Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  aprile 19 Giovedì calendario

1945 L’ITALIA LIBERATA A ONDE CORTE

Nell’aprile 1945 esisteva in Busto Arsizio un centro ra­diotrasmittente a onde cor­te di proprietà dell’Eiar. I program­mi da trasmettere erano eseguiti a Milano nelle sedi di corso Sempio­ne, oppure in quella di Morivione e andavano in onda col nome di «Ra­dio Tevere». In Busto non esistevano locali, né tanto meno studi, per l’esecuzione di programmi, né possedevamo ap­parecchiature atte alla ripresa so­nora: in via Mentana 7 disponeva­mo di un piccolo appartamento de­stinato a ufficio e magazzino. È op­portuno ricordare che la caratteri­stica delle onde corte è di potere es­sere ricevute solo a grande distan­za. Così era impossibile essere rice­vuti per esempio da Busto a Galla­rate o a Legnano, mentre invece e­ra facilissimo essere ascoltati in A­frica, Sicilia o in qualsiasi altra par­te del mondo. Il centro radio era presidiato da un piccolo gruppo (sei) di militari te­deschi, che pernottavano in una stanzetta attrezzata con due letti a castello. Di giorno invece intorno alle 12 erano soliti recarsi a casa lo­ro e alle 16 ritornavano al centro ra­dio. Intorno al 10 aprile circa, nel­l’intervallo di riposo del presidio te­desco, arrivò – cosa insolita – un’au­tomobile dalla quale scesero tre persone di cui due armate con mi­tra. Il terzo signore chiese di parla­re con me e con mio sommo stu­pore disse, in perfetto italiano, di es­sere un agente segreto americano dell’Oss, Missione Chrysler, di chia­marsi Aldo Icardi, nativo di Pitt­sburg. Soggiunse che da quel mo­mento i trasmettitori dovevano considerarsi occupati dalle truppe alleate; che non dovevano mai più trasmettere i programmi prove­nienti da Milano e che invece a­vremmo dovuto trasmettere pro­grammi prodotti nella sede di Bu­sto Arsizio. Feci subito presente al tenente I­cardi l’impossibilità di realizzare quanto da lui richiesto perché sprovvisti di ogni materiale. Egli non volle sentir ragioni: probabilmente non credeva alle mie parole; poi promise di farci avere qualche ap­parecchio che poteva esserci utile. Mantenne la promessa e dopo al­cuni giorni mi inviò due magnifici microfoni americani, nuovi di zec­ca, ad altissima fedeltà: ignoro do­ve li abbia recuperati. A questo pun­to è chiaro che restavamo impe­gnati a fare quanto Icardi ci aveva ordinato e che da parte nostra era necessario predisporre le apparec­chiature indispensabili alle riprese sonore. Così all’insaputa dei tede­schi procurammo quanto necessa­rio e cioè accumulatori, giradischi, valvole termoioniche e costruim­mo con mezzi di fortuna gli appa­recchi: amplificatori, dosatori, mi­scelatori, eccetera. Il materiale era acquistato «a credito» su piazza. I nego dell’Istituto «La Provvidenza» di Busto. Mi disse di essere parroco di Lesa (No) e che era informato in merito alle trasmissioni autonome; aggiunse che – a suo parere – era in­dispensabile che i testi fossero ido­neamente controllati e che lui sa­rebbe stato disposto a svolgere tale compito. E così in seguito fu fatto. «Don Carlo» si dimostrò persona degna di fiducia, dotata di profon­da cultura. Mi disse che quanto pri­ma mi avrebbe fatto conoscere al­tre persone interessate alle tra­smissioni e così mi presentò Enri­co Tosi, presidente del Clnai, e il te­nente colonnello Oggioni, coman­dante della piazza di Busto Arsizio. N el frattempo predisponem­mo ad auditorio l’unica stanzetta nel fabbricato di via Mentana: provvedemmo ad at­taccare alle pareti alcuni teli di co­tone per ridurre i tempi di riverbe­razione e rendere così più chiare le parole. Su un tavolo predisponem­mo microfono, giradischi, amplifi­catore, dosatore e miscelatore. Sog­giunsero però giorni caldi; il Co­mando tedesco ci diede ordine di smontare i trasmettitori per prov­vedere al loro trasferimento. Che fa­re? Nel contempo, al pomeriggio, due aerei cominciarono quotidia­namente a farci visita; quanta pau­ra, pensavamo che ci avrebbero mi­tragliato, ma invece mai hanno a­perto il fuoco: in seguito appren­demmo che venivano solo per con­trollare se c’erano indizi di trasferi­mento degli impianti. Chissà quan­te belle fotografie avranno fatto. De­cidemmo di agire con massima len­tezza; non solo, ma anche fingendo di smontare, cioè staccando e riat­taccando i cavi elettrici delle appa­recchiature. Bisogna dire che i te­deschi lasciavano fare, o perché non si rendevano conto, oppure perché – consapevoli di una prossima con­clusione negativa delle loro vicen­de – trascuravano la sorveglianza.
Intanto gli avvenimenti incalzava­no, arrivammo al punto da essere fonicamente isolati, cioè nessun programma perveniva da Milano e il telefono di servizio non funzio­nava più. Il capo del drappello te­desco mi disse che loro si sa­rebbero allonta­nati definitiva­mente e aggiun­se: «Non abbia­mo minato gli impianti, non l’abbiamo fatto e non lo faremo, lasciamo tutto in ordine». Così finì il presidio tedesco. Se non ri­cordo male mi pare che fosse il 23 aprile. Rincuorati passammo ad oc­cuparci del fantomatico auditorio di via Mentana. Tutto fu fatto nel miglior modo possibile: eravamo pronti per le necessità. Alle 21 circa di mercoledì 25 aprile 1945 giunse­ro Tosi, Oggioni e altre persone. Chiesero di vedere gli apparecchi da noi costruiti, li esaminarono, ci fecero tante domande: erano stu­piti e dissero che avevamo lavorato bene e che si poteva cominciare a trasmettere.
Erano circa le 22. Invitati i presenti al silenzio iniziammo a mandare l’inno del Piave; indi, in dissolven­za, Vanna Tongiorgi disse al mi­crofono: «Attenzione, attenzione, qui Radio Busto Arsizio, stiamo per trasmettere un importante comu­nicato ». L’annuncio fu ripetuto tre volte. Quindi il professor Nino Mi­glierina lesse con voce solenne lo storico comunicato: «Per proclama del Comandante della piazza mili­tare di Busto Arsizio si dichiara de­caduto il regime fascista repub­blicano e si e­sorta la popola­zione alla calma e al rispetto del­le leggi civili e militari dell’8 settembre 1943, rientrate in vi­gore. Cittadino italiano, tu che hai sofferto per la tua Patria an­cora una volta calpestata dal bar­baro nemico, l’ora della tua libera­zione è giunta. Lavoratore, ancora per qualche giorno controlla ogni tentativo di distruzione delle tue macchine, delle tue officine, delle tue fabbriche, delle centrali elettri­che. Salva la tua ricchezza di do­mani. Industriali, disponete perché il lavoro continui, perché le mense aziendali non abbiano a subire in­terruzioni. Donne, siate degne del­l’ora che volge. Italiani tutti, al vo­stro posto per la battaglia!».
Le trasmissioni autonome di Radio Busto Arsizio furono di notevole im­portanza. A quell’ora nessuno sa­peva in Italia quanto avveniva. Le stazioni Eiar in onda media non tra­smettevano; i giornali non veniva­no stampati. La notizia diramata dalla nostra stazione radio fu rice­vuta con chiarezza anche a Paler­mo e in America, dove fu ritra­smessa e non è esagerato dire che fece il giro del mondo, tornando in Italia prima che iniziassero a tra­smettere le stazioni Eiar in onda media e prima ancora che fossero pubblicati i giornali.
Insomma Radio Busto Arsizio è stata indubbiamente la prima in assoluto a dare notizia al mon­do di quanto avvenne in Italia il 25 aprile 1945. E fu sempre la prima a dare informazione della morte di Mussolini, notizia che ci fu portata personalmente dall’agente ameri­cano Icardi. Da quel momento in poi le trasmissioni si susseguirono con regolarità. A partire dal 27 a­prile ne abbiamo fatte di due tipi: u­na per invio notizie al Sud Italia da parte di congiunti residenti al Nord, l’altra per richiedere notizie alla Croce Rossa in merito a militari di cui non si sapeva nulla. Furono en­trambe trasmissioni di grande suc­cesso. Al mattino, prima ancora di aprire il portone della sede, lungo la strada si formavano folti gruppi di persone che si disponevano disci­plinatamente in lunga fila in attesa di consegnare il messaggio da in­viare.

********

COSI’ IN UN MESE FU PREPARATO LO SCOP -
Busto Arsizio (Varese) 10 aprile 1945: nessuno avrebbe potuto immagina­re che il centro trasmittente dove l’Eiar (la Rai del tempo, controllata dalla Repubblica sociale) aveva la sua residua potenza in onde corte, stava per passare alla storia. È ancora meravigliato l’allora capo-centro ingegner Giovanni Lombardo, classe 1915 ma con tutti i suoi ricordi per­fettamente in ordine, che ha voluto conse­gnare la sua personale e diretta esperienza in esclusiva ad Avvenire.
Quel giorno a Busto, ancora sotto regime repubblichino, si presenta un agente ame­ricano in auto, con due partigiani e ordini precisi: «Gli impianti sono a nostra dispo­sizione; è come fossero occupati dagli Al­leati »... Tutto ruota intorno allo storico annuncio della fine della guerra, diffuso da Busto alle 22 del 25 aprile 1945 in prima assoluta, al­meno 12 ore prima dell’analogo comuni­cato diffuso da Milano. Lo scoop di Busto venne preparato in 15 giorni: americani e partigiani riuscirono a recapitare le mini­me strutture per uno studio improvvisato, che già dal 20 aprile era pronto in un ap­partamento collegato via cavo alle anten­ne che i tedeschi – intanto – immaginava­no di smontare. Per comporre la redazione si fece vivo un sacerdote, don Federico Mercalli, contatto con altissime persona­lità della Resistenza come Enrico Tosi, ca­po del Comitato di liberazione Alta Italia, che diverrà poi deputato Dc, e il coman­dante militare di piazza. Tutti erano stati senz’altro preavvertiti da Icardi che – in in­glese – di notte usava la stessa radio per comunicare con gli Alleati.
Tutto era dunque accuratamente pianifi­cato: Busto era stata «scoperta» dagli ame­ricani con accurate ricognizioni alla ricer­ca degli impianti trasferiti al Nord dopo la liberazione di Roma, quando l’Eiar aveva evacuato anche il centro radio imperiale di Prato Smeraldo, responsabile del vasto ser­vizio in onde corte italiano. Due trasmetti­tori erano finiti nella cittadina lombarda a servizio della Repubblica Sociale e di «Ra­dio Tevere», un’emittente che fingeva di trasmettere da Roma. Dobbiamo all’inge­gner Lombardo la ricostruzione delle fasi concitate che condussero all’annuncio della Liberazione.
Casualmente, la voce femminile che alle 22 del 25 aprile annunciò la Liberazione e­ra quella della dottoressa Vanna Tongiorgi, amica dei coniugi Lombardo, che di lì a poco sarebbe divenuta una dei maggiori fisici italiani, per lunghi anni impegnata col marito Giuseppe Cocconi in America e al Cern di Ginevra. Chi lesse il comunicato completo fu invece Nino Miglierina, inse­gnante e successivamente condirettore del quotidiano varesino La Prealpina. Radio Busto Arsizio ha dunque preceduto tutti. A quell’ora a Milano Morivione l’Eiar della R­si era ancora attiva, ma solo alle 9 del gior­no seguente fu letto il comunicato della li­berazione. L’ingegner Lombardo, di origini siciliane, ricorda con gioia che proprio Il Giornale di Sicilia del 26 aprile uscì con la notizia della liberazione ascoltata da Busto Arsizio. Altro particolare curioso è che il 1° maggio di quell’anno fu celebrato dall’e­mittente con la trasmissione della messa in diretta dalla chiesa principale di Busto...
Oggi nel luogo dello studio di via Mentana c’è un palazzo recentissimo, mentre le an­tenne (che per una decina di anni ancora trasmisero i rinati programmi internazio­nali della Rai) furono smantellate con la ri­costruzione di Prato Smeraldo alle porte della capitale; grande centro che pure non c’è più in seguito alla cessazione delle on­de corte italiane nel 2007. Agli uomini di quella straordinaria esperienza, però, non tutto andò bene. Il tenente Icardi rimase coinvolto in un processo per l’accusa (rive­latasi poi infondata) di aver ucciso un altro ufficiale americano, mentre Giovanni Lombardo fu addirittura licenziato ai pri­mi di maggio 1945 per aver permesso quelle trasmissioni «senza autorizzazio­ne »... L’ingegner Lombardo, che oggi vive a Torino, passerà dunque la sua vita come professore di elettrotecnica nelle scuole superiori; ma forse la Rai non farebbe cer­to cosa sbagliata se lo «riabilitasse» come un eroe di quei giorni difficili.