ai partiti (i cui esiti, come si è detto, erano forse scontati), ma di presentare ai nostri intervistati diversi ragionamenti (sotto forma di frasi) invitandoli a esprimere su di essi il loro parere. In particolare, abbiamo proposto l’idea che «è giusto che i partiti siano finanziati con soldi pubblici, sennò le persone molto ricche potrebbero avere più influenza sulla politica, finanziando solo alcuni partiti». Malgrado queste precisazioni, condivide questa affermazione solo il 4% della popolazione. Anche l’altra frase, favorevole al proseguimento del finanziamento pubblico dei partiti, seppure in misura minore dell’attuale, ha ottenuto consensi modesti, di poco superiori al 15 per cento.
Insomma, anche argomentando le ragioni più spesso addotte a favore del finanziamento pubblico, la maggioranza della popolazione mantiene il suo atteggiamento di contrarietà. In particolare, il 39% ritiene che per principio «i partiti non devono ricevere nessun finanziamento pubblico». E un altro 40% non concederebbe denaro pubblico ai partiti «perché spendono male i soldi che gli diamo», non opponendosi dunque direttamente al principio del finanziamento pubblico, ma escludendolo risolutamente per partiti screditati dall’opinione pubblica come gli attuali.
È significativo notare che questi atteggiamenti ricorrono in maniera non dissimile tra i diversi elettorati delle varie forze politiche. Ad esempio, è comunque contrario al finanziamento pubblico dei partiti più del 70% dell’elettorato del Pdl e addirittura più del 75% di quello del Pd, nonostante le posizioni ufficiali espresse da Bersani.
Come si sa, malgrado questo orientamento dell’opinione pubblica in generale e degli elettorati dei partiti maggiori in particolare, i segretari dei tre partiti di governo hanno di recente espresso un parere negativo non solo all’abolizione del finanziamento pubblico, ma anche ad una possibile riduzione dell’entità attuale dello stesso. Anche alla luce di questa presa di posizione, è difficile prevedere a cosa può portare l’atteggiamento così fortemente antipartitico espresso oggi dagli italiani. Un primo effetto è già evidente e consiste nella crescita di consensi a forze politiche che cavalcano i temi dell’antipolitica. Un’altra possibile conseguenza potrebbe essere l’incremento dell’astensionismo. Secondo i risultati di un recente sondaggio di Nando Pagnoncelli per Ballarò, la metà dell’elettorato non vorrebbe più votare il proprio partito se quest’ultimo non rinunciasse esplicitamente al finanziamento pubblico. E un altro 20% dichiara che lo voterebbe comunque, ma che ci rimarrebbe male. Ovviamente, non è detto che, all’atto pratico, la defezione dalle urne raggiunga questa ampiezza. Ma anche questi dati suggeriscono come l’ostilità dell’elettorato verso l’attuale offerta politica possa avere, un domani, implicazioni molto serie. Con effetti oggi imprevedibili sul funzionamento della nostra democrazia.
Renato Mannheimer