Lettere a Sergio Romano, Corriere della Sera 19/04/2012, 19 aprile 2012
LE BATTAGLIE CIVILI DI UN ASTROFISICO CINESE
In questi giorni è mancato il dissidente cinese Fang Lizhi. Sembra sia stato uno degli eroi di piazza Tienanmen, ma io non ne avevo mai sentito parlare, forse perché sono piuttosto giovane. Mi farebbe piacere conoscere la sua storia.
Bruno Benetti, Monza
Caro Benetti, grazie a un astrofisico italiano, Remo Ruffini, ho conosciuto Fang Lizhi a Roma verso la fine del 1990 e l’ho intervistato lungamente per La Stampa. Ruffini mi aveva parlato della sua carriera accademica e sapevo che era stata interrotta bruscamente dalla rivoluzione culturale nel 1967 quando fu mandato con la moglie in un campo di lavoro. Ne uscì all’inizio degli anni Settanta, recuperò il tempo perduto, divenne rettore dell’Università di scienza e tecnologia, membro dell’Academia sinica, il più amato e stimato interlocutore cinese degli astronomi e degli astrofisici internazionali.
Anziché piegarlo, il campo di lavoro aveva fatto di lui un combattente dei diritti umani, una sorta di Sacharov cinese. Perdette il rettorato e fu confinato nell’Osservatorio astronomico di Pechino, ma non smise mai di fare, nei limiti del possibile, le sue battaglie civili. Nella primavera del 1989, durante le dimostrazioni di piazza Tienanmen, fu con gli studenti e sfuggì all’arresto grazie all’ospitalità dell’ambasciata degli Stati Uniti. Vi rimase 13 mesi durante i quali, come mi raccontò, visse con sua moglie in una grande stanza divisa da una paratia, con finestre oscurate da aste di legno, dove si potevano sentire le voci dei poliziotti cinesi di guardia di fronte all’ambasciata attraverso i condotti dell’aria. Anche i poliziotti, naturalmente, potevano sentire le loro voci. «Se parlavo nel sonno, raccontò, mia moglie mi svegliava per farmi stare zitto».
I coniugi Fang furono liberati grazie alla diplomazia del Dipartimento di Stato e vennero autorizzati a partire per gli Stati Uniti, dove il marito poté riprendere la sua carriera accademica. Come Sacharov, Fang Lizhi era capace di combinare inflessibilità e pragmatismo. Sapeva che la sua liberazione era dovuta al realismo di cui il presidente americano aveva dato prova durante la crisi di Tienanmen. George H. W. Bush aveva condannato la repressione, ma non sino al punto d’interrompere le sue buone relazioni con il regime di Deng Xiaoping. Per i dirigenti della Città proibita, non meno realisti, Bush senior era quindi un amico a cui era lecito offrire in dono la liberazione di un dissidente. Fang approfittò del dono e fu grato al presidente americano. Ma non smise mai di criticare il regime e di battersi affinché le convenienze americane non ignorassero le condizioni della società civile cinese in un regime che continuava a essere, nonostante i progressi economici, oppressivo e poliziesco. Quando gli ricordai che Henry Kissinger aveva pronunciato un giudizio molto favorevole su Deng, Fang Lizhi mi rispose: «Conosco la sua posizione e la disapprovo. (…) Kissinger, in Cina, ha interessi e rapporti d’affari».
Sergio Romano