Lietta Tornabuoni, LaStampa, 20.06.1974, 22 aprile 2012
LA MORANTE HA IMPOSTO CHE IL SUO NUOVO LIBRO (LA STORIA) VENISSE PUBBLICATO IN EDIZIONE ECONOMICA E VENDUTO A DUEMILA LIRE
Poveri cari. La storia. Poveri cari I campionati mondiali di calcio sono il più grande spettacolo del mondo: a chi piace. E a chi non piace? Costrette a domestiche serate del silenzio, zittite se s’azzardano a turbare le litanie del telecronista, insolentite se pretendono di dire la loro e se l’impazienza fisica le spinge a muoversi, obbligate a cenare da sole o tardissimo, rinchiuse al pomeriggio di sabato in stanze dalle persiane semichiuse per migliorare la video-visibilità, inseguite dai televisori portatili fin sui prati o nelle pinete domenicali, ossessionate da nomi e commenti sempre uguali, le donne che non amano il calcio reagiscono in modi curiosi. Niente scatti, poche rabbie, scarse proteste. Alcune ritrovano invece, di fronte agli orari e alle necessità organizzative di partite a volte tanto brutte che nessuno mai le vedrebbe se i campionati non fossero il più grande spettacolo del mondo, quella gravità zelante e puerile, quella compiacenza fiera e vassalla che certe mogli ostentano verso gli impegni di lavoro del marito: stasera no, lui ha la partita; alle nove non telefonare, c’è la partita; devo comprare da bere, lui la sua partita senza birra... Altre avvertono, di fronte a goal numerosi come le vittime delle guerre combattute per gioco dai bambini, il gran sollievo delle mamme il cui figlio ha scoperto un trastullo nuovo: meno male, almeno sta lì buono e non scoccia, si diverte e non fa danni, soprattutto non fa domande. Altre ancora provano, di fronte a uomini divenuti monomaniaci, turbolenti e sovreccitati, la tenerezza incomprensiva e pietosa che certe donne frigide sentono in quel momento per i propri amanti: poverino, come è stravolto e teso, che strano, pare malato. Nuove vedove del video, le donne sembrano aver dimenticato le vecchie ribellioni (« perché, perché la domenica mi lasci sempre sola per andare alla partita di pallone? »), sembrano essere approdate alla tolleranza condiscendente, all’affettuoso compatimento, a una superiore indulgenza: poveri cari, certo, perché no? Se così si divertono, perché disturbarli? Bisogna capirli, perdonarli. Gli basta tanto poco, poveri cari. Tutte storie. Trucchi, sgambetti verbali, espedienti psicologici per non riconoscere la sconfitta rappresentata dai campionati mondiali di calcio. Per anni son fioriti gli orgogli femministi, le prove di autonomia e parità, i sondaggi testimonianza del progresso e dell’integrazione femminile. Poi arriva il più grande spettacolo del mondo: ed ecco le donne di nuovo neglette, escluse dall’universo virile, ricacciate nel loro gineceo, tornate alla subordinazione, ridotte al silenzio. La storia Pronto a manifestarsi, il prevedibile e previsto « caso » letterario di stagione è un grosso romanzo intitolato La storia. In poche pagine, premesse ad ogni capitolo, riassume la storia ufficiale e internazionale dei governi, degli scienziati, dei generali e del capitale, dal 1900 al 1967. In molte pagine racconta la storia italiana 1941-1947 vissuta, nei quartieri popolari di Roma, dalla povera gente ignara dei grandi eventi ma da essi travolta, uccisa, affamata, condizionata negli affetti. Come nei Promessi sposi, gli avvenimenti storici son visti dagli occhi dolenti e confusi dei poveri: tra i tanti, una misera maestra mezzo ebrea, vedova, madre d’un ragazzo oscillante nella sua aggressività adolescente tra brigate nere e partigiani, madre pure d’un bambinetto nato dalla violenza fattale da un soldato tedesco. E’ un romanzo scritto con volontaristica semplicità: il ritratto del bambino Giuseppe detto Useppe, la sua felice scoperta e intrepida esplorazione del mondo diventeranno, è facile supporlo, difficilmente dimenticabili. L’ha scritto Elsa Morante, un’autrice sessantenne di cui si dice spesso « è il migliore scrittore italiano », e per la quale molti altri scrittori italiani provano un rispetto denso di disagio. Elsa Morante è infatti per loro una sorta di vivente rimorso di coscienza, una « diversa » che li fa sentire colpevoli e persino un po’ vergognosi, come bambini discoli rispetto a una grande madre terribile. Loro si abbandonano al pettegolezzo letterario (cose da pazzi, Pasolini ha stroncato la Maraini; cose mai viste, la Ginzburg ha attaccato Bassani; vieni stasera da Bcllonci alla prima votazione per il premio Strega?) ; la Morante ignora gli altri. Loro amano la notorietà; la Morante non concede interviste, non aspira alla televisione, non partecipa a tavole rotonde, non presenta libri altrui e non propaganda i propri, può diventare furiosa all’idea che i giornali pubblichino una sua fotografia. Loro amano stare sempre insieme, tenersi sotto controllo; la Morante vive in solitudine sprezzante. Loro amano, chi più chi meno e come tutti, i soldi, i diritti d’autore; la Morante ha imposto che il suo nuovo libro venisse pubblicato in edizione economica, venduto a duemila lire. Molti di loro producono ogni anno opere smilze intervallate da troppe pagine bianche; la Morante ha pubblicato dopo sei anni di silenzio un romanzo di 665 pagine. Molti scrittori sentono l’uggia del lavoro solitario, delle ore faticate al tavolino; la Morante ama scrivere. Molti altri hanno vite conformi, composte, difese dalle violenze del sentimento; la Morante non si protegge dalle avventure del dolore, dai disordini della sofferenza. Naturale allora che alla vigilia del « caso » serpeggi il disagio. Moravia, che con la Morante è stato sposato, è partito: per il Canada, per il Messico, lontano. Lietta Tornabuoni
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