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 2012  aprile 20 Venerdì calendario

In 6 mila per Morosini Prandelli: “Ha riunito il calcio” - Ci sono così tanti calciatori da giocare un campionato

In 6 mila per Morosini Prandelli: “Ha riunito il calcio” - Ci sono così tanti calciatori da giocare un campionato. Ma niente partite di ritorno per Piermario Morosini, il «Moro» che aveva la maglia del Livorno e che a Bergamo ci torna da campione ma in una bara di legno chiaro. «Uno di noi...», gridano gli ultras di tutte le squadre, con le loro sciarpe dietro allo striscione dell’Atalanta perché oggi non ci sono differenze, prima di accendere i fumogeni e i razzi rossi perché il «Moro» si possa sentire come allo stadio che si vede dietro al campanile della chiesa di San Gregorio, dove hanno appeso uno striscione lungo così: «Mario con noi sempre». Saranno in seimila e pure di più. C’è la gente del quartiere che lo ricorda quando tirava i primi calci sul campetto di cemento dove adesso c’è l’erba sintetica. E quelli che lo salutavano ancora, quando veniva all’oratorio a giocare con i ragazzini. Allo stadio hanno messo il maxischermo e pure davanti alla chiesa dove gli ultras hanno gli occhi lucidi. Il vicario del vescovo di Livorno, dall’altare parla come uno di loro: «Mario è nei nostri cuori. Mario è uno di noi...». Se fuori ci sono i cori, dentro la chiesa ci sono le canzoni di Ligabue che «Moro» amava tanto: «Non è tempo per noi e forse non lo sarà mai» che Anna, Annina, la sua fidanzata di vent’anni, canta sottovoce e un po’ sorride, mentre stringe tra le mani una sua foto. Sulla bara ci sono le rose bianche e rosse e il Vangelo e la maglia col 25 del Livorno e poi metteranno pure quella dell’Atalanta. Davanti alla bara chiara la Ccorona di fiori del presidente Napolitano e un pallone e un tappeto di sciarpe di tutte le squadre. Il commissario tecnico della Nazionale Cesare Prandelli seduto in chiesa in prima fila si alza solo per abbracciare Anna e fare la comunione: «Piermario è riuscito in un miracolo, ha unito tutte le bandiere che sui campi sono una contro l’altra». Ma oggi non è così. I calciatori del Livorno con la tuta e gli occhi lucidi ci sono tutti. Quelli dell’Udinese sono volati sin qui in charter. A salutare per l’ultima volta il calciatore della porta accanto dalla vita sfortunata, orfano dei genitori e con un fratello suicida. All’emozionato don Luciano Manenti che tiene l’omelia perché lo conosceva fin da bambino il «Moro» una volta aveva detto: «Di fronte alla mia vita ho più grazie da dire che recriminazioni da fare». «Umile come pochi», scrivono gli ultras sui muri e mettono una foto dove sorride. Ma oggi qui non c’è nessuno che ne abbia voglia. Il presidente della Federazione Giancarlo Abete nasconde la commozione dietro le cose tecniche: «Ci vogliono più defibrillatori...». Il suo vice Demetrio Albertini fila via. Passano i delegati della Fifa, sette calciatori del Padova e poi i manager: da Ariedo Braida del Milan a Beppe Marotta della Juventus. Ci sono i ragazzi della Primavera dell’Inter e del Milan e il gonfalone della Roma. I calciatori del Pescara ci sono tutti. Passa Ciro Ferrara commissario tecnico della Under 21 e Pierluigi Casiraghi che il «Moro» lo aveva pure avuto in squadra. Dall’altare Abramo Ferrari, zio di Morosini, legge a fatica il Vangelo. La mamma di Annina piange e basta: «Almeno dal cielo chiamami Mariella e non signora». Sua figlia sorride a tutti ma sull’altare così, non ci va proprio. Al cimitero dove la aspetta uno striscione con il nome «Mario» scritto a caratteri cubitali ha in mano una rosa rossa e sussurra a chi la avvicina: «Ho sentito tanto affetto da tutti voi. A Mario sarebbe piaciuto molto».