Giovanni Minoli, la Repubblica 19/4/2012, 19 aprile 2012
"Crescita, deficit, lavoro per superare questa crisi servono riforme coraggiose" – ALLORA, Governatore Visco, Guido Carli diceva: «Il Governo Tecnico è una trovata qualunquista, o una soluzione sovversiva»
"Crescita, deficit, lavoro per superare questa crisi servono riforme coraggiose" – ALLORA, Governatore Visco, Guido Carli diceva: «Il Governo Tecnico è una trovata qualunquista, o una soluzione sovversiva». È d’accordo lei? «Sì, sono d’accordo. Credo che Carli si riferisse alla tecnocrazia come modo di governo, ma un Governo o è un governo politico, o è un’altra cosa». Quindi il Governo Monti non è un governo tecnico, ma è un governo politico? «E’ un governo politico di cui fanno parte persone che non hanno fatto politica». Carli era più un tecnico o più un politico? «Carli nasce come tecnico, un grande tecnico. Il suo maestro di economia è uno dei massimi economisti della sua epoca, Marco Fanno, a Padova. Poi, chiaramente, diventa un politico... Sicuramente, come tecnico ha rivoluzionato l’idea di banchiere centrale in Italia. Come politico ha dato un contributo importantissimo». Lei ha un ricordo di Carli? «Sì, certamente... Ricordi degli ultimi anni della sua vita da Governatore, in cui lui era molto attento ai giovani. Cercava idee nuove, cercava di capire anche il cambiamento attraverso i giovani. Mi ricordo all’inizio degli anni ’80 una telefonata in cui mi esponeva i suoi dubbi sulla capacità dell’Italia di uscire da quella fase con una crescita del debito pubblico sempre più forte, e con i consumi crescevano di più di quelli tedeschi. Si interrogava: «Ma perché in Italia si consuma più che in Germania?»». Quale è stata la qualità maggiore di Carli come Governatore? «Carli ha portato la Banca d’Italia a usare tecniche, modi, metodi di analisi avanzate. E poi ha avuto chiaramente un ruolo importantissimo a livello internazionale, nell’architettura finanziaria internazionale. E un difetto del Carli banchiere? «È difficile dirlo oggi. All’epoca, da giovane, forse mi sembrava molto vicino alla grande impresa privata... Probabilmente pensava che così fosse bene... «. Carli aveva come maestro Einaudi. Lei che maestro ha avuto? «Sicuramente abbiamo maestri nei grandi banchieri centrali che ha avuto questo Paese. Ma oggi viviamo anche in un mondo molto diverso... un mondo globale tecnologicamente in grande evoluzione. Stiamo imparando anche sul campo a fare i banchieri centrali. La mia generazione di banchieri centrali ha pochi modelli, pochi modelli». Culturalmente lei a chi si rifà? «Culturalmente, anche nella mia formazione economica, ho avuto dei grandi maestri. Federico Caffè, Lawrence Klein... Poi ricordo la mia professoressa di matematica alle scuole medie, Emma Castelnuovo, una persona straordinaria che mi ha insegnato a capire a che serve la matematica, piuttosto che aver paura della matematica. Ma per la mia generazione, nata dopo la guerra, è stato fondamentale il problema dell’Europa. E allora, La banalità del male della Arendt, Se questo è un uomo di Primo Levi. Letture fondamentali...». Oggi come all’epoca di Carli sembra che in Italia la crisi si possa affrontare solo ricorrendo al vincolo esterno, cioè con l’Europa che ci dice cosa dobbiamo fare. «Non è il vincolo esterno, ma la razionalità economica che ci spinge a fare certe cose, anziché altre, per noi stessi. Ovviamente capire che viviamo in un mondo che interagisce è fondamentale... «. Però c’era il vincolo esterno con Carli, c’è il vincolo esterno con Monti: son passati trent’anni, ma siamo sempre lì. «Guardi, il vincolo esterno c’è sempre stato. Bretton Woods, il Sistema monetario europeo, Maastricht: tuttoè stato un vincolo esterno. Viviamo insieme agli altri, ovviamente dobbiamo usare questo per fare bene. Ma abbiamo sempre timore di fare riforme e per questo l’Italia resta sempre indietro: le conseguenze sul breve periodo ci sembrano sempre straordinariamente pesanti..». Ma questo vincolo esterno comunque necessario è solo virtuoso, come dice lei, o può essere anche pericoloso? «È pericoloso se diventa un alibi, uno scarico di responsabilità oppure un condizionamento... «. Meno potere a Via Nazionale e più potere a Francoforte: queso fa bene all’Italia oppure è un condizionamento? «Non è vero che vi sia più potere da una parte, meno potere dall’altra. C’è un potere condiviso nella collegialità, a Roma come a Francoforte». Oggi alla Bce c’è il suo predecessore Mario Draghi: questo aiuta il suo ruolo di Governatore in Italia oppure no? «Certamente sì, perché vi è una sintonia, una capacità di comprendersi molto velocemente, una stima reciproca. Ma vi è anche molta consapevolezza delle responsabilità che ciascuno di noi ha... C’è anche un’esperienza che lui ha del sistema finanziario, del sistema creditizio a livello nazionale e internazionale, e che a me viene molto utile». Comunque, per tutti, il capolavoro del Carli politico è stata la trattativa per l’entrata dell’Italia nel Trattato di Maastricht. Lei è d’accordo? «Sì, è stato fondamentale, soprattutto nel convincere i suoi interlocutori a non avere una visione statica ma dinamica dei parametri da rispettare. In questo il suo ruoloè stato molto importante, sicuramente assistito dal suo Direttore Generale del Tesoro che all’epoca era Mario Draghi e dal Vice Direttore Generale della Banca d’Italia che era Tommaso Padoa Schioppa». Comunque, con questo vincolo esterno di Maastricht inizia anche una germanizzazione progressiva dell’Europa. È così? «No, credo che la Germania uscita dalla caduta del Muro di Berlino sia una nazione che ha dovuto aggiustare notevoli situazioni interne e che lo ha fatto sostenendo chiaramente dei costi. Ma poi ne è uscita grazie al suo essere in Europa, di questo anche i tedeschi ne sono consapevoli». Quindi la politica della Merkel, oggi, non è una politica più filo Germania che filo Europa? «È sicuramente una politica nell’interesse della Germania, come le nostre politiche sono interesse dell’Italia, e così quelle di tutti gli altri paesi. Ma c’è la consapevolezza che è nell’Europa che noi troviamo soluzione a molti dei nostri problemi... «. Quindi la Spagna non fa la fine della Grecia? «La Spagna è in un momento difficile perché ha avuto una crisi economica grave. Vi è la consapevolezza, tuttavia, che bisogna avere una capacità di intervento con i meccanismi nuovi che l’Europa si dà, dall’intervento del Fondo Salva-Stati alla partecipazione del Fondo monetario». Quindi stiamo tranquilli sulla Spagna? «Dobbiamo». «Dobbiamo» è diverso da «stiamo». Lei comunque resta ottimista. Recentemente ha detto: il 2012 sarà un anno di recessione, ma nel 2013 ci sarà una forte ripresa. Lo conferma? «Confermo che ci sarà una ripresa. Ma non ho mai detto che sarà una forte ripresa. Credo che sarà una ripresa tanto più forte quanto più si avranno risultati certi su fronti che condizionano la crescita e le previsioni di crescita... Dipende molto da come andrannoi mercati internazionali, l’economia globale». E lei prevede che vada meglio? «Io credo che questo sia un anno difficile, ma prevedo che l’anno prossimo sarà un anno di uscita soprattutto se sapremo a convincere i mercati che la nostra situazione di politica economica e i nostri conti sono sostenibili, affinchè i tassi di interesse possano scendere». Lei ha anche detto: l’Italia invecchia e allora bisogna lavorare di più e più a lungo. Vuol dire che la riforma delle pensioni appena fatta è già superata? «Ho anche detto che bisogna lavorare in più persone, cioè bisogna dare la capacità di lavoro ai giovani, alle donne. Abbiamo una grande riserva su cui poter contare. È chiaro che la riforma delle pensioni è il coronamento di un processo molto lungo che ha dato alla fine un frutto importante. Noi lavoreremo di più e più a lungo grazie a questa riforma». Ma secondo lei la riforma del lavoro da più speranze ai giovani oppure no? «In questi ultimi anni abbiamo vissuto una fase di apertura del mercato del lavoro ai giovani, con le riforme e la flessibilità introdotte in questo paese. Purtroppo lo abbiamo fatto con forme non tanto eque e non tanto efficienti... La riforma appena varata va in questa direzione. Senz’altro è da completare, bisogna trovare le risorse per un sistema più completo di ammortizzatori sociali. Ma bisogna anche tener conto che la riforma del mercato del lavoro è parte di una serie di riforme che vanno viste in senso organico: bisogna cambiare l’economia del paese, insieme insieme al lavoro»... In una situazione così complicata, quale deve essere la caratteristica principale del Governatore della Banca d’Italia, per dare fiducia a tutti noi? «Bisogna non aver paura del nuovo, non bisogna essere conservatori, ma bisogna guardare al cambiamento consapevoli delle proprie forze e delle forze di un istituto quale quello che io governo. Bisogna avere molta razionalità, coraggioe soprattutto consapevolezza delle proprie forze». La qualità che sicuramente noi speriamo che il Governatore abbia è quella di spingere le banche a prestare soldi alle famiglie e alle imprese per aiutare la crescita, piuttosto che comprare soltanto Buoni del Tesoro e dormire su tutti quei soldi che la Bce gli ha prestato all’1%. «Non mi sembra che sia un’analisi corretta, ma possiamo discuterne. Intanto non è l’1%, perché le banche hanno avuto anche garanzie pubbliche ad un altro 1%. In ogni caso erano risorse necessarie per sostituire fondi venuti meno per le banche. E’ su quei fondi, sui depositi delle famiglie ma anche sui depositi delle altre banche europee o dei fondi di mercato monetario americano, che si fonda il credito. C’è stata una crisi di debito sovrano, c’è stata la paura che l’Italia non ce la facesse. Le banche avevano debito nei loro attivi sotto forma di Titoli di Stato, e questo ha ingenerato il timore da parte degli investitori esteri». Ma in concreto lei le spingerà queste banchea prestare soldi all’industria e alle famiglie, piuttosto che dare soldi ai top manager, mega milioni di euro? «Primo: è evidente che noi adesso siamo molto attenti alle remunerazioni dei banchieri, e bisogna che queste siano viste con attenzione e in un periodo lungo. Secondo: la Banca d’Italia sta a guardare come operano le banche. Sicuramente è fondamentale che ci sia il credito, ma ricordiamoci che dare il credito è nell’interesse delle banche, è la ragion d’essere della banche. E ricordiamoci anche che le imprese lo devono meritare, il credito. Questa è una cosa altrettanto fondamentale». Nel frattempo l’euro come sta? Ha la febbre, è malato? «Non sta a un banchiere centrale, parlare di cambio». Va bene, ritiro la domanda. Ma è vero che tra le sue passioni, oltre al Futurismo, ci sono anche le spy story di Ken Follett? «No, il Futurismo, no, anche se sono molto contento di avere un bellissimo autoritratto divisionista di Balla nel mio ufficio. Quanto a Ken Follett ammiro molto i romanzi storici, un po’ meno le spy story». Ma nonè che le dinamiche dell’economia mondiale la portano, come dire, a identificarsi nelle spy story di Ken Follett? «Forse in quei racconti qualcosa di interessante c’è: uno li legge, e si costruisce nella mente i «soliti sospetti». Poi in realtà si scopre che non sono gli Hedge Funds, ma sono le banche a causare la crisi. E si scopre che la crisi non nasce in America, ma dalle banche tedesche che investono nei mutui subprime. E allora bisogna capire anche che chi fa il mio mestiere guarda con più attenzione ad un libro come i Buddenbrook di Thomas Mann, che non alle spy story della finanza». Tra la finanzia e la politica per ora ha vinto la finanza, ma ha fatto un disastro nel mondo. Una vittoria di Pirro insomma. «No, non credo che abbia vinto la finanza.I danni ci sono stati, e sono dovuti al fatto che c’è stato un cambiamento straordinario. Quanto ai responsabili, siamo in molti. Sicuramente è responsabile chi opera nella finanza, è responsabile chi la regola, chi la governa. La politica che è arrivata tardi. E poi i risparmiatori che non erano preparati al cambiamento, e i mass media che non li hanno aiutati a prepararsi». Resta il fatto però che i popoli considerano sempre più insopportabile e inaccettabile lo strapotere della finanza. Lei lo vede questo rischio sociale, globale? «Lo vedo, e per questo credo che la finanza debba porsi come obiettivo quello di aiutare la crescita d ell’economia reale, che è fondamentale perché trasferisce le risorse dove servono e quando servono. C’è un’insofferenza, bisogna prenderne atto». C’è chi dice addirittura che non c’è futuro per l’umanità se la finanza conta più dei popoli. «La finanza non ha mai contato più dei popoli. Pensi ai Re d’Inghilterra che si finanziavano dai banchieri fiorentini: i Re d’Inghilterra ci sono ancora, i banchieri fiorentini non più». Ma si può chiedere alla finanza di avere un’etica? «Si, credo sia molto importante. Bisogna che chi opera, le banche intermediarie, abbiano attenzione molto forte alla loro clientela e alle partecipazioni di minoranza nel loro capitale, perché alla fine la materia prima dell’intermediazione è la fiducia». Un’ultima domanda, governatore. In un Paese in recessione come l’Italia, cosa si deve fare per non perdere la speranza? «Innanzitutto l’Italia non è soltanto in recessione, ma è un paese cheè ha un livello di reddito di5 punti più bassi del 2007 e un 20% in meno di produzione industriale. Quindiè un paese in crisi grave, ma che deve guardare in avanti. Abbiamo un futuro che bisogna gestire, che non bisogna subire. Abbiamo le capacità per farlo e dobbiamo farlo. Dobbiamo avere il coraggio di guardare al cambiamento come qualcosa di positivo e non come qualcosa dal quale difenderci e scappare. «Sta in noi», come diceva Menichella, e come ha detto anche Ciampi».