Emanuela Audisio, la Repubblica 19/4/2012, 19 aprile 2012
In campo ogni due giorni, il vero stress Nba – Non sono Superman. Sentono, avvertono, cedono. Possono molto sul campo, ma non tutto
In campo ogni due giorni, il vero stress Nba – Non sono Superman. Sentono, avvertono, cedono. Possono molto sul campo, ma non tutto. Si sgretolano anche loro, colossi d’argilla se gli togli il sonno. Tired men walking. Occhiaie, gambe pesanti, sbadigli. Mancanza di riflessi. Zombie. I giocatori Nba prima divertivano, ora faticano a stare in piedi. Lo sciopero ha accorciato la stagione e moltiplicato gli incontri, metteteci pure fusi orari e distanze. Bisogna recuperare il tempo e i minuti perduti. Era uno show di eccellenze fisiche, ora di storditi. Campionato a ritmo di catena di montaggio: 66 pezzi, pardon partite, in 124 giorni, una ogni due, anzi in meno (1.88). Non si smette di giocare: 9 confronti in 12 giorni. Mai successo in 45 stagioni. Prendete i Clippers: a marzo 20 gare in un mese. Il loro pivot DeAndre Jordan non riesce più a dormire: «Mi sveglio nel mezzo della nottee resto insonne». L’ha detto in Italia anche Di Natale, che gioca a calcio: «Abusano di noi, abbiamo bisogno di riposo». Si stancano anche i giganti. Si sono fatti male quasi tutti: da Gallinari a Bryant, fuori per sei turni. Spesso incidenti seri, che interrompono la stagione. La priorità ora è a riposare. La chiamano "the sleep battle". La battaglia del sonno. LeBron a Miami, Derrick Rose a Chicago, Russell Westbrook a Oklahoma e perfino Kobe Bryant a Los Angeles: vanno a dormire prima della partita, non a casa, ma in una stanza d’albergo. Cercano di chiudere gli occhi prima di entrare in campo. Un sonnellino, una pausa, quel poco che è meglio di niente. Bryant comunque ha l’elicottero. Almeno una dozzina di giocatori hanno confessato un deficit. Non si uccidono così anche le star? Andre Miller, guardia di Denver: «Tre partite di fila. Nell’ultima non avevo più benzina». Gli infortuni nei primi due mesi sono saliti del 63% rispetto alla stagione scorsa. Molti giocatori si comportano come studenti davanti agli esami. Si imbottiscono di eccitanti. Usano stimolanti energetici: dalle pillole alla vitamina B12. Se andate negli spogliatoi dei Lakers vedete che nell’armadietto di Andrew Bynum, pivot 25enne, ci sono tre confezioni di un prodotto che fa stare svegli. Le partite serali finiscono alle 22.15: con doccia, interviste, cena, nessuno va a letto prima delle due di notte. Quando è troppo tardi per addormentarsi di botto. Sempre che non ci sia da andare all’aeroporto e volare da qualche parte. Metta World Peace dei Lakers dice: «Non ci riesco proprio a sdraiarmi dopo la partita, sono ancora teso». Blake Griffin, re delle schiacciate: «Se ho giocato male sto sveglio e ci ripenso». Randy Foye dei Clippers ammette che invece di contare le pecore, guarda "Military Channel" in tv. «Mi rilassa». Più complicato se una squadra è in trasferta; non arriva in hotel prima delle 3 di notte e alle 9 di mattina i giocatori devono essere in palestra. Le ore per recuperare sono poche. È dura anche per gli allenatori. George Karl, coach di Denver: «I giocatori posso riposarsi, noi no. Soprattutto gli assistant-coach hanno vita d u r a » . M i k e Brown, sulla panchina di Los Angeles, già ossessivo sul lavoro, accusa fatica: «Spesso passiamo la notte in ufficio». Anche perché lui ha casa a Orange County. Poi ci sono gli insonni come Chris Paul, star dei Clippers: «Vado a letto tardi e mi sveglio presto. Nessun problema, ho preso da mia madre». Anche Michael Jordan poteva a fare a meno di dormire. Guidava di notte, da Chicago a North Carolina, e tornava l’indom a n i , o p p u r e giocava 36 buche per quattro giorni di seguito senza riposo. Il dottor Charles Czeisler, direttore della clinica del sonno a Harvard si è consultato con molte squadre Nba. Lo chiamano "Sleep Doctor" e dice: «Un giocatore dovrebbe dormire 8-9 ore, la prestazione atletica ne trae vantaggio». Czeisler ha aiutatoi Boston Celticsa fare i programmi di viaggio, così da avere maggiori possibilità di riposo. Suggerisce che è meglio fermarsi nella città in cui si gioca e partire l’indomani. «Il messaggio attuale è che se sei un duro ce la puoi fare, ma non è un problema di carattere, e più sei giovane più la mancanza di sonno è rischiosa. Tra i 18 e i 25 anni può fare veramente male e portare a scarsità di reattività». Cheri Mah, ricercatore di Stanford aggiunge: «La cultura del macho-campione porta a considerare lo sbadiglio come una malattia da non mostrare, una debolezza da nascondere. Grant Hill dei Phoenix, 40 anni, il secondo giocatore più vecchio in attività, alla sua 17esima stagione Nba, usa estremi rimedi pur di isolarsi: tende nere, gadget elettrici staccati, niente liquidi, pur di non dover andare in bagno». Tenera è la notte? Difficile crederci.