Corriere La Lettura 22.4.12 di Maria Teresa Cometto, 22 aprile 2012
Sono io l’unica donna di Picasso Françoise Gilot: non voleva intorno modelle passive Olga e Dora sono impazzite, ma non per colpa sua «Ciao, hai vinto e a me piacciono i vincenti»
Sono io l’unica donna di Picasso Françoise Gilot: non voleva intorno modelle passive Olga e Dora sono impazzite, ma non per colpa sua «Ciao, hai vinto e a me piacciono i vincenti». Sono le ultime parole dette da Pablo Picasso a Françoise Gilot, pittrice e sua compagna dal 1943 al 1953. Gilot lo racconta in un’intervista alla «Lettura» nella sua casa-studio newyorchese dove tuttora, a 91 anni, dipinge a tempo pieno. «La mia mente è sempre al lavoro, anche mentre dormo: se sei un artista, devi esserlo 24 ore al giorno», spiega mostrando il suo ultimo quadro, un’opera astratta in giallo. «Picasso mi chiamò al telefono dopo che vinsi anche l’ultima delle tre cause con cui lui aveva cercato di bloccare la pubblicazione nel ’64 del mio libro Vita con Picasso — continua Gilot —. Certo non era contento, ma ammirava i vincenti come lui». Nel libro, un bestseller da oltre un milione di copie, c’è tutta la loro storia dal primo incontro in un ristorante a Parigi nel ’43, quando lei aveva solo 21 anni e lui 61, fino a quando dieci anni dopo lei lo lasciò, l’unica donna tanto indipendente e forte da osare un simile gesto. In mezzo, il comune amore per l’arte e la filosofia, due figli — Claude nel ’47 e Paloma nel ’49 —, i giorni felici in Costa Azzurra immortalati dalla celebre foto di Robert Capa dove Gilot cammina radiosa sulla spiaggia mentre Picasso, un passo indietro come un fedele servitore, regge l’ombrellone per proteggerla dal sole. Ma anche i tanti giorni neri in cui Picasso dava il peggio di sé, come uno dei minotauri-mostri delle incisioni che aveva mostrato a Gilot la prima volta che lei aveva visitato da sola il suo studio. Gilot ne parla senza rancore, con il distacco e la serenità di una donna che alla sua età è ancora bella, in perfetta forma e lucidissima, sopravvissuta non solo a Picasso (scomparso nel ’73 a 91 anni), ma anche a due mariti, il pittore Luc Simon (da cui divorziò nel ’62) e l’inventore del vaccino antipolio Jonas Salk (con cui rimase sposata felicemente per 25 anni fino alla sua morte nel ’95). Riluttante a concedere interviste, Gilot stavolta ha accettato perché il 2 maggio alla Gagosian Gallery sulla Madison avenue apre la mostra Picasso and Françoise Gilot: Paris-Vallauris 1943-1953, la prima in cui sono esposte insieme le opere della coppia. «Ci sono alcuni quadri della mia prima mostra del 1943 a Parigi, quelli visti da Picasso che poi mi mandò una lettera invitandomi a visitare il suo studio — racconta Gilot —. C’è il mio Autoritratto come una Civetta con Pablo, del ’48. La civetta nella mitologia greca era il simbolo della saggezza: nel quadro è appollaiata sulla spalla di Picasso. Il buffo è che avevamo davvero una civetta nello studio a Parigi: ce l’aveva data nel ’46 un suo aiutante, che l’aveva trovata con una zampa rotta. Picasso e io l’abbiamo adottata ed era molto utile: in casa avevamo parecchi topi e lei ne mangiava uno al giorno. Lui amava molto gli animali, abbiamo avuto anche piccioni, cani, capre: sulla civetta scherzavamo, dicendo che sembrava sempre di cattivo umore». Fra i quadri di Picasso ispirati a Gilot, sono esposte quattro versioni di La Femme-Fleur. «È uno dei primi ritratti che mi fece, ovviamente astratto — ricorda Gilot —. Sia lui sia io non abbiamo mai dipinto copiando la natura. È molto più interessante usare la memoria visiva: puoi selezionare qualsiasi aspetto di quello che hai osservato, di solito ricordi quello che ti piace, e poi ricomporlo come vuoi, in un modo completamente diverso. Questo stile ti dà un maggior grado di libertà». Quando la ventunenne Gilot incontrò Picasso, sapeva di avere davanti un monumento vivente, ma non era per niente intimidita. «Perché mai avrei dovuto esserlo? — chiede sbuffando — Come figlia unica sono cresciuta in mezzo a persone molto più vecchie di me. Inoltre ero anch’io un’artista, una tra i giovani emergenti più riconosciuti sulla scena di Parigi di quegli anni. Allora gli artisti non avevano un buon rapporto con il pubblico e stavano vicini l’un l’altro. C’era la cosiddetta Repubblica delle Arti e della Letteratura e se tu ne facevi parte, anche se poco noto, eri trattato allo stesso modo di un Picasso». Ad affascinarla erano stati soprattutto l’intelligenza e il coraggio di Picasso. «Era molto brillante, aveva sempre idee interessanti e gli piaceva essere circondato da persone intelligenti, era costantemente in dialogo con poeti e scrittori oltre che con altri pittori, come Braque e Matisse — ricorda Gilot —. La mia generazione lo ammirava anche per la sua decisione di restare nella Parigi occupata dai nazisti: non aveva più il passaporto spagnolo, a causa di Franco, ma avrebbe potuto andare negli Stati Uniti, come fecero molti altri. Invece rimase lì, a rischio della sua vita, un gesto molto coraggioso». Anche fra Picasso e Gilot il dialogo era continuo, ma attento a non urtare le sensibilità reciproche. «Non parlavamo mai direttamente del nostro lavoro — precisa la pittrice —. Non puoi criticare quello che sta facendo l’altro, disturberebbe il processo creativo e sarebbe sgradevole, negativo. Invece discutevamo di arte in generale, comunicavamo facendo riferimento a pittori del passato». Diventare madre non ha reso più difficile essere artista. «Al contrario — sottolinea Gilot —, mi ha reso adulta. Prima avevo vissuto o sotto la tutela della mia famiglia o dedicata a Picasso. Poi la responsabilità verso i figli, volerli crescere normali, mi hanno fatto cambiare valori. A 31 anni avevo bisogno di indipendenza e di poter volare con le mie ali. Ho lasciato Picasso non perché non lo amavo più. Era la routine quotidiana a non essere più vivibile». Per qualche anno Gilot con i figli ha continuato a vedere Picasso. «Io sarei andata avanti così, ma lui non poteva sopportare l’idea che io avessi preso la mia libertà, era furioso — ricorda la pittrice —. La situazione è peggiorata dopo il suo matrimonio con Jacqueline nel ’61 e poi il mio libro nel ’64 è stata solo una scusa per smettere di vedere me e i nostri figli». Non è tenera Gilot con le altre compagne di Picasso e con le donne in genere. «Chi mi ha attaccato di più, distruggendo la mia immagine dopo l’uscita di quel libro, è stata la scrittrice Hélène Parmelin, moglie del pittore Édouard Pignon, un amico stretto di Picasso — dice Gilot —: voleva scrivere solo lei di Pablo! In effetti molti dei miei nemici erano donne che stavano attorno a Picasso, perché io ero l’unica che non poteva essere rimpiazzata». L’unica che non è stata abbandonata da Picasso. E che oggi, contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, lo difende. «Picasso non ha mai impedito alle sue compagne di esprimersi — spiega Gilot —. Ma molte di loro erano solo muse, modelle, donne passive e non esseri umani che partecipano in una relazione. Picasso era più moderno di loro e si aspettava che una donna fosse anche creativa: la sua mente era sempre al lavoro e se non riuscivi a seguire il ritmo, non era abbastanza per lui. Se hai solo la bellezza, quando sfiorisce finisce anche la relazione». Il fatto che la prima moglie Olga Khokhlova, che lo sposò nel 1918 e che ruppe con lui nel 1935 senza però concedergli mai il divorzio, e Dora Maar, che lo conobbe nel 1936 e che sarebbe stata la sua amante per nove anni, «siano finite pazze dopo essere state lasciate da Picasso», e che Marie-Thérèse Walter, amante dal 1927 al 1935, e Jacqueline Roque, sposata nel 1961 e uccisasi con un colpo di pistola 12 anni dopo l’artista, «si siano suicidate dopo la sua morte, prova che quelle donne — conclude Gilot — erano comunque incapaci di esprimere qualcosa da sole: senza di lui non potevano vivere. Questo non è colpa di Picasso».