Marco Bertoncini, ItaliaOggi 20/4/2012, 20 aprile 2012
Un tempo gli Usa non ci capivano – Va bene che una fase simile non ha precedenti, né mondiali né nazionali
Un tempo gli Usa non ci capivano – Va bene che una fase simile non ha precedenti, né mondiali né nazionali. Va bene che la crisi dei partiti è divenuta abissale. Va bene che nessuno ha chiaro quali siano i percorsi del governo, delle forze politiche, dei vertici dei partiti. Però un caos simile è perfino peggiore di quel che le circostanze motiverebbero. Mario Monti pensa di risolvere i problemi sempre più gravi che l’affliggono ricorrendo ai vertici. Più li affolla, più li rende frequenti, meno risultano produttivi. Pare che né lui, né gli altri ministri, ma nemmeno i massimi esponenti dei partiti che lo sorreggono, si rendano conto che altro è dirsi d’accordo su un’ipotesi, su una prospettiva, su un’idea, altro è intendersi su un testo di legge composto di articoli e commi. I due maggiori movimenti di maggioranza tirano la corda fino a quasi spezzarla, poi si rassegnano. Sarebbero disposti a far cadere il governo, come robuste componenti delle rispettive formazioni richiedono, ma non osano, anche perché altrettanto (e anzi ancor più robuste) articolazioni interne altro non desiderano se non la prosecuzione dell’intesa. Pier Ferdinando Casini, adoratore del governo, incapace di qualsivoglia minima critica, intende annetterselo al più presto, quasi che i consoci di maggioranza potessero consentirgli di tramutare il governo sedicente tecnico in un gabinetto squisitamente politico. Perfino i consiglieri dei vertici politici sbandano: Giuliano Ferrara è passato dalla stroncatura violenta del «governo del Preside» all’esaltazione incessante dell’ottima produzione dell’esecutivo, transitando da una feroce teoresi del bipolarismo a una predica ruvida della grande coalizione, da irrobustire per i prossimi lustri. La politica italiana è sempre stata un busillis per gli osservatori stranieri. Dalla Casa Bianca ci si è rassegnati, da oltre mezzo secolo, a far conto esclusivamente sulla nostra alleanza, rinunciando non solo a influire sui destini interni, ma perfino a comprendere quel che da noi avviene. Non è un caso che rapporti, relazioni, dispacci, inviati dalle più varie fonti, diplomatiche o militari, man mano sono pubblicati rivelino sia un’abissale incapacità di prevedere quel che farà la politica italiana dopo due settimane, sia le più incredibili panzane, trasmesse a Washington quasi si trattasse di dimostrazioni di geometria euclidea.Ovviamente, in questo caos istituzionalizzato, che noi italiani abbiamo sempre saputo gestire (quale altro Paese occidentale avrebbe potuto superare contestazione, autunno caldo, inflazione oltre il 20%, terrorismo, stragismo, decadenza culturale e civile, come da noi negli anni settanta?), avviene di tutto e il contrario. Gli ex An premono per mandare a casa Monti, mentre i loro colleghi diretti da Beppe Pisanu predicano un nuovo soggetto politico centrista. I finiani, lasciato Silvio Berlusconi, si trovano in una melassa centrista che fa rimpiangere il Cav dei tempi d’oro e persino quello della decadenza. Nel Pd, Luciano Violante conduce trattative per una riforma elettorale lontana mille miglia dal sistema a doppio turno approvato all’unanimità dal partito, e si trova bacchettato da Romano Prodi nostalgico dell’Ulivo, i cui sostenitori inneggiano al ritorno del mattarellum. In queste condizioni, il compito di chi dovrebbe spiegare quel che succede sul palcoscenico della politica è divenuto superfluo. Neanche il critico teatrale ci capisce più, e non può chiarire quel che per lui (ma per gli stessi attori) è nebbioso, indecifrabile, oscuro.