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 2012  aprile 21 Sabato calendario

APPUNTI PER GAZZETTA. FORSE SI VOTA A OTTOBRE


DAL CORRIERE DELLA SERA DI OGGI
PAOLA DI CARO
ROMA — Se uno notoriamente cauto come Angelino Alfano arriva a dire, come ha fatto ieri a Milano, che dopo le amministrative lui e Berlusconi annunceranno «la più grande novità della politica italiana», che «cambierà il corso» della storia dei partiti dei prossimi anni e che sarà «accompagnata dalla più innovativa campagna elettorale italiana dai tempi della discesa in campo di Berlusconi» le ipotesi sono due: o il leader del Pdl è molto in difficoltà e vuole uscire dall’angolo, o davvero è in arrivo qualcosa di grosso.
Come solo accade quando c’è Berlusconi di mezzo, mentre l’ex premier lancia «la gara del Burlesque» come titolo del giorno, nello stesso tempo costringe tutti a pendere dalle sue labbra per sapere cosa c’è davvero nei suoi pensieri. Un nuovo predellino? Un restyling del Pdl condito da tecniche all’americana sia per la campagna elettorale (tea parties e comitati elettorali) sia per la comunicazione (Internet a go-go, sulla scia dei consigli del blogger-guru Marco Montemagno)? Un grande appello ai moderati di tutti i poli per fare un cammino unitario, con una Costituente, partendo magari dall’appoggio di Montezemolo (che nel Pdl calcolano possa portare tra il 5 e il 10% dei voti)? Un movimento più che un partito nuovo e giovane, che sostituisca il Pdl, con facce fresche espressione della società civile e delle professioni, porte sbarrate ai politici con troppe legislature alle spalle e un candidato premier a sorpresa?
Mentre c’è chi, come Fabrizio Cicchitto, ammette che la risposta è «un segreto gelosamente custodito da Berlusconi ed Alfano, io non ne so nulla» e Daniela Santanché al contrario invita «gli scommettitori a puntare alto, molto alto...», una cosa appare chiarissima: la sfida a Casini è ufficialmente partita. Nei fatti e nelle parole, perché Alfano definisce la stanza dove si sono riuniti i leader del Terzo Polo per lanciare il partito della Nazione «non odorosa di fresco, sa di naftalina lontano un miglio».
Chiaro che, dopo l’uscita dell’alleato, fermi non si poteva restare, anche se l’annuncio del nuovo partito non arriverà che tra due settimane. E altrettanto chiaro è che, nell’impazzimento di nuovi soggetti fondati o soltanto evocati, ci sia anche il tentativo di mettere pressione ad un Pd che appare improvvisamente immobile. Anche se Bersani non sembra preoccupato: «Con tutte queste novità che ci raccontano, finirà che siamo noi l’usato sicuro...». Impegnato a giurare che non arriverà da lui la richiesta di elezioni anticipate alle quali tutti si preparano senza avere idea se si terranno davvero o no («Il Pd non ha nessuna intenzione di votare prima del 2013, Berlusconi pensi a sé, noi abbiamo dato la nostra parola a Monti»), Bersani non crede che arriveranno «grandi novità» dal partito della Nazione e tantomeno dal duo Berlusconi-Alfano: «Per il Pdl che ci ha portato fin qua, fino a questa situazione, il rinnovamento deve essere molto radicale, una trasformazione alla Mandrake...».
E però, che qualcosa di profondo debba cambiare Berlusconi lo pensa e — giurano i suoi — ha ormai deciso cosa fare. Forte di sondaggi che dimostrerebbero come gli italiani non credono a operazioni di trasformazione legate ai nomi perché — è la critica — sono sempre le stesse facce in cerca di nuove poltrone, stupito ma non disperato per lo strappo dei senatori guidati da Pisanu visto che «nessuno li vedrà come il nuovo» e conscio che le parole d’ordine che suscitano entusiasmo sulla rete sono: facce nuove, poche ma chiare regole di pulizia, punizioni per i corrotti, rinuncia ai «privilegi dei politici», un’economia più solidale che non sia solo «rigore e sacrifici», l’ex premier si è buttato a capofitto nella nuova aspettativa. E pazienza se qualcuno, magari nel suo stesso partito, si arrabbierà.
Paola Di Caro

DAL CORRIERE DELLA SERA DI OGGI
MONICA GUERZONI
ROMA — Con un atto «di grande generosità» Pier Ferdinando Casini fa tabula rasa degli organigrammi e consegna la «sua» Udc al futuro, come prima pietra della nuova casa dei moderati. Il Partito della Nazione (questo il nome provvisorio) nascerà a settembre e, già a giugno, l’ex presidente della Camera potrebbe sciogliere la vecchia formazione. «È un’impresa ambiziosa», punta in alto Casini. E spera di calamitare non solo i più autorevoli ministri del governo Monti, ma anche spezzoni del Pdl e del Pd.
Nel partito di Alfano e Berlusconi è Beppe Pisanu a guardare con grande interesse al progetto e, tra i democratici, è noto come Beppe Fioroni e altri ex popolari premano perché Bersani scelga di allearsi con il centro. «Pisanu e Casini hanno fatto bene a dare uno scossone al Pdl e al Terzo polo — è il giudizio di Fioroni —. Ma se il Pd rinuncia allo spirito di conservazione e alla tentazione dell’ultimo giro di giostra, può candidarsi a diventare il perno della nuova fase dell’Italia».
Molti pensano che il progetto di Casini sia fortemente attrattivo per i cattolici democratici e che una scissione del Pd sia sempre più inevitabile. Fioroni però non conferma: «Io sono un fautore dell’alleanza tra Pd e Terzo polo, ma faccio la mia battaglia nel Pd. Perché se il partito non diventa centrale nel fare autocritica sugli errori della Seconda Repubblica, non vince. E favorisce il big bang della politica».
L’azzeramento dei vertici dell’Udc è avvenuto a porte chiuse all’Auditorium della Conciliazione, ma dopo la riunione della Costituente di centro, da Brindisi, Casini ha spiegato il senso della scossa che ha voluto assestare ai partiti. Ha detto che la crisi dell’Italia sarà ancora lunga e che la sua delega a Mario Monti è in bianco: «Il governo ha il nostro appoggio senza se e senza ma. L’operazione—salvataggio è in corso e nessuno può permettersi di sabotarla». Quanto al futuro politico dei tecnici, che tanto agita il Pdl, Casini ha detto di non comprendere l’atteggiamento mentale di chi si chiude a riccio: «I ministri sono impegnati a governare il Paese, lo facciano con serenità. Io mi auguro che scendano in campo tante persone della società civile...».
E se il suo progetto ha sollevato un mare di polemiche, l’ex presidente della Camera dice di non capirne il senso. «Le risposte nervose e a volte fuori luogo sono il segno di una profonda crisi di chi le esprime», respinge le critiche Casini. Ad Alfano e Bersani riconosce il senso di responsabilità con cui si sono uniti per scongiurare una deriva greca. E prevede che «partiti diversi» come Pdl e Pd debbano compiere ancora (e per molto tempo) «uno sforzo straordinario e congiunto per ricostruire l’Italia».
La fibrillazione è forte e le spinte per il voto anticipato si moltiplicano, ma Casini prolunga fino al 2013 la vita del governo. Fissa le elezioni alla primavera prossima, quando «sarà terminato il lavoro di Monti» e assicura che non sarà certo lui a destabilizzare il governo. Il suo obiettivo è ben più «alto», è fondare «un movimento plurale che sappia unire il meglio della società» e superare «la frattura tra tecnici e politici, tra sindacalisti e imprenditori».
Per Savino Pezzotta «nulla sarà più come prima». Lorenzo Cesa, senza più i galloni di segretario, incassa i complimenti di Casini per «l’atto concreto» di aver azzerato i vertici e apre a Pisanu: «È sulla nostra lunghezza d’onda». E lui, il leader della fu—Udc, con un filo di enfasi sprona a gettar via «le rassicuranti casacche del passato, sempre più logore», per imboccare «con coraggio e lungimiranza» una strada nuova. La stagione delle risse e degli insulti è finita, volta pagina Casini. Ed finita la stagione «dell’uomo solo al comando». Ma il leader del grande centro non si farà irretire da nessuna lista civica nazionale, di destra o di sinistra: «Non so cos’è e non la faremo con Vendola e De Magistris».
Monica Guerzoni

DAL CORRIERE DELLA SERA
LORENZO FUCCARO
ROMA — «La grande e ineludibile sfida che abbiamo oggi davanti è vedere la politica in Italia sollevarsi dall’impoverimento culturale che ne ha segnato la decadenza». Giorgio Napolitano coglie l’opportunità del seminario di studio in memoria dello storico Luciano Cafagna, recentemente scomparso, per richiamare il mondo politico alle ragioni di un impegno comune che sembra essersi perduto nelle contrapposizioni urlate e che invece è quanto mai urgente. Un impegno che, a giudizio del Capo dello Stato, deve «coinvolgere i giovani, oggi troppo lontani dall’attenzione e dalla propensione per la politica».
Questi sono temi che stanno particolarmente a cuore al Presidente della Repubblica. E su di essi, anche recentemente, aveva indugiato, difendendo il ruolo e la funzione dei partiti. «Non vanno demonizzati», aveva sostenuto, indicando che l’unica medicina veramente utile per rigenerarli e quindi l’unico modo per contrastare l’incipiente fenomeno dell’antipolitica è quello di riformare le istituzioni, rendendole più efficienti, superando la frattura tra cittadini e sistema politico.
D’altronde, che il momento sia davvero grave lo si ricava anche dalle parole preoccupate del presidente del Senato. Renato Schifani invoca «un nuovo patto tra cittadini, partiti e istituzioni» in modo da «garantire a tutti un futuro sereno». Solo così, a suo giudizio, «la politica potrà ritrovare il consenso e sarà nuovamente legittimata agli occhi degli elettori che sapranno meglio comprendere e accettare le scelte difficili e le rinunce alle quali sono stati chiamati». Schifani ammonisce pertanto i partiti a evitare che «i dibattiti interni frenino la politica sui grandi appuntamenti con le riforme, costituzionali, elettorali e strutturali, del governo Monti».
Come si può notare grande è l’attenzione per la tenuta del sistema. E quindi, evocando la figura di «Cafagna storico e politico, storico di professione e politico non di professione, riformista come pochi», Napolitano prende spunto dagli studi da lui fatti su Cavour per parlare agli attori politici di oggi, esortandoli a ritrovare (ed esaltare) quel filo conduttore che risale al Risorgimento. Il Presidente cita, in particolare, un testo pubblicato nel 1999 «in cui compare la categoria piuttosto contemporanea del "ricorso al centrismo" e insieme con essa una realistica valorizzazione delle arti a volte geniali, a volte mediocri, della mediazione e del compromesso, da Depretis-Correnti, o da Giolitti-Turati, a De Gasperi-Togliatti e a Moro-Berlinguer». Una «valorizzazione», sottolinea Napolitano, «in evidente controtendenza rispetto alle correnti demolitorie del percorso della cosiddetta Prima Repubblica e rispetto a una nascente mitologia del più perentorio bipolarismo». Insomma, Napolitano ricordando Cafagna studioso di Cavour, esalta il «valore insostituibile della cultura storica, ovvero della cultura di chi fa politica».
Lorenzo Fuccaro

DAL CORRIERE DELLA SERA
FRANCESCO VERDERAMI
Da tempo aveva deciso di cambiar tutto dopo le Amministrative: «Serve una nuova formazione
per riunire i moderati italiani», dice infatti Berlusconi, che dà l’addio al Pdl. «Non va». E non solo
perché l’acronimo non gli è mai piaciuto, ma perché non gli piace la struttura ingessata del partito.
La «cosa» che ha in mente dovrà infatti avere la forma di un «movimento». Così il Cavaliere intende traghettarsi nella Terza Repubblica, dove non
sarà più un vincente, ma dove
vuol stare tra i vincenti. «Non si può andare in pensione», sospira Berlusconi, che in realtà di andarci non ha alcuna intenzione, e aveva preso a studiare il nuovo progetto appena lasciato palazzo Chigi. Di quei giorni tumultuosi racconta il percorso, l’intesa assunta al Quirinale «con l’impegno del Pd a votare provvedimenti che, con me al governo, non avrebbe mai votato». E tra gli impegni c’è un accordo sulle riforme, da quella costituzionale a quella del sistema elettorale: «Noi preferivamo il modello spagnolo, ma anche il tedesco ci va bene. A condizione che lo sbarramento sia posto almeno al 6%, altrimenti chiunque deve governare sarebbe ostaggio dei piccoli partiti». Cita il patto perché vorrebbe fosse onorato, siccome davvero è interessato a modificare il meccanismo di voto.
In quel caso, e se le urne lo rendessero necessario, il Cavaliere sarebbe disposto a una nuova «grande intesa» con i Democratici, «allora si potrebbe fare la grande coalizione con Monti» alla guida del governo. Il messaggio che Berlusconi manda al Pd, è un modo per creare un ponte diretto con gli avversari di un tempo e senza più la mediazione dei centristi. Ed è un modo per rinnovare la fiducia al presidente del Consiglio, definito «persona seria e competente, che sa ascoltare, e che non solo è preparata ma è anche molto brava nella comunicazione, perché sa soffocare il tono di professore che ogni tanto prende il sopravvento».
L’unico appunto è sulla «operatività politica», forse retaggio dei malumori che hanno portato all’annullamento del pranzo di giovedì, e che sono stati determinati dalle mosse di alcuni suoi ministri. Il Cavaliere fa i nomi di Passera per il nodo delle frequenze tv e della Severino per certe norme in tema di giustizia. Non per questo l’appoggio al governo dei tecnici verrà meno, «Monti deve arrivare fino alla fine» della legislatura.
Ma dal Professore si aspetta un cambiamento di passo in sede europea per cercare una soluzione al problema della crescita. L’appiattimento sulla linea tedesca non gli piace, e si capisce da come ricorda i vertici internazionali ai quali ha partecipato, e dove «io insieme a Zapatero ed altri facevamo argine alla Merkel». Dalla crisi, secondo Berlusconi, si esce solo superando «l’impostazione» economica della Germania, «altrimenti sarà il disastro, perché si è innescata una spirale di recessione che sta mettendo in ginocchio l’Europa. E l’Europa è in grado di sopportare un po’ di inflazione in più».
Passato, presente e futuro s’intrecciano insieme a possibili maggioranze di governo dopo il voto e nascita della nuova casa dei moderati, il cui nome è ancora riservato. Eppure si dice che abbia fatto testare «Nuova Italia», nostalgia canaglia... «Ma no, a Forza Italia non si può tornare», giura Berlusconi, sebbene nei mesi tormentati che precedettero la crisi del suo governo più volte si lasciò andare: «Ah, avessimo ancora il vecchio movimento». Il nuovo si dovrà dotare di una classe dirigente «credibile», fatta di persone «competenti e giovani, massimo cinquantenni», a cui affiancare «un gruppo di saggi».
Il nuovo soprattutto non sarà un partito, soltanto la parola gli provoca l’orticaria, la stessa reazione che provoca oggi nella pubblica opinione: «La fiducia degli italiani nei partiti è scesa al 2%». Nell’elettorato, invece, l’evocazione delle origini farebbe ancora breccia. Gliel’ha fatto notare la scorsa settimana un suo deputato, Moles, che gli ha portato un sondaggio da cui emerge come il 74% di quanti nel 2009 hanno votato per il Pdl sarebbe favorevole alla ricostituzione di un movimento che riprenda lo spirito del ’94. Ma il dato più sorprendente è che sarebbe favorevole il 40% della totalità degli elettori. E a Moles — che su questa linea si voleva dar subito da fare — Berlusconi aveva detto di aspettare, «dobbiamo fare le cose in grande».
Ieri ad Alfano è toccato il preannuncio dell’annuncio, per far capire che il Pdl non sta fermo davanti alle manovre di Pisanu e del Terzo polo, «dove Casini — spiegano i berlusconiani — cerca di liberarsi di Fini e di Rutelli, con cui litiga ogni giorno». Il giovane segretario non poteva che assecondare la mossa del Cavaliere, secondo il quale ad «Angelino» mancherà pur qualcosa ancora per fare il leader, forse l’esperienza. E tuttavia è l’unico del quale davvero si fida: «Quando si trattò di decidere sulla nascita del governo Monti, ci pensai due giorni prima di dire sì. E in quei due giorni parlai delle cose riservate solo con Alfano».
Dopo le Amministrative si cambia: «Serve una nuova formazione per riunire i moderati italiani». Non sarà un altro predellino, comunque non sarà il Cavaliere a guidare il movimento né a candidarsi al governo. Avanti un altro, «anche se io non vedo un altro Berlusconi», dice Berlusconi.
Francesco Verderami

DALLA REPUBBLICA DI OGGI
GIOVANNA CASADIO
ROMA - Casini e Alfano fanno a gara: al Partito della Nazione - che dovrebbe, nelle intenzioni del leader centrista, scompaginare il campo dei moderati - risponde il segretario del Pdl annunciando un nuovo predellino. Un´iniziativa «che cambierà il corso della politica in Italia e sarà accompagnata dalla più innovativa campagna elettorale che il nostro paese abbia conosciuto dalla discesa in campo di Berlusconi a questa parte». Alfano non vuole aggiungere molto altro, afferma che ad andare «oltre il Pdl» - parola d´ordine lanciata da Beppe Pisanu nel manifesto firmato da 29 senatori pidiellini - ci sta pensando Berlusconi stesso. Insomma, attacca Alfano, il destino dei moderati non è certo nelle mani di una riunione tra Fini, Casini e Rutelli nella stanza del presidente della Camera che «non profuma di aria fresca ma sa di naftalina lontano un miglio». La partita per il voto dei moderati è aperta.
Casini va avanti. L´assemblea dell´Udc ieri azzera i vertici del partito, primo passo verso lo scioglimento. Solo su un punto c´è la frenata del leader centrista: non tira più in ballo i ministri tecnici del governo Monti, che vedrebbe bene in squadra nel Partito della Nazione, Passera in testa. Era stato accusato di indebolire Monti con avances premature. Chiarisce la lealtà al Professore e ribadisce: «L´operazione-salvataggio del paese è ancora in corso, nessuno può permettersi di sabotarla». Aggiunge: «La nostra iniziativa e la sua riuscita si misura sulla capacità di rafforzare questo tentativo senza esitazioni. Confermiamo un appoggio senza riserve, senza se e senza ma a un governo che abbiamo insediato per salvare l´Italia dalla deriva greca. Avanti in piena autonomia». Quindi, nessun veto incrociato. «Chi pensa a sabotaggi se ne assuma la responsabilità». Per Casini si andrà al voto quando Monti avrà finito il suo lavoro nel 2013, e «Monti non è una parentesi transitoria nella vita italiana ma l´ultimo serio tentativo di rinascita nazionale: politici e tecnici sono sulla stessa barca e devono remare insieme».
Messaggio al Pdl e al Pd. Ai quali il leader Udc invia un paio di bordate. «Francamente le risposte nervose, a volte veramente fuori luogo, che abbiamo ascoltato in queste ore, sono solo il segno di una profonda crisi di chi le esprime». Comunque, nella versione di Casini, tutto si tiene: dal cambiamento della legge elettorale in senso proporzionale alla fine dell´epoca dell´uomo solo al comando. Lancia l´Opa sul Pdl. «La stagione delle risse e degli insulti è finita - ha ribadito parlando all´assemblea centrista - è illusorio pensare che si riapre la fase degli uomini della Provvidenza». E ha invitato i co-fondatori Fini e Rutelli e il suo stesso partito a non esitare, a non coltivare paure, perché le «casacche del passato sono sempre più logore e prive di significato». Un appello rivolto anche ai possibili compagni di strada, a Pisanu (e agli altri inquieti del Pdl), al presidente della Ferrari, Montezemolo.
Le novità moderate non sembrano per ora preoccupare il Pd. Bersani ironizza, sul Pdl in particolare: «Gli altri hanno bisogno di una riverniciata, noi non sentiamo questa esigenza. Per il Pdl che ci ha portato fin qua, il rinnovamento deve essere molto più radicale, una trasformazione alla Mandrake...». Con tutte queste novità, «siamo noi alla fine "l´usato sicuro". Il Pd è qui da quattro anni, non è più una ipotesi, come si è visto nei momenti decisivi, siamo affidabili. Il nostro rinnovamento sarà quello di aprirci di più alla società». Ma tanto per dissipare dubbi sui timori da parte dei Democratici, il segretario assicura: «Sulle novità che vengono dal centro, non mi aspetto grandissime novità, credo che ci sia un disagio forte nel centrodestra». Tuttavia un Polo della Nazione che si impossessasse della vocazione maggioritaria che è stata del Pd, non potrebbe che scompaginare la strategia democratica. Lealtà a Monti ripetuta anche da Bersani: «Niente voto in autunno, Monti fino al 2013».

DALLA REPUBBLICA DI OGGI
ALBERTO D’ARGENIO
ROMA - Onorevole Fioroni, un ex popolare del Pd come lei come valuta i movimenti di questi giorni a partire dal Partito della nazione di Casini?
«Sia l´annuncio di Casini che il documento di Pisanu rappresentano un tentativo interessante di rispondere alla richiesta di riforma della politica che viene dal Paese. Quanto ad Alfano non so, lo capiremo quando le sue parole diventeranno fatti. Ma tutto questo richiede al Pd una sforzo di coraggio e innovazione».
In che modo?
«Nessuno di questi progetti sarà vincente ed eviterà un big bang della politica se il Pd non supererà le tentazioni di conservazione ed uscirà dalla seconda repubblica. Dobbiamo riportare identità ed appartenenza in politica mentre i partiti in questi anni sono diventati fans club. Con Berlusconi e Bossi è finita la seconda repubblica e se prima potevamo fare coalizioni contro il male assoluto, oggi dobbiamo farle per costruire. Vogliamo scrivere l´ultima pagina della seconda repubblica o essere protagonisti della prima pagina di una nuova politica?».
È attratto dal progetto di Casini? In molti la danno in avvicinamento al leader centrista.
«I giornali mi danno sempre per scontento, e per fortuna! Come si fa a non esserlo? Il 50% dei cittadini non vota, la gente è insoddisfatta dei partiti così come lo dovrebbe essere anche la classe dirigente, altrimenti penseranno che siamo accomodanti perché vogliamo essere accomodati da qualche parte. Se il Pd non vince questa sfida veramente ci sarà big bang della politica mentre dobbiamo essere il perno della costruzione del futuro. Per il resto è ovvio che secondo me il Pd si dovrebbe alleare con Casini, ma non per battere qualcuno, bensì per governare».
La mossa del leader Udc non mette a rischio Monti?
«Una politica che ha paura dei ministri tecnici che scendono in campo tende a conservare quello che c´è perché non ha respiro e visione. Per me invece tutti quelli che vogliono partecipare alla vita politica sono i benvenuti».
Chi vedrebbe bene nel Pd tra gli attuali ministri?
«Non partecipo allo sport di chi vorrei nel Pd, ma dico che tutto il nostro gruppo dirigente deve fare un passo di lato per favorire chi vuole partecipare dalla società civile».
Bersani si dovrà dimettere?
«No, ma dobbiamo avere la capacità di ammettere gli errori fatti. Se il Pd non vince questa sfida la politica imploderà per davvero».
E in quel caso lei andrà al centro?
«Non discuto di quello che ci sarà, ma della sfida che il Pd ha davanti ed io fino all´ultimo minuto lavorerò per vincerla».
Teme l´antipolitica?
«Io la chiamerei politica contro quella che c´è e che non ha ancora costruito l´alternativa e la consapevolezza. Per fortuna che c´è Grillo che la rende nana e la tiene al 7-8%. Però attenzione, perché se l´antipolitica si rende conto della sua forza rischiamo di fare la fine di Occhetto e Martinazzoli. Per questo innovarsi e rinnovarsi è indispensabile».

DALLA REPUBBLICA DI OGGI
ROMA - «Mi fermo qui, a questo semplice accenno alla grande e ineludibile sfida che abbiamo oggi davanti, del veder la politica in Italia risollevarsi dall´impoverimento culturale che ne ha segnato la decadenza». Giorgio Napolitano ha concluso così il suo intervento al seminario di studi dedicato dall´Enciclopedia italiana alla memoria di Luciano Cafagna, lo storico scomparso a febbraio. Un richiamo forte che arriva in momenti bui, con i partiti alle prese con scandali che minano alla base la loro legittimazione fra gli elettori.
Elettori sempre più lontani dalla politica e dalle istituzioni. Soprattutto le giovani generazioni. E su questo punto Napolitano ha ricordato come Cafagna credesse nell´ "alchimia politica". Vi credeva, ha spiegato il capo dello Stato, «da storico e da uomo di intensa passione politica, quale fu pur senza tradurre tale sua vocazione in professione, come può accadere e tanto vorremmo che accadesse ancora, coinvolgendo giovani oggi troppo lontani dall´attenzione e dalla propensione per la politica».
Dunque un richiamo a riscoprire le ragioni culturali della politica e il recupero dei giovani alle battaglie politico-culturali. Ma Napolitano ha fatto un altro accenno che può essere in chiave di attualità. Ha infatti ricordato un libro del 1999 di Cafagna, uscito dal Pci nel 1956 per diventare uno stretto collaboratore di Antonio Giolitti, su Camillo Benso di Cavour.
Il capo dello Stato ha voluto sottolineare come Cafagna, a pochi anni da Tangentopoli che aveva distrutto il Psi, in quel libro avesse lavorato a identificare categorie di «lunga durata» nella storia unitaria del paese. E così, ha spiegato Napolitano, è significativo «il capitolo conclusivo in cui compare la categoria, piuttosto contemporanea, del "ricorso al centrismo"». Pagine in cui, ha continuato il capo dello Stato, citando Cafagna , c´è «una realistica valorizzazione delle "arti, a volte geniali a volte mediocri, della mediazione e del compromesso, da Depretis-Correnti o da Giolitti-Turati, a De Gasperi-Togliatti o a Moro-Berlinguer"». «Valorizzazione in evidente controtendenza - ha concluso Napolitano - rispetto alle correnti demolitorie del percorso della cosiddetta Prima Repubblica e, rispetto ad una nascente mitologia del più perentorio bipolarismo».