Luciano Curino, LaStampa, 03.09.1974, 22 aprile 2012
INCONTRI SUL MESTIERE DELLO SCRITTORE
Il silenzio di Elsa Morante Il romanziere più popolare dell’anno non vuole saperne di interviste: "Ho già detto tutto nel mio libro" - Lavora in stretta clausura con la sola compagnia dei suoi gatti: riempie talora migliaia di pagine di appunti, pronta a sacrificarle senza pietà (Dal nostro inviato speciale) Roma, settembre. La Storia di Elsa Morante arriva in libreria il 20 giugno. Centomila copie, dopo un mese non ce ne sono più. Il 20 luglio l’editore Einaudi stampa una « prosecuzione » di ventimila copie, che si esaurisce subito. Si prevede una ristampa, in settembre, di altri centomila esemplari. All’ ufficio commerciale della Einaudi dicono: « Abbiamo già prenotazioni da coprire la prossima ristampa ». Non era mai accaduto nulla di simile nell’editoria italiana. Si pensi che la prima edizione del Gattopardo e quella del Dottor Zivago uscirono in tremila copie circa. E’ vero che poi vennero edizioni a raffica. Ma l’inizio fu quello: tremila. In pochi giorni Elsa Morante è diventata un « caso » e si è corsi ad intervistarla. Ha detto di no a tutti. «Ma, signora...». «Non sono una signora, sono una persona ». Il no era perentorio. Al massimo la scrittrice ha spiegato il motivo del rifiuto: « Non ho niente da dire, ho già detto tutto nel mio libro. Sono quasi settecento pagine, non posso aggiungere altro. Sono vecchia, sono stanca: non voglio interviste né fotografie ». Con qualcuno è stata brusca: « Vi ricordate di noi soltanto quando diventiamo un fatto di cronaca, un caso editoriale ». Con altri gentile: «Creda, non sto bene, non ce la faccio. Spero di incontrarla in un’altra occasione ». In ogni caso, buongiorno e no. Eppure, fino a una decina di anni fa non era difficile intervistarla ed essa era paziente con i fotografi. Ci sono mucchi di fotografie sue, e in quegli anni Elsa Morante ricordava vagamente Ingrid Bergman. Rispondeva brava brava alle domande, a tutte, anche a quelle di questo genere: «Signora, perché ama tanto i gatti? », e lei: « Veramente, io non amo solo i gatti, ma in genere tutti gli animali. Quando ero bambina pensavo che gli animali sono gli angeli. Comunque, se preferisco i gatti è perché i gatti amano me ». Parecchie sono le interviste di quando vinse il Premio Viareggio 1948 con Menzogna e sortilegio e il Premio Strega 1957 con L’isola di Arturo, e ce ne sono anche di qualche anno dopo. / Può essere utile rileggerle e parlare con qualcuno degli intervistatori. Un po’ di Mozart In un lungo profilo che le dedicò, Paolo Monelli scrisse: «Poche persone ho incontrato così sicure al mondo come Elsa Morante. Sicura della sua vocazione di scrittrice, sicura della sua bontà dei mezzi d’espressione e dei risultati che sa trarne, sicura della sua formula che il romanziere deve interrogare sinceramente la vita ufficiale affinché essa gli renda, in risposta, la verità». Ecco: la sua vocazione di scrittrice. E la domanda inevitabile nelle interviste era: a o è a e i l a « Signora Morante, come ha incominciato? ». «Non ricordo periodo in cui non abbia scritto. Si può dire che ho cominciato a scrivere quando gli altri bambini hanno incominciato a correre. Ho cominciato a guadagnare a dodici anni scrivendo favole. Le illustravo anche, e le mandavo a giornalini del tempo. Era straordinario che per quelle favole mi pagassero. Mi pareva una favola nella favola ». « Come nasce un suo romanzo, signora? Qual è il suo metodo di lavoro?». «Per scrivere un romanzo ci vuole tanta salute e una gran spesa di energie... ». Si rinchiude in casa in compagnia dei suoi gatti, lavora riempiendo con calligrafia I minuta ed elegante quaderni grandi come album da disegno. Ogni tanto interrompe per ascoltare un po’ di Mozart. La prima stesura è già curata, distruggendo, limando, riscrivendo. Insiste sullo stesso capitolo finché non è abbastanza soddisfatta. Ma è difficile che sia pienamente soddisfatta. « Molti, purtroppo, il mio romanzo lo hanno già dato per finito, hanno annunciato che uscirà tra poco. E invece, chissà quanta fatica mi ci vorrà ancora... Dovrò riprenderlo, e gettar via le duecento pagine che ho già scritto, e cominciare tutto di nuovo », disse a Barbato. Andrea Barbato dodici an- j 1 e e , ni fa va a intervistarla per L’Espresso, e chiacchiera a lungo con lei, conclude: «Elsa Morante è capace di stare per anni fedele ad un progetto, tesa verso un’idea che l’assilli, a lavorarci dentro senza soste. E sopporta che non si parli più di lei, che il suo nome scompaia dalle frettolose cronache letterarie e dai bollettini editoriali. Intanto lei è chiusa in casa, a lavorare e ad arrovellarsi intorno ad una frase, a cercare le parole giuste, la giusta cadenza... Non che cerchi la bella prosa, che anzi le ripugna. Quello che insegue con tanto severo accanimento è un ritmo interno "che restituisca il valore della realtà". Per trovarlo, è capace di riempire migliaia di pagine d’appunti, di raccogliere documentazione e materiale in grandissima copia, di scrivere dieci volte di più di quello che le è necessario per il libro ». Libro che cresce a fatica, lento, compatto ma sempre in pericolo, sempre con la vita precaria. « Perché un improvviso malumore, un dubbio, un ripensamento possono farlo smembrare in tanti racconti o addirittura farlo finire tra gli scarti, tanto la scrittrice è sempre pronta a ricominciare daccapo, priva com’è d’ogni indulgenza per se stessa », dice Barbato. La gestazione dei suoi romanzi è sempre faticosa, tormentata, lunga. Anni. Lo spunto iniziale è in genere esilissimo. Quando ancora concedeva interviste, la scrittrice rivelò che L’isola di Arturo era nata da una vecchia idea, anzi poco più di un’intuizione. Un’amica le aveva parlato di un figlio di dieci anni geloso del fratello più piccolo e biondo. Da allora Elsa Morante cominciò ad analizzare questa gelosia, a poco a poco nella sua mente si delineava il personaggio, Arturo. « Signora Morante, perché ha scelto a protagonista del suo romanzo un ragazzo? ». « Perché ogni volta che scrivo mi sforzo di liberarmi di ogni sovrastruttura letteraria e intellettuale e di guardare alla realtà come se fosse per la prima volta, mettendomi al posto di una persona semplice ed elementare, forse per illudermi di essere quella che non sono » rispose la scrittrice a L’Espresso che la intervistava nel 1957 quando vinse lo Strega. E per qualche anno concesse ancora interviste e si lasciò fotografare. Poi, di colpo, basta. "Puri e poveri C’è un’affermazione di Lucia Alberti, patron dello Strega: « Un tempo Elsa era assai elegante e curata, frequentava i salotti letterari. All’improvviso è cambiata. Ha smesso di vestir bene, si è chiusa in se stessa ». Ce n’è una di Pasolini: « Per essere ammessi nella ristretta cerchia dei suoi amici occorre non avere debolezze. Bisogna essere dei puri, possibilmente poveri. Non collaborare a nessuno degli strumenti del sistema. Amare gli ammali sinceramente. Essere pieni di vitalità». i All’improvviso è cambiata, j si è chiusa in se stessa... ; Quasi una clausura nell’ap| partamento all’ultimo piano di via dell’Oca, appena diej tro Piazza del Popolo. Un I ampio terrazzo con fiori e | vite americana, i gatti. Di. cono che parli coi gatti. Chiusa in casa per tre o quattro anni, ancora una volta il suo nome è scomparso dalle cronache letterarie, dai bollettini editoriali. Chi si ricordava ancora di Elsa Morante? Qualche amico: Pasolini, la Ginzburg, il poeta Sandro Penna, Cesare Garboli. Pochi altri e sempre meno. Nella solitudine segreta a « interrogare sinceramente la vita ufficiale affinché essa renda, in risposta, la verità ». Qualche volta usciva a comperare quaderni grandi come album da disegno. Di tanto in tanto ascoltava un po’ di Mozart, soprattutto II flauto magico. La solitudine non è durata a lungo. Ora con la Morante c’erano Ida Ramundo vedova Mancuso con il figlio legittimo Nino e Useppe frutto di uno stupro, l’ebreo anarchico Davide Segre. E via via che La Storia procedeva, nuovi personaggi si stabilivano nella casa della scrittrice ed essa viveva con loro, intensamente, una vita immaginaria. C’è un rapporto affettivo del romanziere verso i suoi personaggi e può essere tenace, perfino doloroso. A uno a uno Elsa Morante ha visto morire i suoi personaggi. Dapprima quelli minori, poi tocca al trionfante Ninnarieddo, e Davide Segre in un eccesso di droga, Useppe diventato epilettico muore ancora bambinello, ultima e dopo anni di demenza Ida ’a « povera di spirito ». Storia finita La Storia è conclusa. «Elsa è stanca, sfinita. Un libro come quello svuota» mi dice Natalia Ginzburg. Altri: «La Morante ha regalato i suoi personaggi a tutti, ma lei non li ha più ». In questi caldi pomeriggi Elsa Morante va a sedersi alla pasticceria Rosati; sola, guarda con curiosità la gente agli altri tavolini, il viavai di Piazza del Popolo. Resta a lungo senza fare nulla, poi si incammina verso via del Babuino, sembra andare a caso come chi non ha nulla da fare, nessuno che lo aspetta. Entra in una libreria, sceglie un libro e va a leggerne qualche pagina, seduta sull’orlo della fontana di Piazza di Spagna, nel sole abbagliante e tra la folla. Si direbbe che cerchi qualsiasi pretesto per stare fuori, si direbbe che le sia difficile ritornare a casa, ora che sono tutti morti, spopolata. E guardandola si pensa che il mestiere dello scrittore può anche essere tremendo, può diventare un padrone spietato. La scrittrice Elsa Morante con il romanzo « La Storia» ha creato anche un «caso» letterario. Pagina 3- numero 196