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 2012  aprile 21 Sabato calendario

DUE ARTICOLI


L’OCCIDENTE È IPOCRITA? SÌ, MA ALMENO È CIVILE –

Beato Massimo Fini che pubblica libri di articoli e li vende e spesso finisce addirittura in classifica. Beato il giornalista superpolemista a cui l’operazione è riuscita anche stavolta, con La guerra democratica (Chiarelettere): un mucchietto di ritagli datati (l’aggettivo è da intendersi in varie accezioni) che però suscita interesse come fosse roba fresca. Che invidia, davvero.
Il primo pezzo inserito nel libro era apparso su un settimanale che non esiste più (L’Europeo) in un’epoca che non esiste più (i meravigliosi Anni Ottanta). E se c’è una cosa che invecchia in fretta sono gli articoli di attualità. Bene, in queste righe stampate al tempo in cui non esisteva internet però in compenso era ancora vivo Lucio Battisti, Fini avanzava l’idea che l’Occidente stesse per intervenire in Iraq «nello spirito del più puro colonialismo». Quand’anche? Possibile che un programmatico bastiancontrario come l’autore di La ragione aveva torto? nutra un pregiudizio così conformista sulla questione coloniale? Sarebbe bello, invece, che l’Europa fosse ancora capace di colonizzare non dico un continente, almeno un arcipelago. Ma purtroppo non abbiamo più la forza morale, economica, demografica di colonizzare nemmeno un’isoletta. In Africa, ricordiamocelo sempre, si deve proprio al vituperato colonialismo l’abolizione della schiavitù su cui invece si basavano le fortune dei trafficanti arabi e dei sovrani neri. Infatti il triste fenomeno è riemerso in fase post-coloniale: si calcola che in Niger, Paese guarda caso di religione musulmana, gli schiavi siano oggi quasi un milione, circa l’otto per cento della popolazione. Proprio una bella tradizione locale, chissà che cosa ne pensa la firma del Fatto, acerrimo nemico dell’ingerenza umanitaria.
A Fini bisogna comunque riconoscere coerenza e ostinazione perché il suo antioccidentalismo non viene mai meno: articolo dopo articolo, anno dopo anno... Nel penultimo pezzo, vintage 2004, scrive «civiltà superiore» con tanto di virgolette, in segno di scherno. Più masochista di lui forse c’era soltanto Louis Aragon, poeta francese e abbastanza ovviamente comunista, capace di scrivere senza ironia: «Noi siamo i disfattisti dell’Europa. Siamo quelli che danno sempre la mano al nemico».
Ma pure Fini in quanto a disfattismo non scherza, essendo stato capace di dedicare un libro (sarebbe meglio dire: un’elegia) al mullah Omar, arcinemico inturbantato dell’Occidente. Ricordate costui? Era il capo dei talebani afghani, colui che reintrodusse a Kabul la sharia ovvero la legge islamica con il pittoresco contorno di burqa per le donne, barba per gli uomini, lapidazione per gli adulteri. Fini giudica la democrazia un’ipocrisia, una finzione, e non sarò io a dargli torto: ma almeno è un sistema politico che impedisce di prendere a sassate le persone scoperte a fare l’amore. Fosse anche l’unico suo risultato, secondo me sarebbe già qualcosa. Secondo me e, credo, anche secondo tutti coloro, uomini e donne, che rischiano di essere lapidati nei regimi antidemocratici per i quali il nostro temerario pamphlettista nutre simpatia. Molte delle guerre di cui scrive Fini mi si sono ingiallite nella memoria, della Somalia non ricordo nulla e la Bosnia, dopo tanto tempo, grazie a Dio è ormai solo l’area balcanica nelle cui vicinanze si trova Medjugorje. Invece sulla guerra di Libia, recentissima, ne so abbastanza per concordare (molto grosso modo) con l’autore.
Il sostegno ai nemici di Gheddafi, voluto da Napolitano e subito troppo passivamente da Berlusconi, ci ha regalato barconi di profughi e perdite di contratti petroliferi. Oltre che un regime ancora più islamico. Purtroppo però Fini deve sempre strafare, deve spararla sempre più grossa altrimenti non è contento e gli capita spesso un curioso fenomeno: inizia a scrivere dalla parte della ragione e finisce il pezzo dalla parte del torto. O ancor più precisamente dalla parte del torto marcio. Ecco una perla: «Sconfitti i totalitarismi nazifascista e comunista, quello democratico non si è rivelato migliore. Anzi, forse, un tantino peggiore». Sono il primo a dire che la libertà non è di questo mondo, e nemmeno del nostro mondo, Italia o Europa o Euro-America che dir si voglia. Io ad esempio, come scrittore, soffro molto la pressione liberticida del politicamente corretto.
Ma so che è altrove è peggio, e che gli unici scrittori afghani in circolazione sono quelli riusciti a scappare dalle grinfie degli amici di Massimo Fini.

Camillo Langone

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I TALEBANI E GLI ORRORI DELL’OCCIDENTE PIÙ DEI TALEBANI TEMO POLITICI E STAR DELLA TV –

Mi stupisce che Camillo Langone, giornalista proteiforme che stimo e al quale devo, se non ricordo male, una delle migliori interviste che mi sono state fatte, non si renda conto che la sua critica è, in realtà, un elogio. Scrive che molti dei pezzi raccolti ne La Guerra Democratica appartengono, più o meno, al Pleistocene e che «se c’è una cosa che invecchia in fretta sono gli articoli di attualità» (Oscar Wilde diceva che nulla è più vecchio del moderno). Ma il fatto è che i miei articoli erano inattuali quando sono stati scritti e «anno dopo anno» sono diventati attuali. E oggi lo sono più che mai.
È quanto è avvenuto con La Ragione aveva Torto? (Torto maiuscolo, per la miseria, è un Torto metafisico come metafisica è la Ragione illuminista), un libro che Langone mi sembra apprezzi. Quando lo pubblicai nel 1985, dopo essere stato rifiutato da molti editori, vendette 4.000 copie, ma oggi, dopo un quarto di secolo, sta per essere pubblicata la settima edizione. Vuol dire che non era un libro di giornata. Così nei miei articoli, pur nella concitazione del quotidiano che Langone conosce bene, mi sforzo di guardare un po’ più lontano del mio naso.

Mai stato pacifista

In ogni caso, attaccare l’autore al posto del contenuto dei suoi scritti mi è sempre sembrata una deplorevole mancanza di argomenti. Ed è di questi che vorrei parlare.
Io non sono contro la guerra, non sono mai stato un pacifista («Meglio rossi che morti»), tant’è che, come ricordava Borgonovo, ho scritto un libro intitolato Elogio della Guerra. La politica di potenza è sempre esistita. Ma prima che comparissero le Superpotenze, all’epoca delle Potenze queste, se volevano una cosa, mandavano le cannoniere e se la prendevano. Era un metodo brutale, basato sulla legge del più forte, ma ancora intellettualmente onesto. Anche perché, se poi qualcuno rendeva loro la pariglia, buttando giù l’equivalente delle Torri Gemelle, non si mettevano a chiagne e non facevano il ponte isterico gridando allo “sdegno” e alla “vigliaccata” se i loro soldati venivano uccisi come loro uccidevano quelli altrui.
La particolarità delle guerre democratiche degli ultimi vent’anni è che l’Occidente invade, occupa, bombarda e uccide, come sempre è avvenuto, ma con la pretesa di farlo per il superiore Bene delle sue vittime. È questa ipocrisia che è intollerabile. Una sorta di Santa Inquisizione planetaria.
Nulla è più lontano dalla mia sensibilità della cupa religione islamica (come mi è lontano ogni altra forma di monoteismo, ebraico o cristiano che sia). Nei Talebani io non difendo le loro idee ma il diritto elementare di un popolo, o di buona parte di esso, a resistere all’occupazione dello straniero, comunque motivata. E dovrebbe essere chiaro anche a un bambino, persino all’impubere Langone, che non si tiene testa al più potente, sofisticato, tecnologico, robotico esercito del mondo per undici anni, e anzi lo si mette sotto, se non si ha l’appoggio della popolazione. Oggi anche le professioniste afghane, cioè le donne che più sono state mortificate dalla interpretazione radicale che i Talebani hanno dato della shariah, vogliono una cosa sola: che gli occupanti stranieri se ne vadano. Saranno poi gli afghani a vedersela fra loro.

Gli antichi eroi

Ci azzecca di più Borgonovo quando legge nei miei scritti «un rimpianto per gli antichi eroi». Io posso non essere d’accordo con le idee del Mullah Omar, ma ammiro il coraggio di un ragazzo che, diciannovenne, va a battersi, come tanti altri suoi coetanei, contro gli invasori sovietici, perde un occhio, se lo strappa, si benda e torna in battaglia, che con un’avanzata strepitosa sconfigge, in soli due anni, i ben più attrezzati “signori della guerra’” (i Massud, gli Heckmatyar, gli Ismail Khan, i Dostun), le cui milizie erano diventate bande di borseggiatori, di taglieggiatori, di stupratori, di assassini che agivano nel più pieno arbitrio, abusando in ogni modo della popolazione, sbattendo fuori dalle loro case i legittimi proprietari per metterci i propri seguaci, che una volta arrivato al potere non lo userà mai (né lui né i suoi uomini) per fini personali ma continuerà a condurre la vita spartana che aveva sempre condotto, e che infine si batte da undici anni, sacrificandovi la sua intera esistenza, contro gli arroganti occupanti occidentali.
Chi dovrei ammirare, i Frattini, i Cicchitto, i Napolitano, i Fini, gli Schifani, i Casini, i Bersani, i Vendola, che non hanno mai alzato il culo dalla sedia e han sempre vissuto, e vivono, solo di parole, perché sono “democratici”? Io me ne fotto della democrazia che in Sudditi ho definito brutalmente «un modo per metterlo nel culo alla gente, e soprattutto alla povera gente, col suo consenso ». Cosa che, a quanto pare, anche gli italiani cominciano finalmente a capire.

Vuoto di valori

Chi dovrei ammirare? Le nostre star televisive? Si può morire anche, senza accorgersene, di Fiorello, di Chiambretti, di Bonolis. Esiste un radicalismo del senso, ma anche un non meno pericoloso radicalismo del non senso, che è quello di cui soffriamo noi occidentali, un vuoto di valori, che ci perderà e che segnalavo già in quegli articoli del Pleistocene (in quanto alla sessuofobia, sia detto di passata, la Chiesa cattolica non è mai stata seconda a nessuno: negli anni Sessanta, implume Langone, in Vaticano campeggiava una grande foto di Brigitte Bardot come simbolo del Male).
Il burqa, come anche Bin Laden, non ce l’hanno portato in Afghanistan i Talebani, è un’antichissima tradizione che appartiene a molti popoli dell’Asia Centrale e del Medio Oriente.
Per capire le cose del mondo non basta aver deambulato, come Langone, fra Vicenza, Verona, Caserta, Viterbo, Pisa, Bologna, Reggio Emilia, Milano, Trani e Parma, ma bisogna averlo girato, almeno un po’. A me il defunto Europeo e un altrettanto defunto giornalismo questo lo ha permesso. A Langone no. E qui sta la differenza.

Massimo Fini