Giovanni Bianconi, Corriere della Sera 19/04/2012, 19 aprile 2012
«NORME ANTI CORRUZIONE OCCASIONE PER I PARTITI» —
Ministro Severino, l’emendamento da lei promesso al disegno di legge anti corruzione è arrivato nei tempi previsti, ma la discussione è slittata a maggio. Non sembra un buon segnale, come se per i partiti il contrasto al malaffare non fosse una priorità...
«Non penso di poter condividere questa sensazione, almeno per il momento. Il rinvio a dopo le elezioni amministrative era prevedibile, e la fissazione dei tempi per gli emendamenti e l’inizio della discussione tra il 4 e l’8 maggio mi pare ragionevole. Se poi dovessi constatare un rallentamento, chiederò ai presidenti delle commissioni congiunte della Camera di fissare un calendario di sedute più fitto».
Quindi non teme agguati o passi indietro dei partiti?
«Penso che in un momento difficile come questo i partiti debbano e vogliano dare una prova di maturità, promuovendo riforme volte a un recupero di moralità e legalità. Tutti mi sembrano consapevoli del diffuso disagio nei confronti della politica che percorre il Paese, della sua pericolosità e della necessità di riaffermare il principio di "governo della politica", riconquistando la fiducia dei cittadini. Mi auguro che questa occasione non vada persa. Anche perché il contrasto alla corruzione è davvero una priorità, anche dal punto di vista socio-economico».
Però nel Pdl hanno già storto il naso, parlando di «emendamento non condiviso». Si sono lasciati le mani libere per il dibattito parlamentare?
«A dire il vero, a conclusione dell’ultima riunione al ministero l’onorevole Ghedini del Pdl ha detto che si doveva considerare un "quasi miracolo" l’essersi seduti tutti allo stesso tavolo. Dopodiché considero del tutto fisiologico che in Parlamento si discuta e si propongano modifiche. Non vedo particolari problemi. Quello che riterrei patologico sarebbe uno stravolgimento delle linee strutturali della nostra proposta, che ne mettesse in discussione l’impianto».
Sta dicendo che sono possibili correzioni marginali ma non uno stravolgimento della sua iniziativa?
«Esattamente. Ovviamente tutto è migliorabile, ma non si può trasformare un progetto che ha un suo filo conduttore in un insieme disarmonico di norme che non combaciano più tra loro».
In quel caso il governo si tirerebbe indietro, col rischio di bloccare tutto?
«In quel caso vedremo, ma sinceramente spero di non doverci arrivare».
Qual è il filo conduttore della sua proposta che considera intangibile?
«Le nuove norme e i criteri distintivi dei comportamenti. Mi riferisco in particolare all’introduzione delle fattispecie di "corruzione tra privati" e di "traffico di influenze illecite", al tentativo di graduare le varie forme di corruzione e di distinguerle più puntualmente, nonché di differenziare le ipotesi in cui il privato è costretto a pagare il pubblico ufficiale da quelle in cui è solo indotto».
Era proprio necessario separare la concussione dall’induzione, introducendo il nuovo reato di «induzione indebita a dare o promettere utilità», che va a incidere sul processo in corso a Milano contro Berlusconi, l’inchiesta a carico del democratico Penati e altri procedimenti?
«L’intenzione è quella di distinguere meglio le situazioni in cui il privato è punibile da quelle in cui non dev’esserlo; se un soggetto usa la sua autorità per costringere un altro a sottostare alle proprie volontà è un conto, se lo induce lasciando all’altro soggetto un margine di scelta è un altro: in quest’ultimo caso chi accetta di sottostare al ricatto merita anche lui una punizione, seppure minore. Di qui la distinzione in due reati. Non si può bloccare la produzione di nuove norme solo perché vi sono dei processi in corso».
Questa era la scusa con cui si giustificavano le leggi ad personam che hanno contraddistinto le ultime legislature. Non teme anche lei questa accusa?
«Spero di no e credo di non meritarla. Fior di professori e giuristi hanno già valutato che, nel caso dei processi da lei citati, ci sia una continuità normativa che non li mette a rischio. Sarà un problema di chi deve interpretare la legge. Io credo che le leggi non vadano viste nel contingente, ma nella loro proiezione futura».
Molti considerano insufficiente l’allungamento dei tempi entro cui si devono celebrare i processi derivante dall’aumento delle pene. Perché non intervenire direttamente sulla prescrizione?
«Modificare l’intero meccanismo della prescrizione è estremamente complesso, e nell’attuale quadro politico molto difficile. Oltretutto, intervenire su una sola categoria di reati sarebbe tecnicamente sbagliato, mentre mi è sembrato corretto commisurare la graduazione delle pene all’entità degli interessi tutelati».
A proposito di quadro politico, c’è il problema della responsabilità civile dei magistrati, ai quali la soluzione da lei escogitata sembra non piacere per niente. Come pensa di uscirne?
«Qui la situazione è ancora più complicata, perché c’è già un voto della Camera, a larga maggioranza, su un emendamento a cui il governo aveva dato parere contrario. E andiamo verso un voto al Senato che potrebbe essere anch’esso a scrutinio segreto. Dunque occorre procedere con prudenza, cercando soluzioni equilibrate rispettando la volontà del Parlamento. Io ascolto e comprendo le ragioni di tutti, ma dobbiamo trovare una via d’uscita rapida ed efficace, prendendo atto della situazione».
Cioè quella dell’emendamento Pini che se non passa la sua modifica sarà approvato così com’è?
«Mi pare un dato di fatto».
E sulle intercettazioni, a che punto siete?
«C’è un testo distribuito ai partiti che è un punto di partenza per tentare di tenere insieme le esigenze dell’informazione con quelle della tutela della privacy e dell’efficienza delle indagini. Speriamo di arrivare a un buon risultato, naturalmente condiviso».
Ma come pensa di realizzare in meno di un anno ciò che non si è fatto in quattro?
«Io devo comunque provarci. È difficile, ma non credo impossibile».
Anche se la giustizia è da diciotto anni terreno di scontri durissimi tra i due maggiori partiti che sostengono il governo?
«Certamente. Se esiste questo governo significa che la situazione lo richiedeva, e anche in materia di giustizia occorre tentare di ottenere risultati concreti e apprezzabili, nonostante sia difficile. Se non ci riuscissimo non sarebbe una sconfitta mia, ma di tutti».
Giovanni Bianconi