Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  aprile 19 Giovedì calendario

FAUSTO HORROR PICTURE SHOW

Apvile è il mese più cvudele/ geneva lillà dalla tevva movta/ mescola memovia e desidevio/ stimola le sopite vadici con la pioggia pvimavevile”. Undici erre in una sola strofa. Bertinotti assorbe la trappola con stile. La moglie, signora Lella, è tutta un fremito. Sul palco, Fausto recita T.S. Eliot. Portaocchiali al collo. Maglione turchese. Al centro dell’antico mercato ebraico del pesce, elegante latifondo della Fondazione Alda Fendi, ecco “Transiti di venere” di Raffaele Curi. Mezz’ora di feti, montagne, nuvole, confezioni di dispositivi vaginali, fiamme, pianeti, canzoni di Yoko Ono ed Enya, spose sfiorate dall’annunciazione e harakiri proiettati a tutta parete. Lo chiamano sperimentalismo, somiglia al “casino organizzato” dell’ex operaio siderurgico Eugenio Fascetti e per celebrarlo, a un passo dal Circo Massimo, si sono accalcati in 400. Fiere e domatori, vecchi amici e neofiti. Un’istantanea a metà tra l’ultima assemblea del Partito socialista e i Cafonal di Dagospia. Mario D’Urso e Adriano Aragozzini, Salvo Nastasi e Umberto Croppi, Ritanna Armeni e Carlo Rossella che ieri commosso, sul Foglio, denunciava ancora un certo turbamento: “Fausto Bertinotti attore. E che attore!”. Intorno all’alta società del Presidente di Medusa e tramontata la voce impostata di un anonimo che avverte, come a corte: “Si prega di spegnere i telefonini e non di far uso di flash” un altro film. Trentenni sgomenti, imbucati di ogni età, turisti per caso dell’arte senza esborso che da un decennio è il manifesto della minore delle sorelle Fendi.
ALDA VENDETTE il marchio, incassò una cifretta vicina al miliardo di euro e decise di restituire. Se la chiami mecenate si offende: “Mi sento una missionaria, un piccolo granello di sabbia, una folle sana di mente e intenti, cui il mondo non mercificato e corrotto inizia a dare ragione. Non esiste nulla di più gratificante che vivere e nutrirsi d’arte. Voglio che con me ne godano tutti”. E così sia. Al lato della rappresentazione (sic) vestiti come buttafuori di un qualunque Studio 54 fuori latitudine, sostano una dozzina di imitatori di Will Smith allevati a glamour e palestra. Gessato, camicia spalancata, Persol, vistosi orologi al polso. Restano immobili, mentre alle loro spalle, lo scorrere del tempo (c’è la metafora!) è una sabbia che cade inesorabile dall’alto e le immagini (e le scritte) si rincorrono sul muro. “Il settimo sigillo”. Con Bergman non ti sbagli mai.
POI, ANCORA. Un ex campione di basket Nba sopravvissuto alla fame (Abdul Jeelani) interpreta Cristo. Con la corona, la posa sofferta e tutto il resto. Un ragazzo vestito come un tennista degli anni 30 e una bucolica fanciulla che lo insegue ballano su una schermaglia amorosa. Altra scritta sul muro. 2,176 Kelvin. L’unità di misura seguita da due ragazzi in succinto costume da bagno accompagnati da lazzi e battute irriferibili su altre misure: “Ahò, ma è eccitato, è barzottissimo” e riprovazione disgustata della claque. Al cambio di scena, i due innamorati di prima si ritrovano nudi ai lati della sala. Si osservano, mentre il pubblico li divora. Ammirazione per la splendida Cécile Leroy, figlia di Philippe, che non muove un muscolo. Una sfinge. Alla fine, timidissimi applausi e fuga collettiva. Raffaele Curi, il sosia di Mal dei Primitives, l’autore di “Transiti d’amore” che da ragazzo fu Ernesto nel Giardino dei Finzi Contini di De Sica, in età matura ha imparato a far di conto, l’allestimento a casa Fendi non è una novità. Lei è pazza di lui, lui ricambia (come dargli torto) sentitamente. Ogni anno, con titoli pretenziosi, ma alati per le sue creazioni (“Sfiorerai il mio destino come una farfalla”) o vezzosi menu natalizi (quello del “clochard” da degustare ascoltando The Fun Powder Plot di Wild Beasts o in alternativa la “salsa del figlio del podestà”) Curi si spende e fa spendere agli altri. Quando non lavora con Pupi Avati o non affitta appartamenti in via Giulia a Guido Bertolaso trovando a fine locazione cumuli di bollette: “Ero felicissimo: ho pensato che fosse una persona affidabile. Ma non sono mai riuscito a contattarlo per farmi firmare il contratto, non l’ho mai visto in faccia” dà vita a spaventose messe in scena. A Everest di ridicolo involontario. In cima, una volta scalata la vetta, la ricompensa. Lo squittio delle dame impegnate a tener desti i mariti: “Ma, caro, non sbadigliare, è me-ra-vi-glio-so” e sorridere ragazzi più cinici e grevi: “È il vero appuntamento trash di Roma” o anche, nella versione meno ecumenica: “Non ci si crede. Non ho più parole. Soltanto parolacce”.
LA FENDI è generosa. Magnanima. Finanzia molti ambiti artistici, sogna di scoprire un Andy Warhol, ma si accontenta delle opere di Curi. Si immedesima in Peggy Guggenheim indossando enormi lenti nere, sfama le mandrie che occupano lo splendido palazzo aperto al dopo “Transiti di venere” offrendo come dice Rossella un “delizioso panaché” in faccia al Foro Traiano che a Roma, per semplificare, si risolve in birra e gazzosa. Tra i vassoi si commenta. Non sono concetti gentili, ma spruzzi di ingratitudine. Inganni. Opinioni. Forse Curi è un genio, “Transiti di Venere” un capolavoro e l’arte contemporanea tutta, un immenso speaker’s corner appaltato a chi è più rapido. Furbo. Dialettico. Chi sale sul ceppo per primo vince. E Curi, dall’angolo Fendi, continua a parlare senza che nessuno si azzardi a interromperne il flusso di coscienza.