Sergio Rizzo, Corriere della Sera 22/4/2012, 22 aprile 2012
Aprendo la fase due del suo governo, Mario Monti aveva annunciato «un lavoro intenso sulla spesa pubblica»
Aprendo la fase due del suo governo, Mario Monti aveva annunciato «un lavoro intenso sulla spesa pubblica». Se lo aspettavano i mercati, ma soprattutto gli italiani. Dopo i sacrifici necessari per allontanare il Paese dall’orlo del baratro, dopo il giro di vite sulle pensioni, dopo l’aumento delle addizionali Irpef e dell’Iva, dopo i rincari della benzina, sarebbe finalmente arrivato il momento di tagliare sprechi e spese inutili: liberando così risorse per la crescita, asfittica da anni, e offrendo a tutti la speranza che si sarebbe potuta presto ridurre la pressione fiscale diventata insostenibile. Interessi sul debito compresi, la spesa pubblica supera abbondantemente il 50% del Prodotto interno lordo. Dal 2000 al 2011, secondo il centro studi Eutekne.info, è salita in termini reali di 124 miliardi di euro, mentre il nostro Pil pro capite, dicono i dati del Fondo monetario, è diminuito del 2,1%. Un macigno pesantissimo. Che alimenta lo spread fra i nostri Btp e i Bund tedeschi, tornato a livelli preoccupanti, nonché lo scetticismo internazionale circa la possibilità che l’Italia consegua il pareggio di bilancio nel prossimo anno. Di tutto questo Monti sembra perfettamente consapevole, almeno a giudicare da alcune iniziative. I voli blu, che nel 2009 avevano addirittura superato del 22% i livelli record del 2005, quando gli aerei della presidenza del Consiglio solcavano i cieli 37 ore al giorno, sono stati ridotti di oltre il 90%. Mentre le consulenze che Palazzo Chigi per una prassi tanto generosa, quanto irrispettosa del rigore, garantiva a funzionari già in pensione, sono state azzerate. Vorremmo però che altrettanto consapevoli, oltre ai politici arroccati a difesa dei propri privilegi e dei lauti rimborsi elettorali, fossero anche alcuni ministri e frenatori di cui è piena la pubblica amministrazione: centrale e locale. Il piano taglia-spese, frutto della famosa spending review, doveva partire alla fine di gennaio. Ora sembra che della «revisione della spesa» se ne parlerà a maggio. Inutile girarci intorno. Tutte queste difficoltà hanno a che fare con resistenze radicate e diffuse in una burocrazia potente e refrattaria ai cambiamenti. E che con ogni probabilità si sente ancora più forte nel momento in cui ai vertici politici dell’amministrazione ci sono «tecnici», beninteso validissimi, che ne sono espressione. Immaginiamo che non sia facile per un militare, qual è l’ammiraglio Giampaolo Di Paola, tagliare come dovrebbe le spese della Difesa. Né per un altissimo dirigente dell’Interno, come il prefetto Anna Maria Cancellieri, affondare quanto sarebbe necessario il bisturi nei conti del Viminale. E neppure per un diplomatico, nella fattispecie l’ambasciatore Giulio Terzi di Sant’Agata, infliggere qualche sana mutilazione al bilancio della Farnesina. Comprensibile che gli pianga il cuore. Ma sarà difficile spiegarlo agli italiani, schiacciati da una tassazione ai record europei con servizi da Terzo mondo. Il tempo della comprensione è scaduto: ora è quello dei tagli. Se ne facciano tutti una ragione.