Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  aprile 07 Sabato calendario

DIPINTI E INCISIONI A INCHIOSTRO. IL MISTERO DELLE PIETRE MOBILI - A

guardare i dipinti e le incisioni di Giancarla Frare, in mostra fino al primo maggio presso l’ Istituto nazionale per la Grafica a Palazzo Poli, vengono in mente le misteriose pietre mobili della Death Valley in California: massi di roccia scolpiti dai venti forti e dalla sabbia abrasiva, che camminano nel deserto lasciando una traccia sul terreo di argilla secca. Nessuno ancora è riuscito a capire come avvenga il fenomeno. E vengono in mente le pietre mobili che lo scrittore giapponese Haruki Murakami dissemina nei suoi racconti. Quella a forma di rene che si muove durante la notte nello studio di una dottoressa. E la «pietra dell’ entrata», trovata dal protagonista di «Kafka sulla spiaggia» in un tempio abbandonato, che a un certo punto comincia a fremere e a scaldarsi diventando la porta per accedere a un’ altra dimensione. Per anni Giancarla Frare ha fotografato le pietre del Foro Palatino - frammenti di memoria di antichi monumenti - riprese nelle diverse ore del giorno per metterne in evidenza luci e ombre. Poi ha riportato questi scatti su fogli di carta, dipingendo intorno alle pietre pavimenti e pareti di stanze claustrofobiche con inchiostri e terre naturali, spesso mescolate all’ uovo. E l’ impressione è che i frammenti di colonne o di statue siano pronti a muoversi, a transitare da un’ altra parte non appena voltiamo lo sguardo. Non a caso, forse, questo gruppo di opere, create tra il 2007 e il 2010, va sotto il titolo di «Stati di permanenza». Temporanei, sembra sottinteso. Ci sono altri due nuclei, nella mostra «Ricomporre il frammento», curata da Antonella Renzitti. Nel primo, che raccoglie le opere meno recenti, i frammenti sono più leggibili: uno stralcio dei fornici del Colosseo, il cornicione di una cattedrale gotica, una persiana incorniciata da lesene marmoree. Frare ha incastonato questi frammenti nel fianco di una montagna, al centro di un prato deserto, all’ ingresso di un tumulo. Paesaggi creati con pennellate fluide di nero e grigio in tutte le tonalità, sulle quali spicca il bianco dei marmi, presenze inquietanti che sembrano risucchiare lo spettatore all’ interno di un mondo misterioso. L’ ultimo nucleo della rassegna riunisce una decina di incisioni a puntasecca, dove le tracce dell’ inchiostro calcografico sul biancore accecante della carta sono prodotte con pennellate dense, rapite in un movimento vorticoso. Dal nero arruffato, come da una battaglia per l’ evoluzione, emergono stralci di figure, la testa di un uccello, un orecchio umano, una zampa. Le opere risentono del fascino esercitato su Frare dai versi di Gerg Trakl, poeta austriaco espressioniasta, cantore del «possente silenzio della pietra», al quale l’ artista nata a Benevento e oggi residente a Roma ha dedicato le opere realizzate nell’ arco degli anni Ottanta.
Lauretta Colonnelli