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 2012  aprile 20 Venerdì calendario

A DESTRA SERVE UN PARTITO NUOVO DI ZECCA


Povera patria, cantava Franco Battiato. L’Italia in questo aprile, il più crudele dei mesi, è divisa fra ipotesi-Metternich e ipotesi-Maroni che è come dire fra padella e brace. Metternich sta per realizzare, attraverso il collaboratore postumo Mario Monti, il suo vecchio sogno di ridurre la Penisola a semplice espressione geografica. Facendo approvare ai parlamentari, sotto la minaccia delle elezioni alla tempia, il cosiddetto fiscal compact, il trattato che sottrae all’Italia le scelte sulla politica fiscale italiana per consegnarle alla Comunità Europea o per meglio dire ad Angela Merkel. Mentre Maroni ha ripreso ad agitare, da Bergamo e poi sui giornali con diabolico perseverare, lo spettro dell’indipendenza padana. Che a dire il vero non fa più impressione nemmeno ai bambini: non si può gridare «Al lupo! Al lupo!» per vent’anni e sperare che ci si creda ancora. Ci può forse credere qualche militante fanatizzato e nostalgico, di quelli che armati di tardive ramazze hanno semiaffollato la fiera orobica, ma non certo il normale elettore: e la sensazione di esodo elettorale (verso il non voto, oppure verso Grillo) è confermata dai sondaggi.
Peccato perché l’ex ministro dell’Interno, l’altro giorno sul Corriere, la diagnosi l’ha azzeccata: «Gli Stati-nazione non contano più nulla. Non governano né i confini né la moneta né la politica estera; ora, con il fiscal compact, non governeranno neppure più le finanze». Il problema è che al posto della terapia propone un disco rotto. E allora che cosa può fare il povero italiano di destra anzi il povero italiano di centrodestra anzi il povero italiano tout court (la patria è patrimonio comune, non di una singola fazione) se non maledire il destino cinico e baro che lo ha fatto vivere all’epoca della sovranità limitatissima? Può leggersi due saggisti non italiani e forse per questo più credibili di qualsiasi italiano quando si affronta il tema della nazione. Più credibili perché da noi l’idea di nazione è stata drammaticamente sequestrata dal fascismo. Lo so bene, sono passati ottant’anni, purtroppo però ancora oggi quando ne parli con un minimo di fervore (e non con l’aplomb retorico di un Napolitano) la gente pensa che vuoi spezzare le reni alla Grecia. Non è così.
Non è assolutamente così. Come scrive Roger Scruton, uno degli autori in questione, «dobbiamo distinguere fra fedeltà nazionale e nazionalismo. La fedeltà nazionale implica un amore per la propria terra natale e l’esser pronti a difenderla. Il nazionalismo è l’ideologia della belligeranza».

BISOGNO DI NAZIONE

Il filosofo inglese, nel suo Il bisogno di nazione(Le Lettere), ci ricorda che fra autodifesa e aggressione si spalanca tutta la differenza del mondo. E per autodifendersi è indispensabile, se non un muro, almeno un confine, come fa presente l’altro autore in gioco, Régis Debray. Il suo Elogio delle frontiere (Add) demolisce le basi morali dell’ideologia sovranazionale: «La miseria mitologica dell’Unione Europea è dovuta al fatto che non osa sapere e ancor meno osa dichiarare dove essa cominci e dove finisca». L’intellettuale francese spiega che al caos, che sempre si risolve nella sopraffazione del più forte, si può mettere fine solo tracciando una linea di demarcazione: la frontiera tra nazione e nazione.
Scruton e Debray hanno scritto libri di poche pagine, densi eppur leggibili, però l’italiano di destra anzi di centrodestra anzi l’italiano tout court non èmica obbligato a comprarli: già troppi signori col ditino alzato non fanno altro che imporgli obblighi... Se vuole può affidarsi alla mia sintesi, l’importante è che non si affidi a Pierferdinando Casini, il simpatico democristiano che periodicamente estrae dal suo cilindro un coniglietto denominato Partito della Nazione che altrettanto periodicamente ripone nella sua valigia di trucchi da vecchio mago della politica di piccolo cabotaggio. Non gli basterebbero certo mantello e mascherina per far dimenticare al popolo sovrano che proprio lui è il principale collaboratore del principale collaborazionista, Monti. La storia ci ha mostrato di tutto, anche l’inganno di regimi sommamente antidemocratici che si definivano repubbliche democratiche, ma quel tempo è trascorso, il gioco di parole casiniano non passerà.
Oggi poi che la perdita della sovranità si traduce in perdita di benessere e che l’arricchimento della Germania e l’impoverimento dell’Italia si leggono in parallelo su ogni grafico e tabella. Proprio in questi mesi che vedono rifiorire un nuovo patriottismo teutonico, alla faccia della retorica senza frontierista di Bruxelles: nelle sale tedesche stanno per arrivare Deutschland von Oben, documentario sulle magnifiche foreste custodi dello spirito nazionale, e il quarto episodio dell’apprezzatissima saga Heimat (che significa «dimora originale, luogo natale», mica «unione europea»). Perfino Sandro Bondi, che nessuno ha mai scambiato per un cuor di leone, si è alzato per dire che un’ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra patria: «Votiamo no al fiscal compact, serve alla Merkel, uccide l’Italia».

SFIDUCIARE IL GOVERNO

Ha fatto trenta, dovrebbe fare trentuno e sfiduciare il governo servile ma qualcosa mi dice che non lo farà e intanto si allarga lo spazio per un partito o un movimento (chiamatelo come vi pare) che anteponga gli interessi nazionali ai vari Maastricht, Schengen e WTO, i trattati del disonore e della perdita di identità. Lo slogan poteva essere «Padroni a casa nostra», se non fosse stato già consumato dai bossisti che oggi risalgono in disordine le valli che avevano disceso con orgogliosa sicurezza. Il programma dovrebbe contenere il rigetto degli assurdi obblighi internazionali firmati nel corso degli anni dai nostri governanti complici o ciechi, a cominciare dalla «Convenzione dei rifugiati e sul diritto d’asilo» dell’Onu (ma lo sapete che se domattina cento milioni di nigeriani decidono di rifugiarsi in Sicilia noi a norma di legge dobbiamo prenderli in carico senza fiatare?). Poi, ovvio, l’uscita controllata dall’euro, che secondo la raffinata analisi di Giulio Sapelli, storico dell’economia, ha fatto evaporare la nostra sovranità monetaria mettendoci in balia della speculazione globale.
Rilanciare l’idea di nazione significherebbe inoltre prendere atto del fallimento dell’idea di regione (dell’idea di provincia non vorrei nemmeno parlare: per un partito che non abbia al primo punto del suo programma l’abolizione delle province ci dovrebbero essere solo pomodori e uova marce). Che cosa, da sempre, rende Italia l’Italia? Le sue magnifiche cento città ovverosia i grandi comuni.
Le regioni sono costruzioni spesso artificiali e sempre ridondanti: ogni loro funzione potrebbe essere svolta con minori costi dallo Stato o ancor meglio dai Comuni, che però andrebbero accorpati e riportati alle dimensioni territoriali (grosso modo provinciali o diocesane) del tempo in cui furono la rampa di lancio del Rinascimento. Ecco il segreto per rinascere: tornare sé stessi. Italiani e cittadini.

Camillo Langone