Carlo Tecce, il Fatto Quotidiano 20/4/2012, 20 aprile 2012
MEDIASET TRASMETTE CATTIVE PREVISIONI
Pensate a una televisione che appare moderna a trent’anni, un po’ rugosa, forse decaduta. Pensata a un’azienda che fattura miliardi e distribuisce milioni, spesso oltre le regole e oltre se stessa, ma che teme d’invecchiare povera. Pensate a Mediaset. E scoprirete che la soluzione è nel pizzone, sapore antico e ruggente . Il nastrone che il pioniere Silvio Berlusconi spediva fra Milano e Palermo, Torino e Trieste, per trasmettere in contemporanea e per ingannare le leggi.
É un simbolo che ritorna. Adesso che Cologno Monzese ordina di mandare i programmi in differita - mai più dirette per il varietà e l’informazione in salotto - per rastrellare quel mucchietto di spiccioli che naufraga in cassaforte . Il particolare non spiega la depressione Media-set, ma ne misura perfettamente le paure.
QUELLE paure che cicatrizzano la faccia di Fedele Confalinieri: non sopporta che il governo neghi le frequenze gratuite; non capisce perché la raccolta pubblicitaria evapori (- 10% nel primo trimestre); non riconosce le cifre d’ascolto che suonano l’allarme; non accetta riduzioni del personale (si accontenta dei pensionamenti anticipati); non insegue il titolo in Borsa che si schianta a 1,7 euro. Bei ricordi, lontani, i 4,5 euro per azione di un anno fa. I numeri che prima correvano insieme, ora frenano con violenza. L’impatto, però, va studiato con l’insidioso indice share. I tre canali generalisti, soltanto tre anni fa, sfioravano il 40 per cento e 4,2 milioni di telespettatori nell’intera giornata. Arriviamo al 2012, stesso periodo (gennaio-aprile): all’appello mancano 9 punti di share. Cifre ancora più ansimanti in prima serata, laddove si concentrano i milioni veri con la pubblicità più pregiata: i 10,7 milioni di italiani si riducono a 9. E non bastano le partite di calcio – che attirano pubblico e perdite fra investimenti e incassi– a risollevare il Biscione. Il bilancio 2011 rilascia un utile di 225 milioni, e una tendenza che impressiona: l’indebitamento finanziario supera quota 1,59 e raggiunge 1,77 miliardi. L’azzardo multinazionale Endemol (casa di produzione), che doveva blindare il monopolio privato, svanisce con 145 milioni in bolletta. Quest’anno niente aiutino con la pubblicità, peggio: l’andamento lento fa ballare circa 250 milioni di euro, identica somma per i tagli previsti nei prossimi tre anni.
NON PARLATE di Spagna, per favore: seconda gamba azzoppata di un gruppo che affonda le radici nei paesi più involuti. Chi guarda Amici di Maria De Filippi non subisce le fibrillazioni in Media-set, non fosse che la De Filippi è un tema centrale. No, la signora di cantanti e successi non fugge a Sky: la tentazione, però, l’ha provata davvero; e per il momento è sopita (non cancellata).
Il tormentato addio di Emilio Fede – che riempie di gioia Pier Silvio Berlusconi e il capo Confalonieri – non risolve le discese di Canale 5 e Italia 1. La prossima estate, proprio Canale 5 convoca Salvo Sottile, conduttore di Quarto Grado su Rete 4, per richiamare le casalinghe disperse con la cronaca nera. Un bel contrappasso per l’azienda che vantava il pubblico più giovane e vivace d’Italia, ma serviva (anche) a giustificare il dominio pubblicitario.
I telegiornali già pagano un paio di rate: testata unica e inviati in comune, niente rinforzi estivi per le ferie. Esempio: chi finisce Matrix rientra al Tg5 di Clemente Mimun. A proposito. L’azienda vorrebbe rivoluzionare il telegiornale di Canale 5 (e dunque sostituire Mimun); ormai le notizie virano su Tgcom24 di Mario Giordano, un esperi-mento riuscito per contrastare Skytg24 e Rainews. Un particolare, ancora: non si trovano più giornali in redazione, non si comprano. Una stupidata, direte. Però, la carta nasconde quei dipendenti che vanno in pensione con l’incentivo e quei timori di Confalonieri: “Non licenziamo, per ora”. Il rischio è che i 250 milioni di risparmi siano uno zuccherino se la pubblicità diventa una malattia.