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 2012  aprile 19 Giovedì calendario

«DA REGISTA POSSO FARE I FILM CHE DA ATTORE MI VIETAVANO» —

Un festival dedicato a un attore, uno dei pochi che ha una statura europea: Sergio Castellitto. Succede a Lecce: la retrospettiva dei suoi film, la mostra di foto, il libro, Senza arte né parte (a cura di Enrico Magrelli). Intanto Sergio è al mix di Venuto al mondo, il suo film dal romanzo della moglie Margaret Mazzantini. A Sarajevo, una storia di guerra e pace, di maternità negata. Penélope Cruz incontra un ragazzo di cui si innamora, Emile Hirsch. «Scopre di essere sterile, il destino la riporterà nel ventre nero della guerra, dove forse troverà una luce».
Come si rappresenta un assedio?
«Non è una guerra, è un mondo cristallizzato in una sincope del terrore. Circondata dalle colline, Sarajevo è tragicamente quasi fatta per essere assediata. Non ci sono due eserciti che si fronteggiano ma ragazzi che corrono lungo i muri, donne colpite dai cecchini mentre attraversano la strada, il tentativo di rendere la propria vita ogni giorno possibile. C’era una scritta che ho messo nel film (che ripropone un cinema che non si fa quasi più, l’emozione attraverso la letteratura): Non siamo ancora morti stanotte. Ho anche un piccolo ruolo».
È vero che è diventato regista perché stanco degli errori?
«Diciamo che giri i film che i registi non ti fanno fare. Ma sono fortunato, ho lavorato con Ferreri, Bellocchio, Tornatore, Verdone, Scola, Monicelli. Poi quelli della mia generazione. Lì si impara, qui ti confronti. Io sono a disposizione dell’unica autorità che riconosco come attore: il regista. La mia attenzione si è spostata sulla regia più che sulla recitazione».
Due attrici, Stefania Sandrelli e Penélope Cruz.
«Stefania la incontrai in una scena di sesso, veniva dal rilancio de La chiave, mi attaccai alla Sambuca per infilarmi nel suo letto alle nove del mattino. Penelope è umile e ambiziosissima, romantica, intelligente, pragmatica, ha ragione Woody Allen: è un genio che non ama perdere tempo».
Perché Allen proprio nel suo film su Roma ha deluso?
«Lo devo vedere, ho sentito commenti. Midnight in Paris ha una sua poesia propria... Intristisce che la sua cartolina parigina non sia ridicolizzata e l’Italia sia tutta volta ai puttanieri e ai ladri. Evidentemente siamo quelli che siamo, peccato perché c’è una nostra leggerezza che potrebbe essere raccontata, invece ci si appoggia alla prima idea che fa più comodo e forse più incassi».
Secondo lei, nel grande attore c’è sempre un po’ di Falstaff.
«C’è la millanteria, il millantattore, si mettono in scena false verità. Le bugie le dicono i bambini e gli attori; gli adulti le menzogne. Noi siamo pagati per rendere credibili le bugie, diceva Mastroianni».
Lei viene considerato ora l’erede di Mastroianni ora di Sordi. O di De Niro.
«Non vedo l’ora di invecchiare così si chiederà ai giovani chi somiglia a Castellitto. Mastroianni è la dolcezza, l’elegante cialtroneria; Sordi è l’istinto, De Niro è la scientificità. Parliamo di giganti: nelle graduatorie entrano i professionisti».
Cominciò come distributore di un giornale sportivo e di riviste porno.
«Mi ero appena diplomato, quando sento parlare di disoccupazione so di che si tratta, il bisogno lo filtro nei personaggi. Mio figlio Pietro in È nata una star? fa una pornostar. Non lo sa se continuerà a fare l’attore, ma ha dimostrato coraggio, avendoci in casa. Siamo stati sempre presenti, la nostra mondanità è discutere sui divani a casa».
Nel libro cita Il cerchio magico di Stanislavskij: oggi è un’immagine che riporta alla Lega. Mai pensato di farne un film su Bossi e gli altri?
«Magari, una tragicommedia di proporzioni enormi. Io però non amo il cinema che si occupa dell’attualità, bisogna far allontanare le cose, la realtà deve diventare simbolo. Non avendoci mai creduto, sono tentato di dire alla Lega: benvenuti nel club».
Non si parla più di quello che il governo non fa per la cultura.
«Giusto, il problema non è nato solo con Berlusconi, questo è un collegio di commissari che sta cercando di rimettere in piedi un edificio massacrato, e conferma che la cultura in tempi drammatici non è la priorità e non produce ricchezza. C’è il lavoro, lo spread. Se abbiamo tempo, riapriamo i teatri. Però aspetto con terrore quando si tornerà a votare, tutti i partiti sono lì, dietro i muri».
Valerio Cappelli