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 2012  marzo 28 Mercoledì calendario

PRIMO LEVI, PAROLE CONTRO IL CAOS

Sono passati venticinque anni dall’ undici aprile del 1987, quando il corpo di Primo Levi fu trovato esanime in fondo alla tromba delle scale della sua casa, in un palazzo torinese. Per ricordare lo scrittore, considerato ormai un classico della letteratura mondiale, soprattutto grazie al romanzo autobiografico «Se questo è un uomo» che racconta la devastante esperienza nel lager di Auschwitz, sono arrivati a Roma una trentina di studiosi provenienti da tutto il mondo. Riuniti in un symposium, che è stato inaugurato ieri alla Casa delle Letterature e proseguirà fino al 30 marzo nella Sala polifunzionale del Consiglio dei ministri (via Santa Maria in via, 37) sotto la direzione di David Meghnagi, discuteranno dell’ antropologia filosofica di Levi, del suo rapporto con le lingue, del suo contributo all’ elaborazione del lutto tra i sopravvissuti alla dittatura militare in Argentina, di come le sue opere sono state accolte in Germania, Romania e Stati Uniti. Colpisce un annuncio degli organizzatori, che quasi commuove: tutti gli studiosi stranieri hanno scelto di parlare in italiano in omaggio alla lingua di Primo Levi. Si scopre che in Romania «Se questo è un uomo» è stato tradotto solo nel 1974, perché nei paesi dell’ Est europeo la deportazione degli ebrei è stato per tanto tempo un argomento tabù. E che in Germania, dove fu pubblicato per la prima volta nel 1961, ebbe scarsa risonanza. I giornali e le riviste di storia cominciano a parlare di Levi solo a partire dagli anni Novanta, quando il mondo della storiografia prende a interessarsi anche delle vittime del nazionalsocialismo e lo scrittore viene inserito nel dibattito generale sui lager. Altri studiosi fanno convergere l’ attenzione sul linguaggio, ravvisando connotazioni dantesche quando nella descrizione degli ebrei costretti a vivere nei campi di sterminio appaiono riferimenti ai personaggi infernali di Caronte e del conte Ugolino. Uno storico della scienza, Antonio Di Meo, osserva come gli studi di chimica del giovane Levi abbiano poi influenzato il suo linguaggio letterario: «Per Levi la scienza e la scrittura sono la fonte primaria della conoscenza, ma anche dell’ idea di una loro progressiva scomparsa nel caos e nel disordine, come viene sostenuto dalle legge della termodinamica. Ogni forma naturale e culturale nota, e i significati ad esse associabili, hanno dunque la stessa sorte: l’ indifferenza universale. E questo per lo scrittore era fonte di angoscia». Demetrio Paolin si concentra sul tema della vergogna, che appare per la prima volta nell’ episodio del laboratorio di chimica (Se questo è un uomo) dove Levi paragona se stesso e i compagni a polli spennati. La vergogna è il tema proposto anche da Roberto Riccardi, colonnello dell’ Arma e giornalista, che fa risalire a questo sentimento (vergogna anche di essere sopravvissuto) il gesto estremo di Levi, venticinque anni fa. Nella poesia «Il superstite» aveva scritto: «Non è colpa mia se vivo e respiro, e mangio e bevo e dormo e vesto panni».
Lauretta Colonnelli